Barbarossa: la restaurazione dell’autorità imperiale
Papi del periodo:
- Eugenio III 1145-1153
- Anastasio IV 1153-1154
- Adriano IV 1154-1159
- Alessandro III 1159-1181
- Lucio III 1181-1185
- Urbano III 1185-1187
- Gregorio VIII ott.-dic.1187
- Clemente III 1187-1191
Antipapi:
- Vittore IV 1159-1164 (Ottaviano dei Crescenzi)
- Pasquale III 1164-1168 (Guido di Crema)
- Callisto III 1168-1178 (Giovanni di Struma)
- Innocenzo III 1179-1180 (Lando di Sezze)
Il potere e il prestigio imperiale era molto decaduto in Germania durante gli ultimi anni di regno di Enrico V, con l’autorità del re praticamente azzerata in Sassonia. Morto Enrico senza figli nel 1125 i principi tedeschi elessero al trono l’anziano duca di Sassonia, Lotario di Supplimburgo, che regnò sino al 1137 arrivando a riconoscere praticamente un primato papale sull’impero. Lotario trovò l’opposizione della casa di Hohenstaufen, che da Enrico IV era stata investita dal ducato di Svevia, ma inizialmente questa opposizione si materializzò in un sovrano debole, Corrado III, eletto dopo la morte di Lotario, che faticò a imporre la propria autorità in Germania contro la crescente potenza della famiglia dei Welfen, titolare insieme dei due grandi ducati di Sassonia e di Baviera. Corrado è rimasto famoso per aver guidato la sfortunata II Crociata, per aver completamente trascurato l’Italia e per essere stato nei fatti succube del papato (fu conosciuto con il termine derisivo di Pfäffenkönig, re dei preti) e morendo, primo dal tempo di Ottone I, senza essere neppure stato incoronato imperatore. Alla sua morte, nel 1152, i principi tedeschi trascurarono il figlio di Corrado, un bambino, ed elessero al suo posto il nipote, Federico, duca di Svevia dal 1147. Federico era figlio di Federico II, duca di Svevia, e di Giuditta, principessa della stirpe dei Welfen di Baviera. Nelle sue vene correva quindi il sangue degli Hohenstaufen, da molti visti come gli eredi dei Salici, e dei Welfen, la grande stirpe rivale. La sua elezione fu vista come foriera di pace e di concordia all’interno di un regno ormai stanco di lotte intestine.
Il programma politico di Federico fu volto sin dall’inizio alla restaurazione dell’autorità sovrana e imperiale, ormai caduta molto in basso. Un grande realista Federico realizzò immediatamente che l’autorità in Germania era basata sul mantenimento della concordia con i grandi principi laici, il maggiore dei quali era il cugino Enrico il Leone (della stirpe dei Welfen), duca di Sassonia e pretendente al ducato di Baviera. Tuttavia ben si rese conto come fosse giunto il momento di cambiare la struttura politica del paese, frammentando i grandi vecchi ducati tribali e creando al loro posto delle più moderne, più piccole e più gestibili entità territoriali. Dove invece il suo obiettivo di restaurazione dell’autorità imperiale fosse di difficile realizzazione apparve evidente essere nei rapporti con la Chiesa e con i sudditi italiani. Qui infatti rispetto al tempo dei Salici era cambiato tutto. La Chiesa, in un crescendo iniziato con il Dictatus Papi di Gregorio VII e proseguito per tre quarti di secolo era arrivata quasi a pretendere una superiorità sull’autorità laica, nutrita a dovere dall’accondiscendenza di Lotario II e di Corrado III. La questione dell’eredità delle terre matildine, disputata tra la Chiesa e l’Impero e mai risolta, aggiungeva benzina sul fuoco. Inoltre l’Italia aveva visto il declino delle dinastie feudali e l’impetuosa crescita delle città, avviate a emanciparsi dall’autorità dei vescovi, assolutamente necessarie all’imperatore per garantirsi quelle rendite fiscali necessarie per perseguire la propria politica. Le città d’Italia erano ricche, mai avevano messo in discussione l’autorità imperiale e da loro non ci si attendevano quelle spinte anarchiche e centrifughe proprie della nobiltà tedesca. Infine, problema potenziale da non trascurarsi, i territori meridionali della penisola e la Sicilia non erano più, come ai tempi dei Salici, frammentati tra decadenti staterelli longobardi e greci e ascendenti staterelli normanni ma costituivano un unico e potente stato unitario, il Regno di Sicilia degli Altavilla, nominalmente vassallo del pontefice.
Il conflitto di Federico con i papi, in successione Adriano IV, Alessandro III, Lucio III, Urbano III, Gregorio VIII e Clemente III, ebbe motivazioni e caratteristiche diverse da quello di Enrico IV e Enrico V, e nei fatti si risolse in una lotta ove in gioco erano non solo il primato morale dell’Impero o della Chiesa ma, per la prima volta, le fondamenta politico-economiche dell’impero stesso. Scoppiato inizialmente per motivi tutto sommato futili relativi alla precedenza delle due autorità il conflitto si acuì a seguito delle rispettive pretese, imperiale e papale, sull’eredità matildina per divampare infine violento a seguito dell’alleanza creatasi tra il papato e quelle città del nord Italia, Milano in primis, che avanzarono pretese di autonomia rispetto all’autorità imperiale. Federico infatti, ora non più in grado di controllare le città tramite i vescovi, cercò di riaffermare la propria autorità facendo leva su fattori diversi, dal diritto riaffermato da importanti giuristi dello studio bolognese, alla violenza e alla discordia tra le varie città. Ma, malgrado il volere imperiale venisse solennemente riaffermato e accettato dai comuni nella dieta di Roncaglia del novembre 1158, il dissenso continuò ad ardere sotto le ceneri sino a riesplodere periodicamente. La nazione tedesca, nobili, città e prelati, fu inizialmente fedele a Federico, che potè contare altresì su alcune città del nord Italia (Como, Lodi, Pavia) e sulla pur indebolita nobiltà feudale italiana. L’imperatore ottenne una serie di vittorie, umiliando Milano nel 1162 e Roma nel 1167, e costringendo il pontefice Alessandro III a risiedere lontano dalla città di Pietro per la maggior parte del suo pontificato. Si ripeterono molti degli eventi visti in precedenza, con le scomuniche lanciate sull’imperatore e antipapi di parte imperiale scomunicanti il papa legittimo. Ma i successi di Federico non riuscirono mai ad essere definitivi ed anzi provocarono l’appoggio al pontefice di potentati quali il regno normanno di Sicilia, l’impero bizantino di Manuele I Comneno e la Repubblica di Venezia. Tali appoggi non si tradussero in armati ma in risorse economiche. Forti di tali appoggi i comuni del nord Italia non si arresero e spinsero sempre più in alto il livello del conflitto, sino a stringersi nella celebre Lega Lombarda. Quando alla fine a Federico vennero a mancare alcune delle risorse della Germania, poiché Enrico il Leone preferì destinare le proprie alla conquista di nuove terre a est della Sassonia, si arrivò alla catastrofe di Legnano: il 29 maggio 1176 l’esercito imperiale, in manifesta inferiorità numerica, fu sconfitto sul campo di battaglia dai mercanti milanesi e lombardi. Eppure la grandezza del Barbarossa divenne evidente soprattutto nel periodo successivo a Legnano. Con la diplomazia si arrivò alla pace di Costanza del 25 giugno 1183 dove fu regolato il rapporto tra l’imperatore e i comuni italiani: si ebbero importanti concessioni economiche e giudiziarie ma da parte dei comuni venne riconosciuta l’autorità imperiale. E fu ancora la diplomazia di Federico a portare al celebre matrimonio, celebrato proprio a Milano il 27 gennaio 1186, tra Enrico, figlio ed erede dell’imperatore, e la principessa Costanza d’Altavilla, zia ed erede di re Guglielmo II di Sicilia: matrimonio che, “in pectore”, metteva nelle mani della Casa di Hohenstaufen delle risorse immense, delle quali nessun sovrano europeo poteva disporre. Ancora Federico fu attentissimo, primo tra gli imperatori romano-germanici, ad ingrandire le risorse della dinastia, acquisendo mediante matrimonio la Franca Contea di Borgogna; e fu profondo riformatore della monarchia tedesca quando, punendo Enrico il Leone per non averlo aiutato nell’ultima impresa in Italia, frazionò i possedimenti della grande dinastia feudale dei Welfen e iniziò la creazione dei più piccoli, e più gestibili, ducati territoriali al posto degli antichi ducati tribali. Nacquero così i ducati d’Austria, Stiria, Westphalia e Merania, mentre Sassonia e Baviera, affidate ora agli Ascani e ai Wittelsbach, non furono più in grado di minacciare da sole l’autorità imperiale. Fu Federico Barbarossa che creò la struttura politica della Germania che sarebbe rimasta nella sostanza sino alla Rivoluzione Francese.
Quando Federico, nel 1187, si buttò nell’organizzazione della III Crociata, assieme ai sovrani di Francia e Inghilterra, il prestigio dell’Impero era altissimo e le risorse mobilizzabili erano enormi; erano altresì messe le basi sulle quali creare una monarchia fortissima, estesa dal Canale di Sicilia al Baltico, di fronte alla quale modesto avrebbe potuto essere qualunque tipo di resistenza. Il grande esercito imperiale che attraverso i Balcani entrò in Anatolia diretto a Gerusalemme impressionò tutti gli osservatori per la forza e l’organizzazione. L’avventura come tutti sappiamo finì in tragedia con la morte del grande imperatore per un incidente nel fiume Salef in Cilicia, il 10 giugno 1190, e la dissoluzione del grande esercito colpito da pestilenza. Ma la costruzione federiciana sopravvisse e fu la base su cui lo Stupor Mundi avrebbe tentato, per l’ultima volta, di costruire un impero universale. La grandezza e la risorgenza della Germania sotto il Barbarossa fu alla base della leggenda che venne a crearsi, secondo cui il grande imperatore non era in realtà affogato nelle acque del Salef ma si era addormentato in una grotta, pronto a risvegliarsi e a porsi alla testa del popolo tedesco quando esso ne avesse avuto bisogno.
Per approfondire:
Balzani, Ugo, Frederick Barbarossa and the Lombard League, in “Cambridge Medieval History”, Vol.5, Cambridge, 1926
Cardini, Franco, Il Barbarossa. Vita, trionfi ed illusioni di Federico I Imperatore, Milano, 1990
Fuhrmann, Horst, Germany in the high middle ages c.1050-1200 (trad.ingl.), Cambridge, 1986
Poole, Austin L., Frederick Barbarossa and Germany, in “Cambridge Medieval History”, Vol.5, Cambridge, 1926
Robinson, Ian S., The Papacy, 1073-1198: Continuity and Innovation, Cambridge, 1990