Gonzalo Fernández de Cordoba, duca di Terranova (Montilla, 1º settembre 1453-Granada, 2 dicembre 1515)
Colui che è universalmente reputato il creatore delle grandi fanterie spagnole era un cadetto della grande nobiltà andalusa. Giovanissimo entrò nel seguito dell’infante Alfonso di Castiglia, fratello della grande regina Isabella la Cattolica. Partecipò e si distinse nella guerra civile castigliana che oppose Isabella e il marito Ferdinando d’Aragona all’infanta Giovanna la Beltraneja, ma fu durante la lunga guerra intrapresa dai sovrani cattolici contro il Regno islamico di Granada che il suo nome si affermò come quello di uno dei più validi capitani spagnoli. La guerra di Granada durò 10 anni e non vide grandi battaglie campali, bensì scorrerie, assedi e imboscate in un territorio difficile, pieno di rilievi montuosi. Qui Gonzalo iniziò a mettere a punto quelle tattiche che tanto poi gli avrebbero fruttato in seguito. Nel 1492 fu lui a condurre le trattative con il sovrano granadino Muhammad XII (Boabdil) che si conclusero con la resa della città e la fine del dominio islamico nella penisola iberica. Ormai entrato nelle grazie dei sovrani e riconosciuto come valido capitano fu posto al comando della spedizione nell’Italia meridionale nel 1495 per restaurare sul trono la dinastia aragonese di Napoli, cacciata a seguito dell’invasione del re di Francia Carlo VIII. Dalla Sicilia insieme a truppe napoletane passò in Calabria, sfiancando i Francesi con una continua guerriglia. Tuttavia il re napoletano Ferdinando II gli impose la battaglia campale e qui, per l’unica volta nella sua carriera, vide la sconfitta ad opera dei gendarmes francesi e dei picchieri svizzeri nella prima battaglia di Seminara, il 28 giugno 1495. Fu a seguito di tale sconfitta che Gonzalo iniziò a riformare pesantemente le proprie fanterie, aumentando la proporzione di archibugieri e di balestrieri e organizzandole in grosse formazioni denominate colonnelle, antesignane dei famosi tercios. Malgrado la sconfitta di Seminara i Francesi furono comunque cacciati dal regno e nel 1498 Gonzalo con le sue truppe fu inviato ad aiutare il pontefice Alessandro VI, minacciato nientemeno che da un pirata biscaglino, Menaldo Guerra, che aveva occupato le fortificazioni di Ostia e bloccato la foce del Tevere. Il compito fu assolto con successo.
Nel 1500 i sovrani cattolici stipularono con Luigi XII di Francia il trattato segreto di Granada, volto alla divisione tra Francia e Spagna del Regno di Napoli e alla deposizione della dinastia aragonese. Corollario di tale trattato vi fu un appoggio dato alla Repubblica di Venezia che, in guerra con l’Impero Ottomano, chiese aiuto per riconquistare l’isola di Cefalonia. Gonzalo, con le truppe destinate alla conquista del napoletano, fu appunto dirottato a Cefalonia, e qui assediò e prese con successo il forte di San Giorgio, facendo a pezzi la guarnigione composta da giannizzeri. Ma fu tornato nel napoletano che ebbero luogo i fatti d’arme che consegnarono il Gran Capitano alla storia.
Il regno nel 1501 era stato conquistato e il re Federico era stato portato prigioniero in Francia. Gonzalo fece la sua parte conquistando Taranto dopo un lungo assedio. Ma tosto Francesi e Spagnoli si misero a litigare per dividersi le spoglie. Gonzalo, in inferiorità numerica, si trincerò nelle Puglie, e in particolare nella città di Barletta, che i Francesi misero sotto assedio. Fu durante questo assedio che si tenne la famosa disfida tra 13 cavalieri francesi e 13 italiani al servizio di Spagna capitanati da Ettore Fieramosca. Rifiutò il confronto con il nemico sino a quando il vicerè francese, duca di Nemours, non ritirò parte delle truppe assedianti. Allora colpì, uscendo da Barletta e portando il nemico a battaglia a Cerignola, il 28 aprile 1503. La battaglia durò meno di un’ora e consacrò definitivamente il ruolo dell’archibugio sui campi di battaglia. Le fanterie spagnole, piene di archibugieri, ruppero gli attacchi impetuosi della cavalleria pesante francese (con il duca di Nemours tra i caduti) e successivamente furono in grado di infliggere tali perdite ai picchieri svizzeri e guasconi da costringerli alla ritirata. Dopo Cerignola Luigi XII corse ai ripari, inviando nel regno un nuovo poderoso esercito, che però fu afflitto da sfortuna sin dall’inizio in quanto due suoi comandanti in successione dovettero abbandonare essendo caduti infermi. L’esercito alla fine, comandato da Ludovico II marchese di Saluzzo, puntò direttamente su Napoli, che era caduta agli Spagnoli nei mesi precedenti. Gonzalo abbandonò l’assedio di Gaeta e si trincerò sul fiume Garigliano. Francesi e Spagnoli rimasero a confrontarsi sul Garigliano per tutto il mese di dicembre, in un terreno paludoso e insalubre che costò parecchie vite a entrambi gli eserciti. Nella notte tra il 27 e il 28 dicembre Gonzalo riuscì a far gettare un ponte di barche e a far attraversare il fiume alle proprie truppe che iniziarono ad attaccare le varie successive postazioni francesi creando nell’esercito un panico che si tradusse alla fine in una fuga precipitosa con migliaia di vittime. Al Garigliano la conquista spagnola del napoletano fu consolidata e il regno sarebbe rimasto spagnolo sino all’inizio del ‘700.
La carriera militare del Gran Capitano finì al Garigliano. Fu nominato Vicerè di Napoli e durante la tenuta dell’ufficio fece prigioniero inviandolo in Spagna nientemeno che Cesare Borgia. Morta la regina Isabella nel 1504 suscitò l’invidia di Ferdinando che temeva che la grande popolarità di Gonzalo potesse spingerlo a impadronirsi direttamente del regno. Nel 1507 Ferdinando lo richiamò in Spagna, chiedendogli conto delle spese sostenute come Vicerè. A tali richieste il Gran Capitano rispose polemicamente con una relazione contabile, tuttora conservata negli Archivi Generali di Simancas, che ridicolizzò il sovrano e che è rimasta nella tradizione spagnola.
Gonzalo Fernández de Cordoba non ebbe più incarichi dal sovrano per cui aveva conquistato un regno. Ritiratosi nelle sue terre in Andalusia morì nella sua casa, tutt’ora esistente, in Granada. Ferdinando non permise che i figli gli succedessero nei titoli nobiliari.
Per approfondire:
Piero Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino, 1952
Piero Pieri, Consalvo di Cordova e le origine del moderno esercito spagnolo in Estudios del V Congreso de Historia de la Corona de Aragón, Vol.III, Saragozza, 1954
José Enrique Ruiz-Domènec, El Gran Capitán: Retrato de una época, Barcellona, 2002