Il paese della cuccagna

1. LE ORIGINI

La storia dell’uomo medievale e rinascimentale è costellata di città e società immaginarie. Saba, Mu, Atlantide, Lemuria, le Indie, Thule o le Isole Fortunate sono tutti luoghi mitologici dove veniva immaginata una vita diversa e lontana dagli affanni e dalle miserie quotidiane del popolino. Terre lontane ed esotiche dove ogni piacere era concesso e dove non c’era mai povertà o affanno.

Fra queste società della fantasia, quello del Paese di Cuccagna resta uno dei miti più diffusi, presente nella tradizione orale europea già a partire dal XII Secolo e in quella scritta dal secolo successivo. L’origine del nome è incerta. Sembra derivare dal provenzale e a sua volta dal gotico tedesco: “Kuche”, cioè “torta”. Le prime allusioni a un luogo mitico del genere si ritrovano già nell’Epopea di Gilgamesh (4500 a.C.), e nella commedia greca: Ferecrate (V Sec. a.C.), parla degli Inferi come di un luogo dove scorrono fiumi di brodo e polenta, mentre Aristofane (446-386 a.C.) e Luciano di Samo (120-180/192 d.C.) descrivono città e isole felici, abbondanti di cibi e ricchezze. È soprattutto dalla fantasia medievale, però, che le caratteristiche si delineano ed evolvono.

2. DESCRIZIONE

La maggior parte dei testi che parlano del fantastico paese di Cuccagna sono basati su racconti di viaggiatori che narrano di esserci stati personalmente e di aver visto con i propri occhi le meraviglie descritte. La caratteristica del paese di Cuccagna, infatti, è quella di essere un territorio lontano non identificabile, al contrario del paese di Bengodi descritto nel Decameron, che ha coordinate ben precise: è nel paese dei Baschi ed è lontano da Firenze «più di millanta miglia».

A Cuccagna ritroviamo il mondo al contrario e il sovvertimento dell’ordine costituito. In queste lande è tassativamente proibito lavorare, l’ozio è considerato una virtù, tutto è consentito all’insegna della più ampia libertà, compresa quella sessuale. Il ruolo delle donne non è però ben definito: se da un lato sono ridotte a mero oggetto di soddisfazione sessuale, in altre versioni sono le padrone del mondo e gli uomini sono i loro schiavi. I medici non servono, in quanto non esistono né sofferenza né vecchiaia: nel bel mezzo del paese infatti scorre il fiume della salute e dell’eterna giovinezza. Le fontane gettano vino prelibato e le sbarre delle prigioni sono fatte di formaggio. I fiumi sono di latte e vino, il mare di brodo, i monti di formaggio. Tutto è alla rovescia: il povero è servito dal ricco, la preda dà la caccia al predatore, l’animale da soma sfrutta il fattore, il folle è ritenuto saggio e ci si può far beffe di tutto e tutti.

Gli alberi sono carichi di frutti maturi che cadono direttamente nella bocca e le fontane offrono un vino squisito a chi ha sete. Il tempo è ideale – “una primavera eterna” – ed è ventilato da una leggera brezza profumata esalata da bocche che soffiano anche monete d’argento e d’oro. Il territorio si presenta come un’isola o una terra circondata da fiumi, con una vasta pianura dominata da un’alta montagna fatta di buon parmigiano grattugiato e sormontata da una pentola piena di ravioli caldi. Intorno scorrono fiumi di vino o di latte, i laghi sono pieni di pesci e le greggi feconde; una mucca può partorire un vitello quotidianamente e le galline deporre duecento uova al giorno. Dalle miniere vengono estratti zucchero e marzapane e i dolci emanano odori che profumano la strada. Non esistono porte chiuse; i muri fatti di formaggio e ricotta sono ornati di fegatini di pollo, salsicce e mortadella.

Questa terra si presenta dunque come il regno dell’abbondanza alimentare e del godimento di tutti i sensi: il canto degli uccelli è dolce, il suono della musica è soave, i tessuti sono finissimi al tatto. Tutto mira alla soddisfazione del corpo, che si tratti di mangiare, bere, dormire, fare l’amore, giocare alle carte o agli scacchi. È il paese del far-niente e ogni cosa viene offerta pronta al consumo senza necessità di trasformazione. Così il grano cresce da solo, la farina è già macinata e i forni sono in permanenza pieni di dolci. Lavorare è non solo inutile, ma anche vietato, e se si vuol pagare l’albergatore, questo s’arrabbia. Insomma un mondo di equità sociale.

2. IL RINASCIMENTO E L’ETÀ MODERNA

Nel Rinascimento la società subisce mutamenti profondi. Avviene infatti il primo tentativo di trasferire in politica e nelle scienze umane il rinnovato antropocentrismo eliminando diseguaglianze, conflitti e ingiustizie. Nascono quindi le città utopistiche. Uno su tutti san Tommaso Moro (1478-1535), che inaugurò un florido filone di opere che tradussero le utopie in progetti politici e filosofici improntati su giustizia e tolleranza.

È proprio questo che determina esattamente la differenza tra l’utopia plebea del paese di Cuccagna e le grandi utopie dello Stato della prima Età Moderna, come appunto la “Utopia” (1516) di Tommaso Moro o “La città del sole” (1623) di Tommaso Campanella (1568-1639). Esse vengono pensate come progetti fattibili e sono ormai depurate da elementi irrazionali e bizzarri, essendo frutto di una ragione che ha ormai rotto ogni legame con la follia. Anche se presentano delle affinità come l’assenza della proprietà privata o l’abolizione del denaro, le utopie dello Stato, paragonate al paese di Cuccagna, si distinguono per un alto grado di leggi, buon governo, moralità e costumi morigerati. Nell’Utopia di Moro il lavoro non è abolito, anzi è obbligatorio per tutti, compresi i grandi proprietari terrieri.

Queste costruzioni progressiste in genere rappresentano un attacco alle disuguaglianze e ingiustizie sociali del tempo e mirano a elaborare una società più equa, fondata su un più giusto modello produttivo. A differenza dei sogni di eguaglianza borghesi, il sogno di eguaglianza che si esprime nell’utopia plebea del paese di Cuccagna non mira all’abolizione del lusso, bensì alla sua diffusione egualitaria. Il Paese di Cuccagna è la versione popolare dell’aristocratica Età dell’Oro; ma con differenze sostanziali: mentre il mito classico presenta una Natura che, generosamente, offre senza limiti i propri doni, nel Paese di Cuccagna i fortunati visitatori possono usufruire a volontà di prodotti già lavorati, come ravioli, parmigiano, prosciutti, arrosti. Nel Paese di Cuccagna, la Natura non è qualcosa di vergine, puro e incontaminato; Cuccagna non è una terra dove l’uomo si inserisce nella realtà naturale, senza stravolgerla con il lavoro e vivendo in perfetta armonia con essa: al contrario, è un paradiso all’insegna dell’artificiale, ove le leggi della Natura sono completamente sovvertite e piegate a vantaggio dell’uomo. Le leggi della meccanica e della fisica non hanno più senso: i maccheroni e i tortellini cadono dal cielo; la terra, non lavorata, produce mirabilmente cibi precotti; gli alberi non buttano gemme e foglie, ma prosciutti e vestiti; gli animali, carnefici di loro stessi, si arrostiscono spontaneamente per darsi in pasto agli uomini. È una natura dove l’artificiale ha distrutto, capovolgendolo, il naturale, alterandone la legge biologica e i tempi di maturazione dei prodotti.

4. CONCLUSIONI

Cuccagna è più vicino al mondo alla rovescia che a un ideale utopico. È un’illusione che permetteva di affrontare il duro viver quotidiano con spensieratezza, senza avere un significato rivoluzionario. La realtà bassomedievale, soprattutto dal XIV Secolo in poi, era fatta di miseria, di duro lavoro, di costrizione servile e di frequenti epidemie. Il paese di Cuccagna era la Terra Promessa per uomini le cui preoccupazioni dominanti erano la fame e la carestia, non la rigida morale religiosa che sembrava occuparsi più dell’aldilà che del mondo terreno. L’ideale spirituale era troppo astratto e impalpabile per rispondere davvero ai desideri e ai bisogni di persone in carne e ossa.

Nella seconda metà del Seicento i testi sul paese di Cuccagna si fanno più rari. Il contesto socio-economico è cambiato e la Controriforma da una parte e la nuova etica borghese dall’altra, combattono in diversi modi questi aspetti trasgressivi della cultura popolare. Nel nuovo contesto il tema della Cuccagna diventa un gioco popolare legato al ciclo delle feste di Maggio o viene banalizzato e integrato nel Carnevale, ma soprattutto il mito comincia a essere sempre più utilizzato in altri ambienti culturali a fini moralistici, per denunciare certi vizi capitali come la gola e la pigrizia.

Il mondo vagheggiato e a tratti eversivo si svuota gradualmente del significato originale, poiché la morale corrente mal sopporta che l’abbondanza e il piacere non siano frutto del lavoro. Nell’Ottocento, il Paese di Cuccagna diventa così un espediente narrativo soprattutto destinato all’infanzia ed è viene caricato di ammonimenti che insegnano una morale: chi non si adegua a un disciplinato comportamento guidato da regole e norme fondate sul dovere e sul lavoro sarà destinato a una brutta fine, come Lucignolo nel Paese dei Balocchi.

5. LE FONTI

M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare – Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi 1980.

M. Boiteux, L’immaginario dell’abbondanza alimentare. Il paese di Cuccagna nel Rinascimento

U. Eco, Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Bompiani, 2014.

Mircea Eliade, Il Mito Dell’eterno Ritorno, Edizioni Borla, 1989.

H. Franco Jr, Nel Paese di Cuccagna. La società medievale tra il sogno e la vita quotidiana, Città Nuova 2001.

Il mito dell’Età dell’oro e del Paese di Cuccagna

L. Ortolan, Prima del manicomio la follia nella cultura popolare e nella letteratura dal Rinascimento all’Illuminismo.

D. Richter, Il paese di Cuccagna. Storia di un’utopia popolare, La Nuova italia, Firenze

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