Anarchici e libertini nella Rivoluzione inglese

Autore: Pietro Adamo
Nota sull’autore: Università degli Studi di Torino
Casa editrice: Unicopli
Pagine: 397
Prezzo di copertina: € 22,00
1ª pubblicazione: 2015
Da Adrianopoli alla Bastiglia
Anarchici e libertini nella Rivoluzione inglese
Autore: Pietro Adamo
Nota sull’autore: Università degli Studi di Torino
Casa editrice: Unicopli
Pagine: 397
Prezzo di copertina: € 22,00
1ª pubblicazione: 2015
Moglie del marchese di Ferrara, Niccolò III d'Este, iniziò una relazione con il figliastro, Ugo d'Este, figlio del marchese Niccolò e dalla sua favorita, Stella de' Tolomei. Tuttavia la tresca fu scoperta e i due amanti furono rinchiusi nel castello estense di Ferrara e qui decapitati il 21 maggio 1425.
Alleato dell'Arcivescovo di Milano, Ariberto d'Intimiano, cadde nella battaglia di Campomalo presso Lodi combattendo contro una forza di valvassori ribelli.
Appartenente alla più alta nobiltà napoletana allacciò una relazione sentimentale con Maria d'Avalos, moglie di Carlo Gesualdo, famoso musicista ed erede del principe di Gesualdo. Entrambi gli amanti, tuttavia, caddero in una trappola tesa dal marito di Maria che nella notte del 16 ottobre 1590 finse di assentarsi dalla propria abitazione. Maria d'Avalos e il Carafa approfittarono dell'occasione per incontrarsi presso l'abitazione di lei ma furono sorpresi dal Gesualdo, che rientrò improvvisamente con alcuni bravi, li sorprese insieme e li uccise entrambi.
Appartenente alla famiglia milanese dei Castelletti era signore di Nomi nel Principato vescovile di Trento. Quando scoppiò la vasta insurrezione detta Guerra dei Contadini, che in Trentino assunse la denominazione di Guerra Rustica, fece allontanare per precauzione dal feudo la moglie e i figli. Forse sobillati dai Lodron, feudatari nemici del Busio, i contadini di Normi si sollevarono il 3 luglio 1525 e assaltarono il castello signorile, dandolo alle fiamme. Il Busio morì nell'incendio.(1)
(1)Quintilio Perini, Un testimonio oculare dell'uccisione di Pietro Busio signore di Nomi (1525), in "Atti della I.R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati in Rovereto", s. 3v. 14/1, 1908
Pievano di San Basso a Venezia e Vescovo di Eraclea, fu ferito a morte nella sua casa di Venezia la notte del 26 novembre 1370 da un suo servitore, Giovanni, a scopo di rapina. L'assassino e suo fratello, che aveva partecipato al misfatto, furono catturati e giustiziati.(1)(2)
(1)Giovanni Malgarotto, Domenico Gaffaro parroco di San Basso e la terribile condanna del suo servo assassino, in "Il Gazzettino", 4 marzo 1924
(2)Ponte dei Squartai, in venicewiki
Miles, forse di origine francese (Bertrand de Malemort), gli furono concesse in feudo le terre di Simeri e Taverna ai piedi della Sila. Fu ucciso in circostanze ignote da alcuni abitanti di Taverna, come da una missiva del 16 gennaio 1276 inviata al re Carlo d'Angiò dal giustiziere della Val di Crati
Fabio De Paola, barone di Malvito, comprò il feudo di Buonvicino nel 1606 da Niccolò Bernardino Sanseverino per 10.200 ducati. Lui e i suoi successori (nomi per ora ignoti) oppressero grandemente la popolazione che il 16 giugno 1648 si rivoltò massacrando il barone e la sua famiglia ma lasciando in vita solo una figlia, Laudomia De Paola, che poi sposandosi portò Buonvicino ai Cavalcanti i quali la montennero sino all'eversione della feudalità
Appartenente alla consorteria dei conti di San Martino fu vittima con la moglie dell'insurrezione dei Tuchini del Canavese morendo nell'assalto da questi portato al suo castello di Brosso in Val Chiusella all'inizio del 1387.(1) Secondo la tradizione sarebbe stato fatto prigioniero e quindi precipitato da una collina.(2)
(1)Alessandro Barbero, L'insurrezione dei Tuchini nel Canavese (1386-1391), in "Come l'orco della fiaba. Studi per Franco Cardini", Firenze 2010
(2)Gustavo Buratti, Breve storia del Tuchinaggio occitano e piemontese, Venaus, 2007
Prefetto di Vico, signore di Viterbo, fu ucciso dai viterbesi stanchi delle sue angherie il 7 maggio 1387. Essendo la città assediata da un esercito ecclesiastico il prefetto fece uscire dalla città parte dei suoi mercenari bretoni. A questo punto i cittadini presero le armi, aprirono le porte ai fuoriusciti e aggredirono il prefetto rimasto con pochi uomini; ferito il prefetto fu ucciso da un tale Angelo Tignosi e il suo cadavere straziato dalla folla
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 pp.529-530
Feudatario di Castrignano e di altre località del Salento fu ucciso a Castrignano il 14 gennaio 1657 da alcuni abitanti del luogo, Domenico Fiore alias Muzzo, Antonio Sciurti alias Melanca, Onofrio di Ascule alias Papava e Alessio Zumbo, secondo alcuni documenti dell'Archivio di Stato di Lecce. Possibilmente all'origine dell'omicidio vi furono questioni di rapacità fiscale anche se la tradizione orale insiste su ragioni quali la pretesa di "ius primae noctis".(1)
(1)Comune di Castrignano de' Greci, Storia del comune
Organizzatore di una congiura contro il dominio spagnolo, fu catturato a Roma alla vigilia di Natale del 1639 e tradotto a Napoli. Processato per direttissima fu giustiziato per decapitazione in piazza Mercato il 15 gennaio 1640.(1)
(1)Elisa Novi Chavarria, OREFICE, Giovanni, in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.79", 2013
Barnabita, fu nominato dal pontefice Innocenzo X Vescovo di Castro il 31 maggio 1648. La nomina vide l'opposizione del duca di Castro, Ranuccio II Farnese, anche duca di Parma e Piacenza, che per lungo tempo impedì al Giarda l'ingresso nella diocesi. Alla fine nel 1649 il papa ordinò comunque al prelato di prendere comunque possesso della sede vescovile ma questi, nel viaggio verso Castro, cadde in un agguato il 19 marzo presso Monterosi e fu ucciso a colpi d'archibugio da alcuni uomini del Farnese, tali Ranuccio Zambini e Domenico Cocchi. A seguito dell'omicidio Innocenzo accusò immediatamente il duca e scatenò la 2ª guerra di Castro, che si concluse in breve con la presa della città e la sua completa distruzione.
Co-signore di Francavilla, secondo una lettera inviata il 13 novembre 1455 dal famoso Biagio Assereto, signore di Serravalle Scrivia, al duca di Milano, sarebbe stato ucciso da alcuni abitanti di Gavi nella torre di Bisio(1). Il fatto si inserisce probabilmente in un contrasto che Oberto e il fratello Giacomo avevano da alcuni anni con Antonio Doria per il possesso del feudo di Bisio di cui esiste traccia negli archivi sforzeschi.(2)
(1)Rosa Mazzarello Fenu, Guida di Francavilla Bisio, Ovada, 2012
(2)La memoria degli Sforza. Missive di Francesco Sforza conservate nell'Archivio di Stato di Milano, Registro n.13, 1316 e segg.
Nel 1462 il ducato di Savoia era dilaniato da lotte di fazione mentre il duca Ludovico era ritenuto troppo influenzato da una serie di nobili, quali tra gli altri Jacopo Valperga, conte di Masino, cancelliere di Savoia, e Jean de Varax(1), marchese di Saint-Sorlin e maresciallo di Savoia, legati al re di Francia Luigi XI e fedelissimi della duchessa, Anna di Cipro. Il figlio più giovane del duca, Filippo di Savoia, conte di Baugé (futuro duca Filippo II) decise di sistemare la faccenda togliendo di mezzo violentemente i ministri del padre. Nel luglio 1462 partì quindi da Asti con un forte gruppo di armati e raggiunse la corte che risiedeva nel castello di Thonon, odierna Thonon-les-Bains, sul lago di Ginevra. Entrato nel castello fece immediatamente uccidere da un suo uomo, il bastardo di Rochechouart, il Varax mentre si impadronì della persona del Valperga. Malgrado avesse fornito rassicurazioni ai genitori circa la sorte dei ministri Filippo trasse il Valperga prigioniero a Ginevra. Qui il cancelliere fu sommariamente processato e quindi giustiziato annegandolo nelle acque del lago.(2)(3)
(1)Jean de Varax è talvolta indicato come Georges o Gaspard
(2)Luigi Cibrario, Iacopo Valperga di Masino. Triste episodio del secolo XV, Torino, 1860
(3)Luca Di Pietrantonio, Prosopografie dei personaggi, in AA.VV. Traduzione, contesto e prosopografie del secondo capitolo de «L'eroico colpo da maestro», in "Arma Virumque, n.2", giugno 2021
Rinomato condottiero, figlio del più celebre Nicolò Piccinino, fu fatto uccidere dal re di Napoli Ferdinando I che, dopo averlo invitato a prendere il comando delle truppe napoletane, lo fece catturare a tradimento e quindi strangolare in Castel Nuovo il 14 luglio 1465
Essendo stato inviato dal padre, il re di Napoli Ferdinando I, a riscuotere dei tributi in Calabria, morì mentre era ospite di Marino Correale di Grotteria, un funzionario regio, nel castello di Terranova da Sibari, dopo aver mangiato dei funghi velenosi. Con lui morirono anche altre persone mentre il fratello Cesare d'Aragona, marchese di Sant'Agata, che aveva mangiato anch'egli i funghi, sopravvisse. L'avvelenamento fu quindi ritenuto accidentale.
Figlio di Nicolò Caetani ed erede del feudo di Sermoneta, era giovanissimo quando nel 1500 papa Alessandro VI si impadronì della città togliendola ai Caetani. Bernardino si rifugiò nel castello di Monteroduni che possedeva nel regno di Napoli, ponendosi sotto la protezione del re Federico. Caduta tuttavia la monarchia napoletana nel 1501, e conquistato il regno dai francesi, Bernardino divenne un obiettivo di Cesare Borgia, che voleva liberarsi per sempre dei potenti feudatari di cui aveva acquisito le terre. Verso la fine del maggio 1502 Bernardino Maria fu raggiunto presso Monteroduni da otto sicari spagnoli del Borgia, forse guidati da Michelotto Corella, che lo trucidarono a pugnalate dopo aver dissimulato amicizia nei suoi confronti.(1)
(1)Gelasio Caetani, Domus Caietana. Storia documentata della famiglia Caetani, Vol.I, Parte II, San Casciano Val di Pesa, 1927 p.242
Appartenente al ramo di Filettino si diede al brigantaggio dai propri feudi posti sui confini tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli, suscitando parecchie lamentele presso il papa da parte dei vicerè spagnoli. In ultimo la sua aggressione ai danni di un corriere veneziano portò al suo arresto da parte delle autorità pontificie. Avendo tentato di fuggire da Castel Sant'Angelo suscitò l'ira del papa Gregorio XIII che ne ordinò l'esecuzione sommaria, che ebbe luogo per decapitazione il 29 novembre 1583(1)
Tra i suoi figli Antonio e Pompeo si distinsero anch'essi per violenze e attività illecite e finirono uno sul patibolo e l'altro massacrato dagli abitanti di Veroli.
(1)Gaspare De Caro, CAETANI, Cesare, in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.16", 1973
Figlio di Giacomo Caetani, fu spogliato delle sue terre dai banderesi nel 1360 quando il padre fu impiccato. Insieme ai fratelli, Antonio e Tuzio, ed alla madre Maria di Ceccano, riuscì a riprendere con le armi Filettino, Torre e Vallepietra nel 1371. Nel 1373 fu tuttavia ucciso dai fratelli a seguito di un litigio(1)
(1)Tiziana Ilari, La signoria dei Caetani, in Vallepietra Planet, 1º novembre 2021
Importante signore dell'Agro romano si distinse insieme al fratello Giovanni per una serie di scorrerie e di disturbi che suscitarono la reazione del governo popolare di Roma, nelle mani della milizia detta dei Banderesi. Nell'agosto 1360 i banderesi invasero le terre dei Caetani e presero Anagni, loro principale residenza. Giovanni riuscì a fuggire mentre Giacomo, catturato, fu impiccato.(1)
(1)Paola Supino Martini, CAETANI, Giacomo (Iacobello, Bello) in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.16", 1973
Noto come "il Bibbiena" dalla sua città di origine fu importante letterato, autore della celebre commedia "La Calandria". Particolarmente legato a papa Leone X, che gli affidò numerose missioni diplomatiche, al ritorno da una di queste in Francia morì improvvisamente a Roma tra il 9 e l'11 novembre 1520, sotto forti sospetti di avvelenamento.
Fu privato dei suoi titoli e rinchiuso in Castel Sant'Angelo con l'accusa di aver cospirato con il cardinale Alfonso Petrucci per avvelenare papa Leone X nella primavera 1517 ma fu scagionato e reintegrato già il 31 luglio dello stesso anno. L'anno successivo morì, forse avvelenato da partigiani del papa, a Monterotondo il 29 marzo 1518
Ultimo signore di Perugia, in seguito comandante di truppe imperiali nella guerra di Siena cadde insieme alla grande maggioranza dei suoi nella rovinosa disfatta subita ad opera di Francesi e Senesi sotto le mura di Chiusi, nella notte tra il 22 e il 23 marzo 1554, la cosiddetta "Pasqua di sangue chiusina"
Capitano di parte imperiale nell'ultima fase delle guerre d'Italia condusse delle compagnie tedesche nella guerra di Siena. Caduta Siena il 17 aprile 1555 verso la fine dell'anno militò sotto Sforza Sforza di Santa Fiora(1) all'assedio di Sarteano ove fu ucciso in combattimento il 26 dicembre.(2)
(1)Fanello Fanelli, Memorie storiche di Sarteano, Perugia, 1892
(2)Pompeo Litta Biumi, SANVITALE DI PARMA, in "Famiglie celebri italiane, Fasc.2, Tav.III", Milano, 1820
Creato 1º marchese di Castelvetere (odierna Caulonia) per meriti di guerra dall'imperatore Carlo V esercitò i propri diritti feudali in modo estremamente duro compiendo tali e tanti soprusi nei confronti delle popolazioni soggette che queste lo denunciarono al vicerè di Napoli Pedro Alvarez de Toledo. Arrestato e incarcerato il Carafa tentò in ogni modo, tramite i propri famigliari, esercitando corruzione e violenza, di intimidire i testimoni ma alla fine fu giudicato colpevole dei crimini di cui era accusato e decapitato a Napoli, nel Castel Capuano, il 19 dicembre 1552(1)(2)
(1)Carla Russo, CARAFA, Giovanni Battista, in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.19", 1976
(2)Filippo Racco, Il destino di un feudatario. Il marchese Giovanni Battista Carafa e il suo caso giudiziario al tempo del vicerè de Toledo, Gioiosa Jonica, 2019
Figlia di Cesare Lanza, 1º conte di Mussomeli, fu sposata in giovanissima età a Vincenzo La Grua Talamanca, 2º barone di Carini. Dopo quasi vent'anni di matrimonio, e avendo dato al marito parecchi figli, intraprese una relazione con un cugino del marito, Ludovico Vernagallo. Il 4 dicembre 1563 i due amanti furono sorpresi dal padre di Laura nel castello di Carini e uccisi da questi, d'accordo col marito. I corpi furono esposti immediatamente al pubblico per mostrare come fosse stato ristabilito l'onore delle due famiglie. Il duplice omicidio divenne in breve l'argomento di una pluralità di storie e ballate siciliane.(1)
(1)Roberto Zapperi, CARINI, Laurea Lanza baronessa di, in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.20", 1977
Comandante imperiale della piazza di Breisach, durante la Guerra di Successione Spagnola, capitolò ai Francesi dopo soli tredici giorni a ragione della enorma sproporzione di forze tra assedianti e assediati, il 6 settembre 1703, malgrado la fortezza fosse giudicata imprendibile. Poichè aveva ricevuto l'ordine dal supremo comandante imperiale, Ludovico Guglielmo di Baden, di difendere la piazza ad ogni costo e all'ultimo sangue fu sottoposto a giudizio di fronte a un tribunale militare presieduto dal feldmaresciallo Johann Karl von Thüngen e, riconosciuto colpevole, fu giustiziato a Bregenz mediante decapitazione il 18 febbraio 1704. Era il fratello del conte Ferdinando, ucciso nel 1703 militando con l'elettore di Baviera.
Gentiluomo di camera dell'elettore di Baviera Massimiliano II Emanuele, lo accompagnava nella fallimentare invasione bavarese del Tirolo nell'estate 1703, durante la Guerra di Successione Spagnola, nota come Bayerische Rummel. Cavalcando presso Zirl a ovest di Innsbruck assieme all'elettore, intorno al 23 luglio, fu ucciso con un colpo di moschetto alla schiena da un contadino tirolese della difesa territoriale che l'aveva scambiato per Massimiliano Emanuele.(1)
(1)Francesco Premi, “E fu fatto de' soldati, e de' paesani non piccol macello”. Le vicende del 1703 in Tirolo come insorgenza. Spunti per un'indagine attraverso le Memorie del generale Alessandro Maffei, in "Studi trentini. Storia, 92/2", 2013 p.481
Cadde nella battaglia di Parma, il 29 giugno 1734, durante la Guerra di Successione Polacca, quando l'esercito austriaco del Mercy, in cui militava, fu sconfitto da quello franco-sardo guidato da re Carlo Emanuele III e dal duca di Broglie
Successo al padre Pasquale nel marchesato di Fosdinovo nel 1669 aveva ceduto il feudo di Gragnola al fratello minore Ferdinando. Quest'ultimo, tuttavia, volendo impadronirsi di tutto il feudo, insieme ad alcuni suoi uomini tese un agguato al fratello il 25 febbraio 1671 quando in Fosdinovo rientrava al proprio castello dopo aver assistito ad una funzione religiosa. Ippolito cadde colpito da alcuni colpi di moschetto ma Ferdinando, espostosi per sincerarsi del successo dell'attentato, fu ucciso a sua volta da un colpo sparato per reazione da un valletto del fratello, tale Geverino di Chiavari.(1)
(1)Eugenio Branchi, Storia della Lunigiana feudale, Vol.III, Pistoia, 1898 pp.622-627
Probabile istigatore della congiura che portò all'assassinio del vicerè di Sardegna Manuel de los Cobos y Luna, 4º marchese di Camarasa, abbandonò l'isola con altri nobili per sfuggire alla caccia datagli dal nuovo vicerè, Francesco Tuttavilla, duca di San Germano. Insieme a Sylvestro Aymerich, Francesco Cao e Francesco Portugues si rifugiò a Nizza sotto la protezione del duca di Savoia. Nel 1671 furono tuttavia convinti a rientrare nell'isola con l'inganno da un emissario del vicerè, Giacomo Alivesi, ma furono presto tutti traditi. L'Aymerich, il Cao e il Portugues furono uccisi e decapitati all'Isola Rossa, oggi nel comune di Trinità d'Agultu e Vignola, il 25 luglio 1671. Jacopo e un suo servo furono invece tratti prigionieri a Cagliari ove vennero pubblicamente giustiziati il 15 giugno.(1)(2)
(1)Bruno Anatra, CASTELVÌ, Iacopo Artaldo, in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.22", 1979
(2)Francesco Loddo Canepa, Gli omicidi Laconi - Camarassa, in araldicasardegna.org, s.d.
Manuel de los Cobos y Luna, 4° marchese di Camarasa, fu vicerè di Sardegna dal maggio 1665. Ritenuto dagli aderenti del marchese di Laconi, che era stato assassinato il 21 giugno 1668, mandante dell'omicidio, fu assassinato a colpi di moschetto il 21 luglio 1668 su mandato di alcuni nobili. Il suo successore come vicerè, Francesco Tuttavilla, duca di San Germano, perseguitò a lungo gli assassini sino a farli giustiziare nel 1671.
(1)Francesco Loddo Canepa, Gli omicidi Laconi - Camarassa, in araldicasardegna.org, s.d.
Fu ucciso in un agguato a Cagliari, nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1668, da due suoi servi Marc'Antonio Ghiani da Gadoni e Ignazio Usai da Seulo, che svelarono il delitto per avere l'impunità. I mandanti del delitto restano tuttora dubbi ma sospetti furono avanzati sul vicerè Camarasa, per ragioni politiche, o sulla seconda moglie, Francesca Zatrillas, e sul suo amante, Silvestro Aymerich, per ragioni passionali.(1). L'omicidio diede il via a una serie di contrasti sanguinosi tra il governo spagnolo e la nobiltà sarda.(2)
(1)Bruno Anatra, CASTELVÌ, Agostino, in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.22", 1979
(2)Francesco Loddo Canepa, Gli omicidi Laconi - Camarassa, in araldicasardegna.org, s.d.
Ucciso uscendo da teatro il 29 agosto 1660 (da accertare)
Ucciso a seguito di una congiura il 16 gennaio 1648 (da approfondire)
Figlio ed erede del principe Francesco Filiberto fu ucciso durante la rivolta del 2 luglio 1624 quando la popolazione di Masserano, esasperata dai soprusi del padre, diede l'assalto, distruggendolo, all'appena terminato palazzo dei principi.
Luogotenente del fratello maggiore Carlo, commise soprusi di ogni tipo e si rese talmente inviso alla popolazione che la sera del 31 luglio 1619 fu ucciso a colpi di archibugio nella piazza di Bastia da alcuni popolani infuriati.(1)
(1)Eugenio Branchi, Storia della Lunigiana feudale, Vol.2, Pistoia, 1897 pp.724-726
Arcivescovo di Marsiglia, fu avvelenato il 19 gennaio 1618 dal suo cameriere personale, Pierre Barthélemy, a scopo di rapina. Il Torricella fu ucciso con tre dosi d'arsenico e fu derubato di 270 o 300 scudi d'oro che il Barthélemy doveva a un certo Nicolas Guin per saldare debiti di gioco. L'assassino fu condannato alla ruota e giustiziato nei giorni successivi.
Il 9 giugno 1611 la contessa Silvia Visdomini di Fontanellato fu oggetto di un attentato mentre si trovava presso i genitori a San Maurizio presso Reggio Emilia, La contessa sopravvisse mentre la madre, Ginevra Scaiola, morì per le ferite riportate. Il padre della contessa, conte Ippolito Visdomini di Sarzano, denunciò per tentato uxoricidio il marito della contessa, Alfonso II Sanvitale, conte di Fontanellato, uno dei maggiori feudatari del duca di Parma Ranuccio I Farnese. Egli avrebbe fatto uccidere la moglie in quanto invaghitosi di altra donna.(1) Il Sanvitale fu catturato assieme ad alcuni suoi servi, tra cui Onofrio Martani e Oliviero Olivieri: interrogati sotto tortura questi due ammisero non solo il tentato uxoricidio ma anche il fatto che il conte fosse implicato in una vasta congiura nobiliare volta ad uccidere il duca e a liberare Parma e Piacenza dal dominio farnesiano.(2) Il duca Ranuccio vide in ciò l'opportunità di disfarsi dei feudatari e di appropriarsi dei loro domini. Fu incaricato delle indagini il nobile piemontese Filiberto Piossasco e furono arrestati, tra il settembre 1611 e il febbraio 1612, i maggiori feudatari del ducato: Pio Torelli, conte di Montechiarugolo, Gerolamo Sanvitale, conte di Sala con suo figlio Gianfrancesco, l'ormai anziana Barbara Sanseverino, madre di Gerolamo con il secondo marito Orazio Simonetta, conte di Torricella, Giambattista Masi, conte di Felino, Girolamo da Correggio, conte di Correggio e il conte Teodoro Scotti di Piacenza. Pare tutti siano stati sottoposti a tortura ed abbiano ammesso le proprie colpe con l'eccezione di Teodoro Scotti, che morì in carcere nel dicembre 1611. Tutti furono condannati a morte per decapitazione con l'eccezione del Correggio che fu rinchiuso a vita nella Rocchetta di Parma. Il sabato 19 maggio 1612 tutti gli altri furono decapitati pubblicamente nella piazza del mercato di Parma; il Martani e l'Olivieri, insieme ad altri, non essendo nobili, furono impiccati. Il duca incamerò i feudi dei giustiziati nel ducato.(3)
(1)Tito Manlio Cerioli, Le opere pie elemosiniere concentrate nell'Istituto Elemosinario (1815) e poi nella Congregazione di Carità di Ferrara: schedatura e cenni sui fondatori (secoli XVI-XIX) su "academia.edu", s.d.
(2)Federico Odorici, Barbara Sanvitale e la congiura del 1611 contro i Farnesi, Milano, 1862
(3)Gianluca Podestà, Dal delitto politico alla politica del delitto (Parma 1545-1611) in "Complots et conjurations dans l’Europe moderne", Roma, 1996
Feudatario irrequieto e rissoso, autore di parecchie violenze e soprusi nei confronti dei vicini e della popolazione, nel 1611 fece omaggio delle proprie terre al re di Spagna Filippo III, innalzandone le bandiere e le armi sul castello di Licciana. Tuttavia il fratello Morello prese spunto da questi atti e con il fine di impadronirsi del feudo il 29 luglio 1611 penetrò nel paese con numerosi armati, atterrò gli stendardi regi e assalì il castello, trucidando Ferdinando nelle proprie camere(1). Secondo il Litta, invece, Ferdinando fu ucciso dall'altro fratello Paolo che temeva per la propria vita.(2)
(1)Eugenio Branchi, Storia della Lunigiana feudale, Vol.2, Pistoia, 1897 pp.629-635
(2)Pompeo Litta Biumi, MALASPINA, Tav.XVIII in "Famiglie celebri italiane, Vol.75", Milano, 1852
Signore di Sassuolo, fu colpito da un'archibugiata mentre stava rincasando in Modena la sera del 10 novembre 1599 e spirò per le conseguenze della grave ferita ricevuta il 27 novembre. Ne l'esecutore materiale ne il mandante dell'attentato furono mai scoperti ma i sospetti si concentrarono sul duca di Modena, Cesare d'Este, che a seguito della morte senza eredi di Marco annesse il feudo di Sassuolo al proprio ducato.
Era titolare del Marchesato di Lamentana assieme al fratello Virginio. Referendario apostolico acquistò la carica di Reggente degli archivi dello Stato della Chiesa. Nel 1594 lui e il fratello vendettero il feudo di Lamentana ai Peretti e Fabio ottenne tra l'altro in cambio delle terre in Piemonte. Qui fu ucciso in Incisa il 10 novembre 1599 da un contadino che aveva maltrattato.(1)
(1)Pompeo Litta Biumi, ORSINI DI ROMA, Tav.XXVI, in "Famiglie celebri italiane, Vol.62", Milano, 1846
Era titolare del Marchesato di Lamentana assieme al fratello Fabio, referendario apostolico e reggente degli archivi dello Stato della Chiesa. Uomo d'armi servì il re di Spagna, il pontefice, da cui fu investito del Ducato di Selci e infine il re di Francia. Nel 1596 era comandante della cavalleria straniera del re Enrico IV, che aveva appena rinunciato al calvinismo riconciliandosi con il pontefice Clemente VIII. Permanendo tuttavia dei dissensi tra il re e il papa in relazione ai termini della riammissione del re nella comunità cattolica Virginio fu segretamente inviato in Italia con un piccolo corpo armato al fine di creare disordini nello Stato pontificio per forzare la mano al pontefice. Tuttavia appena arrivato nella Marca Anconetana fu ucciso alle Grotte presso Ancona in uno scontro con la guardia corsa, della sua testa mozzata venendo fatta pubblica esposizione in Roma.(1)
(1)Pompeo Litta Biumi, ORSINI DI ROMA, Tav.XXVI, in "Famiglie celebri italiane, Vol.62", Milano, 1846
Fu ucciso ad archibugiate nei pressi di Grottaminarda mentre su una carrozza rientrava nelle proprie terre in data ignota nel 1594. Probabilmente mandante dell'omicidio fu Francesco Carafa, marchese di Anzi, che covava rancore nei confronti dell'Orsini a causa della relazione che questi aveva avuto con sua madre Crisostoma Carafa
Dopo aver fatto uccidere il 7 maggio 1592 lo zio Alfonso Gonzaga, marchese di Castel Goffredo, Rodolfo si impadronì del marchesato che resse in modo dispotico al pari di quello di Castiglione. La sua responsabilità nell'assassinio dello zio e altre malefatte avevano addirittura portato nel dicembre 1592 alla sua scomunica da parte di papa Sisto V. Alla fine la popolazione di Castel Goffredo ordì una congiura e il 3 gennaio 1593 Rodolfo fu ucciso con un colpo di archibugio mentre stava recandosi con la famiglia e il suo seguito a messa nella chiesa prepositurale di Sant'Erasmo da un certo Michele Volpetti che era stato servitore del marchese Alfonso. Alla sua uccisione la folla esplose in rivolta facendo scempio del cadavere del marchese, facendone prigioniere moglie e figlia e saccheggiandone il palazzo. L'omicidio ebbe come conseguenza una lunga causa giudiziaria alla fine della quale il tribunale imperiale assolse il Volpetti e la popolazione di Castel Goffredo riconoscendo i misfatti del marchese.
Fu fatto uccidere il 7 maggio 1592 a Corte Gambaredolo, luogo di villeggiatura alla periferia di Castel Goffredo, dal nipote Rodolfo, marchese di Castiglione, per motivi di eredità. Infermo per la gotta. Alfonso era intento su una sedia a rotelle a nutrire dei pesci nelle peschiera della corte quando otto sicari lo aggredirono alle spalle, colpendolo prima con un colpo di archibugio quindi finendolo a pugnalate e gettandolo in acqua. In seguito all'uccisione di Alfonso Rodolfo occupò militarmente Castel Goffredo facendo prigioniere la moglie e la figlia di Alfonso, salvo essere costretto a liberarle per l'intervento pontificio. Gli otto sicari furono rintracciati: alcuni furono uccisi altri morirono in prigione. Rodolfo sarebbe stato a sua volta assassinato qualche mese dopo.
Famoso bandito imperversò per parecchi anni nei territori dello Stato Pontificio e del Granducato di Toscana. Braccato dalle truppe granducali fu infine catturato presso Forlì il 5 gennaio 1591 e tradotto a Firenze. Processato fu condannato a morte e impiccato il 16 marzo successivo alla torre del Bargello(1)
(1)Irene Fosi, PICCOLOMINI, Alfonso, in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.83", 2015
Fu ucciso in un agguato presso il castello di Pallerone, il 31 maggio 1590, probabilmente per una questione di confini, su mandato di Cosimo Centurione, signore di Aulla(1)
(1)Eugenio Branchi, Storia della Lunigiana feudale, Vol.2, Pistoia, 1897 pp.304-305
Appartenente a una delle più nobili famigle padovane, fu decapitato a Venezia il 5 luglio 1589 in quanto "ribelle di stato".(1)
(1)Elenco delle condanne capitali eseguite a Venezia, dalle origini della Repubblica alla sua caduta, in "Conoscere Venezia", 2 febbraio 2020
Fu ucciso per strada in Piombino mentre rincasava, la sera del 29 settembre 1589 da cinque sicari, Ciapino Pagnali, Filippo Ferracchio, Domenico Vecchioni, Giovanni Volpi e Mazzaferrata Mazzaferrati. Ferito da un colpo d'archibugio Alessandro fu poi finito a terra a colpi d'arma bianca. I cinque in realtà erano solo gli esecutori di una vasta cospirazione estesa a nobili famiglie di Piombino e soprattutto alla moglie di Alessandro, Isabella de Mendoza e all'amante di questa Felix d'Aragona, comandante la guarnigione spagnola di Piombino. Gli esecutori materiali del delitto furono in seguito catturati e giustiziati, Felix d'Aragona fu processato a Napoli e condannato al carcere a vita mentre la moglie Isabella riuscì a essere riconosciuta innocente e ad assumere la tutela del figlio Jacopo VII che successe al padre e divenne in seguito il 1º principe di Piombino
Fu duchessa di Bracciano in quanto seconda moglie del duca Paolo Giordano Orsini. Questi l'aveva sposata in seconde nozze dopo la morte violenta del primo marito di Vittoria, Francesco Peretti, nipote del papa Sisto V, avvenuta a Roma il 17 aprile 1581. Inoltre Paolo Giordano era ritenuto responsabile della morte della prima moglie, Isabella de' Medici, da lui assassinata cinque anni prima. Costretti a fuggire dai territori pontifici i due sposi trovarono rifugio in territorio veneziano ove Paolo Giordano venne a morte in Salò il 13 novembre 1585, lasciando la moglie erede della maggior parte del proprio cospicuo patrimonio. Vittoria si trasferì a Padova con il fratello Flaminio ma qui entrambi furono trucidati da Ludovico Orsini di Monterotondo, parente del defunto marito, che li aggredì il 22 dicembre 1585 con parecchi sicari nel Palazzo Cavalli alle Porte Contarine ove risiedevano. Ludovico Orsini fu poi catturato e giustiziato dalla giustizia veneta.
Individuo violento e sanguinario, responsabile della morte del duca di Latera Galeazzo II Farnese nel 1573 e della propria moglie Eleonora degli Atti nel 1575 fu costretto a seguito di quest'ultimo omicidio ad abbandonare Pitigliano e a rifugiarsi a Firenze, Qui fu ucciso sul ponte a Rubaconte, nel marzo 1576, da un Prospero Colonna, suo oppositore politico e amico dell'assassinato Galeazzo.(1)
(1)Angelo Biondi, L'uccisione del "Duchino" di Latera. Nuova luce da un documento di Parma, in "Biblioteca e Società, XX", 2001
(2)Elio Clero Bertoldi, Eleonora, un femminicidio del Rinascimento, in "UmbriaLeft.it", 3 gennaio 2019
Moglie di Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, fu da questi uccisa per ragioni d'onore nella villa di Cerreto Guidi il 14 luglio 1576. Paolo Giordano riteneva che Isabella avesse iniziato una relazione con il proprio cugino, Troilo Orsini. Isabella sarebbe stata strangolata con un laccio alla gola ma il marito diffuse la notizia della morte per cause naturali. La veridicità del fatto è stata recentemente messa in dubbio dalla studiosa Elisabetta Mori, archivista dell'Archivio Storico Capitolino, secondo la quale Isabella sarebbe morta a seguito di un'infezione fulminea all'apparato intetsinale(1)
(1)Elisabetta Mori, L'onore perduto di Isabella de' Medici, Milano, 2011
Nell'ottobre 1575, trovandosi presso il proprio castello di famiglia di Sismano presso Todi, fu invitata dal marito, Orso II Orsini, conte di Pitigliano, a raggiungerlo presso Pitigliano. Arrivata all'ingresso della città, presso il ponte dell'ordierno Parco dello Strozzone, fu dal marito uccisa a pugnalate e il suo corpo gettato nel sottostante torrente Prochio. L'uccisione di Eleonora, giustificata dal marito con ragioni d'onore, fu l'occasione della cacciata di Orso, che si era già reso responsabile due anni prima dell'uccisione del duca di Latera Galeazzo II Farnese, da Pitigliano.(1)(2)
(1)Angelo Biondi, L'uccisione del "Duchino" di Latera. Nuova luce da un documento di Parma, in "Biblioteca e Società, XX", 2001
(2)Elio Clero Bertoldi, Eleonora, un femminicidio del Rinascimento, in "UmbriaLeft.it", 3 gennaio 2019
Partecipò alla spedizione e alla presa di Tunisi ad opera di don Giovanni d'Austria dell'ottobre 1573 alla testa di 3000 fanti italiani. Lasciato a presidiare la piazza forte de La Goletta assieme ad Andrès Salazar con altrettanti fanti spagnoli dovette subire il contrattacco ottomano con forze soverchianti a partire dal luglio 1574. Costretto a capitolare in settembre tentò di fuggire affidandosi a quattro schiavi mori che gli facevano da guardia del corpo ma questi lo tradirono e lo uccisero, consegnando la sua testa ai turchi.(1)
(1)Maristella Cavanna Ciappina, DORIA, Pagano in "Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.41", 1992
Fu ucciso a tradimento durante un incontro pacifico nella Selva del Lamone presso Farnese da Orso Orsini, conte di Pitigliano, il 25 marzo 1573. La ragioni dell'omicidio non sono ben chiare anche se sembra che Orso fosse geloso del rapporto che Galeazzo intratteneva con la propria moglie Isabella degli Atti.(1)
(1)Angelo Biondi, L'uccisione del "Duchino" di Latera. Nuova luce da un documento di Parma, in "Biblioteca e Società, XX", 2001
Signore di Matelica, perse la signoria nel 1559 quando il popolo di Matelica, stanco dei soprusi del reggente Anton Maria, zio di Antonio, con una sommossa cacciò la famiglia Ottoni dalla città. Antonio riottenne in seguito de jure la signoria nel 1563 ad opera del pontefice Pio IV. Tuttavia, insoddisfatto dei nuovi termini con cui alla famiglia Ottoni fu attribuito il vicariato pontificio, si ritirò con parecchi armati nella rocca delle Macere, da dove pare abbia esercitato il banditismo. Per ultimo un omicidio commesso da un suo bravo presso la rocca portò il Commissario Pontificio, Giovan Battista Doria, a chiedere la consegna del colpevole. Essendosi Antonio rifiutato il Commissario pose l'assedio alla rocca, che in breve si arrese a discrezione. Antonio fu catturato, processato e giustiziato a Matelica per decapitazione nel gennaio 1564. La rocca delle Macere fu demolita dalla popolazione nel successivo mese di aprile.(1)(2)
(1)Luigi Passerini Orsini de' Rilli, OTTONI DI MATELICA. Famiglia estinta nel 1737, in "Famiglie celebri italiane, 160, Tav.IV", Milano, 1869
(2)Camillo Acquacotta, Memorie di Matelica, Ancona, 1838 pp. 171-177
Violante Diaz Garlon era figlia di Antonio Diaz Garlon, 3º conte di Alife e di Cornelia Piccolomini; sposò Giovanni Carafa, nipote di papa Paolo IV e creato da questi 1º duca di Paliano. Stanca delle continue infedeltà del marito intrecciò una relazione con Marcello Capece, un nobiluomo di corte, ma la relazione fu in breve scoperta per la delazione di una dama di compagnia della duchessa, Diana Brancaccio. Giovanni Carafa fece arrestare il Capece e quindi lo uccise pugnalandolo a morte nel luglio 1559; nella stessa occasione il duca sgozzò Diana Brancaccio. Le ragioni d'onore imponevano peraltro una ritorsione pure contro Violante che il 29 agosto 1559 fu strangolata nel castello dei Carafa a Gallese dal proprio fratello Ferrante Diaz Garlon, 4º conte di Alife, alla presenza del proprio zio Leonardo di Cardine. Eletto al pontificato Pio IV si scatenarono le vendette contro i nipoti del papa che si erano distinti per prepotenze, venalità e ruberie varie e l'omicidio di Violante finì ad arricchire i capi d'accusa. Giovanni Carafa fu arrestato con il fratello, cardinale Carlo Carafa, e con i due assassini Ferrante e Leonardo. Processati furono riconosciuti colpevoli e mentre a Carlo, in quanto cardinale, fu concesso lo strangolamento, essi vennero tutti e tre decapitati nella prigione di Tor di Nona il 5 marzo 1561(1).
(1)Fabio Boni, La vicenda della morte di Carlo e Giovanni Carafa in alcuni testi di fine Cinquecento e Seicento, in Romanica Silesiana, n.1, 2020
Cardinal nipote di papa Paolo IV si rese inviso durante il pontificato dello zio per una lunga serie di abusi, crudeltà e ruberie. Morto Paolo IV e successogli Pio IV fu arrestato e sottoposto a processo, venendo coinvolto pure nell'omicidio della cognata Violante Diaz Garlon, duchessa di Paliano. Condannato a morte fu giustiziato per strangolamento il 4 marzo 1561
Duchessa di Sabbioneta, prima moglie del duca Vespasiano Gonzaga, durante un'assenza di questi intavolò una relazione con un nobile della corte, Giovanni Annibale Ranieri. Il marito, rientrato a Sabbioneta, fece uccidere tanto la moglie quanto l'amante. Secondo la tradizione fece prima uccidere il Ranieri facendone poi porre il cadavere nella camera della moglie assieme ad una coppa di veleno ed impedendole di uscire sino a quando questa non accettò di berlo. La morte della giovane contessa fu comunque presentata come derivante da cause naturali l'8 novembre 1559(1)
(1)Raffaella Bonsignori, Vespasiano Gonzaga. Un uomo e la Morte, in InLibertà.it, 02.05.2018
I due cugini Achille e Ottone Lodron erano conti di Lodrone, ove risiedevano, ma godevano di alcuni diritti feudali nei confronti della vicina comunità di Bagolino. A seguito dell'uccisione da parte di Ottone, il 5 agosto 1535, di una guardia campestre di Bagolino i rapporti si deteriorarono velocemente. Nelle prime settimane del 1554 due decenni di contrasti esplosero violentemente quando l'ennesima pretesa dei conti nei confronti di alcuni mercanti di Bagolino portò ad una spedizione dei bagolinesi a Lodrone che si concluse con l'assalto al palazzo dei conti, l'uccisione di Achille e Ottone e il sequestro del giovane conte Ippolito(1).
(1)Gianni Poletti, La comunità di Bagolino e i Lodron, 19.09.2017
Marchese di Balestrino, aveva vessato per lungo tempo la popolazione con richiesta di prestazioni di lavoro forzato volto alla costruzione del castello-palazzo di Balestrino. Ormai molto anziano vi risiedeva con una amante, o moglie segreta, a nome Caterina Barla, di origini non nobili, che aveva fama di strega e che vessava continuamente gli abitanti del borgo. Il 16 marzo 1561 la popolazione esasperata diede l'assalto al castello e gli diede fuoco, dopo aver trucidato il marchese e la sua donna. Secondo altre fonti l'evento andrebbe retrodatato al 16 marzo 1553.
Capitano delle armate della Repubblica di Genova, partecipò alla grande spedizione di Andrea Doria nel novembre 1553 volta a scacciare dalla Corsica i francesi, che vi erano sbarcati in forze sotto Sampiero da Bastelica e il maresciallo Paul de Thermes. Cadde nello stesso mese nei combattimenti contro la guarnigione francese della piazzaforte di San Fiorenzo.
Primo esponente dei Cybo-Malaspina, fu coinvolto in una lunga disputa con la madre, Ricciarda Malaspina, per la proprietà del marchesato di Massa, venendone alla fine da questa estromesso con l'appoggio dell'imperatore Carlo V nel giugno 1547. Essendosi visto rifiutare l'appoggio per riconquistare il potere dallo zio acquisito Andrea Doria cospirò contro di lui per portare Genova nell'orbita francese, con l'appoggio dei fuorusciti guidati da Ottobono Fieschi, della famiglia fiorentina degli Strozzi e del papa Paolo III. Fu tuttavia scoperto e arrestato. Recluso inizialmente nella rocca di Pontremoli fu poi tradotto a Milano ove, riconosciuto colpevole di tradimento nei confronti dell'imperatore, fu giustiziato per decapitazione il 18 maggio 1548.
Ultimo marchese di Saluzzo, senza eredi, fu di fatto privato del potere dai francesi occupanti il marchesato che, accusandolo di intelligenza con gli imperiali, lo rinchiusero nella fortezza di Pinerolo. Liberato fu tuttavia costretto a non lasciare la cittadina e qui morì il 29 luglio 1548 dopo aver mangiato un melone avvelenato. Il marchesato di Saluzzo fu annesso alla Francia.
Artefice della celebre congiura contro il governo di Andrea Doria morì durante il tentativo di occupare Genova nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 1547. Forse colpito da un'archibugiata, più probabilmente in modo accidentale, cadde in acqua in darsena mentre cercava di passare sullo scalandrone tra due galee doriane catturate, la Capitana e la Padrona. Appesantito dall'armatura in ferro annegò immediatamente. La sua morte determinò il fallimento della congiura.
Appartenente al ramo di Sermoneta, contessa di Pitigliano, moglie del conte Giovan Francesco Orsini, fu ferita a morte l'11 gennaio 1547 quando la popolazione, stanca degli abusi del conte e forse istigata dal figlio Niccolò IV Orsini, diede l'assalto al palazzo principesco, impadronendosene e costringendo il conte a rifugiarsi a Sorano(1).
(1)Giuseppe Bruscalupi, Monografia storica della contea di Pitigliano, Firenze, 1906 pp.331-333
Cadde vittima di una congiura organizzata dal governatore spagnolo di Milano, Ferrante Gonzaga. Covando questi un odio mortale per il Farnese, e volendo ingraziarsi l'imperatore Carlo V che mirava a conquistare i ducati di Parma e Piacenza, reclutò una serie di nobili che per vari motivi covavano rancore nei confronti del duca: Luigi Gonzaga di Castiglione, Giovanni Anguissola, Agostino Landi, Gianluigi Confalonieri e i fratelli Girolamo e Alessandro Pallavicino. Il 10 settembre 1547, trovandosi il duca nella cittadella vecchia di Piacenza, i congiurati riuscirono ad entrare nel fortilizio uccidendo alcune guardie, penetrarono nella camera da letto di Pier Luigi e lo trucidarono a pugnalate, gettandone quindi il corpo dalla finestra. Le truppe spagnole di Ferrante Gonzaga poco dopo entrarono a Piacenza.
Successo al padre Cesare II nel 1531 nel feudo di Orzivecchi combattè al servizio dei francesi. Famoso schermidore e protagonista di numerose giostre e tornei, si rese inviso in seno al patriziato bresciano per l'indole prepotente e violenta che lo portò altresì a compiere alcuni omicidi. Infine si formò contro di lui una congiura capeggiata dal conte Avogadro e il 26 ottobre 1546 fu trucidato da una numerosa schiera di armati mente usciva dalla bottega di un armaiolo presso la Fara dei Mercanti di Brescia(1)
(1)MARTINENGO CESARESCO Giorgio, "il superbo italiano", in Enciclopedia Bresciana a cura di Antonio Fappani
Fu ucciso da alcuni congiurati, Checco Castellani e i fratelli Guglielmo e Bartolomeo Rorenghi (membri di altro ramo della consorteria Luserna) che con altri otto sicari penetrarono il 18 ottobre 1545 nel suo castello di Luserna. Mentre Giovan Francesco era fedele al duca di Savoia Carlo III i congiurati erano partigiani del re di Francia Francesco I(1).
(1)Pietro Rivoire, Storia dei signori di Luserna, Parte II, in Bulletin de la Société d'Histoire Vaudoise, n.13, 1896 pp.61-63
Comandante assieme al marchese Del Vasto dell'esercito ispano-imperiale impegnato in Piemonte contro i francesi, fu ucciso il 28 marzo 1537, durante l'assedio di Carmagnola. quando ispezionando le trincee fu raggiunto da un colpo di moschetto. Dopo la presa della città, per rappresaglia, il marchese Del Vasto fece impiccare il governatore francese.(1)
(1)Alexandre Saluces (Alessandro Saluzzo di Monesiglio), Histoire militaire du Piémont, Tome II, Torino, 1859 p.25
Fu assassinato a Firenze nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1537 da Lorenzo de' Medici detto Lorenzaccio, membro di un altro ramo della famiglia Medici. Attirato in casa di Lorenzo, suo compagno di bagordi, fu ucciso da questi con l'aiuto di un sicario. I motivi esatti dell'omicidio restano tuttora ignoti.
Vicario imperiale perpetuo del nord Italia partecipò nel giugno 1535 alla spedizione dell'imperatore Carlo V contro Tunisi, che era stata conquistata l'anno precedente dai Turchi Ottomani dell'ammiraglio Khayr al-Dīn Barbarossa. Morì il 30 giugno 1535 per ferite riportate negli scontri.
Fu ucciso nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1533, assieme al figlio Alberto, dal nipote Galeotto II Pico, conte di Concordia, che penetrò nel castello di Mirandola alla testa di quaranta uomini guidati da un certo Bartolomeo Brugnoli. Con l'uccisione di Gianfrancesco Galeotto riunì nelle sue mani i due feudi di Mirandola e Concordia.
Fu trucidato insieme alla moglie Beatrice e ai figli nella notte tra il 14 e il 15 febbraio 1529 quando diciannove congiurati, guidati da un certo Antonio Vianzino penetrarono nel castello dopo aver eliminato le guardie. Il maniero fu dato alle fiamme. La strage fu motivata da un lato dalla volontà del conte di punire alcuni abitanti che avevano partecipato all'assalto del castello di Vische nel Canavese contro i conti di San Martino, e dall'altro dall'insofferenza della popolazione contro le angherie e i soprusi del conte stesso(1).
(1)Fabrizio Bacolla, Un carnevale di sangue, in La voce, Blog, 14 febbraio 2015
Feudatario di Montaldeo venne trucidato con tutta la famiglia in una domenica imprecisata dell'anno 1528 a seguito di una congiura ordita dalle famiglie Lavezzari, Boffito ed Anfossi. Dopo aver ucciso Cristoforo e il figlio che era con lui i congiurati penetrarono nel castello, temporaneamente non presidiato poichè la guarnigione era andata in soccorso dei Trotti di Ovada, uccidendo gli altri figli, la moglie incinta ed alcuni servi. Tutti i cadaveri furono poi gettati in un pozzo che fu interrato. Mentre la tradizione attribuisce la congiura al malgoverno del Trotti e alle sue pretese fiscali pare che la cosa fosse stata istigata dai genovesi intenti a riconquistare alla repubblica i feudi dell'Oltregiogo.(1)(2)
(1)Alessandro Laguzzi, Guida di Montaldeo, Ovada, 2002
(2)Emilio Podestà, Uomini monferrini, signori genovesi, Ovada, 1986
Bianca Maria Scapardone, contessa di Challant, indusse un proprio amante, il capitano spagnolo Pedro de Cardona, ad uccidere un suo precedente amante, Ardizzino Valperga, Conte di Masino, che dopo il termine della relazione l'aveva denigrata in seno alla buona società milanese. Il Cardona, insieme ad altri sicari, tese un agguato al Valperga e lo uccise assieme al fratello Carlo in un giorno imprecisato del settembre 1526 in Milano. Il crimine fu tuttavia scoperto e la contessa, malgrado avesse tentato di corrompere il governatore Carlo di Borbone, fu giustiziata per decapitazione sul rivellino del Castello Sforzesco di Milano il 20 ottobre 1526.
Militando nelle file francesi cadde nella battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525 vinta dagli ispano-imperiali guidati da Carlo di Lannoy sui francesi guidati dal re Francesco I.
Implicato nella congiura dei fratelli Imperatore, che mirava a consegnare ai francesi il regno di Sicilia, fu fatto arrestare dal vicerè Ettore Pignatelli e giustiziare in Milazzo l'11 luglio 1523. La sua testa fu esposta al pubblico a Palermo in una gabbia di ferro come monito.
Conte di Cerreto Sannita nel regno di Napoli aveva fama di eccellente schermidore e giostratore in tornei. In servizio a Milano nell'esercito ispano-imperiale di Prospero Colonna provocò a duello il famoso Fabrizio Maramaldo e nel risultante scontro, avvenuto nei pressi di Mantova il 3 agosto 1523, ricevette ferite tali da condurlo alla morte.(1)
(1)Franca Petrucci, CARAFA, Giovanni Tommaso, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.19, 1976
Combattendo nelle file spagnole fu gravemente ferito nella battaglia della Bicocca presso Milano, il 27 aprile 1522, vinta dagli ispano-imperiali di Prospero Colonna sui francesi del Lautrec, Morì a Milano due giorni dopo per le ferite riportate.
Venne ucciso a pugnalate durante il sonno l'11 novembre 1522 nella rocca di Novellara da Ercole Gonzaga, appartenente a un ramo bastardo dei Gonzaga di Novellara. Si trattò d'omicidio d'onore in quanto Achille era stato sorpreso ad amoreggiare con la moglie di Ercole, Maddalena Torelli.
Noto come "il Buso", mercenario e avventuriero, assaltò il 30 agosto 1521 con la sua banda il castello di Agazzano a scopo di rapina. Scoppiata tuttavia una rissa in una taverna al riguardo della spartizione del bottino fu ucciso da uno dei suoi sodali, il milanese Astorre Visconti, il suo cadavere venendo gettato nel fossato del castello.
Lasciata Venezia per Roma nel dicembre 1521, alla morte di Papa Leone X, nulla più si seppe di lui, e il suo cadavere non fu mai ritrovato. Secondo i più fu ucciso da un suo servo per rapina.
Sospettato da papa Leone X di un'intesa con i Della Rovere contro la famiglia Medici fu fatto arrestare nel marzo 1520 e rinchiuso in Castel Sant'Angelo, venendo qui giustiziato per decapitazione la notte dell'11 giugno 1520
Costretto ad affrontare l'esercito pontificio guidato da Giovanni de' Medici (Giovanni dalle Bande Nere) che lo aveva assediato nel suo castello di Falerone trovò la morto nello scontro avvenuto presso la piana di Montegiorgio il 20 marzo 1520.
Mentre si trovava nella sua villa di Redona presso Bergamo assieme al nipote Bernardo, la notte del 3 settembre 1520 sorprese quattro persone, poi riconosciute per suoi servitori, penetrate nella villa a scopo di rapina. Avendo affrontato i ladri fu da questi ucciso.
Avendo cospirato contro il papa Leone X in quella che fu definita la congiura dei cardinali, fu arrestato il 17 maggio 1517 malgrado fosse in possesso di salvacondotto pontificio. Rinchiuso in Castel Sant'Angelo fu processato con l'accusa di voler attentare alla vita del papa e strangolato in carcere il 4 luglio 1517.
Resosi inviso ai cittadini di Matera per una serie di atti tirannici ed eccessive pretese fiscali volte a sanare i suoi debiti, cadde vittima di un attentato nel pomeriggio del 29 dicembre 1514 quando, recandosi in cattedrale per assistere alla Messa, fu aggredito e ucciso da un folto gruppo di cittadini congiurati.
Vassallo del marchese Guglielmo IX di Monferrato tentò di sottrarsi al legame stringendo alleanza con il duca Carlo III di Savoia con il fine ultimo di spodestare lo stesso marchese. Fu tuttavia scoperto e assediato dalle forze del marchese in Incisa, che cadde dopo un breve assedio il 24 luglio 1514. Oddone con il figlio Badone fu tratto prigioniero a Nizza della Paglia (oggi Nizza Monferrato) dove dopo un breve processo furono entrambi giustiziati.
Dopo la caduta di Bologna in mano ai francesi fu accusato di fronte al papa Giulio II dal comandante l'esercito pontificio, il duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere, di intelligenza con loro. Il papa tuttavia, trovandosi a Ravenna, accettò le spiegazioni dell'Alidosi rifiutandosi addirittura di ascoltare il duca. Per questo motivo, sommato a vecchi rancori tra i due, il duca affrontò personalmente e uccise il cardinale in una strada di Ravenna il 24 maggio 1511.(1)
(1)Gaspare De Caro, ALIDOSI, Francesco, detto il cardinal di Pavia, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.2, 1960
Avendo intrecciato una relazione, dopo essere rimasta vedova di Alfonso Todeschini-Piccolomini, 2º duca di Amalfi, con il proprio maggiordomo, Antonio Bologna, ed avendolo sposato segretamente, fu fatta catturare dal fratello, il Cardinale Luigi d'Aragona, che disapprovava il legame della sorella con una persona socialmente molto inferiore. Insieme ai tre figli avuti dal Bologna fu rinchiusa nella torre dello Ziro ad Amalfi e qui assieme a loro fatta uccidere.
Militando con il duca di Ferrara Alfonso I d'Este, fu ucciso presso Polesella il 16 dicembre 1509, poco prima della famosa battaglia, quando rientrando da una scorreria fu colpito da un colpo di falconetto sparato da una galea veneziana sul Po che gli tranciò di netto la testa.
42º Doge di Genova, eletto dal partito popolare, dopo soli diciassette giorni di dogato fu deposto dai Francesi quando questi con l'aiuto della nobiltà ebbero ripreso il controllo su Genova nell'aprile 1507. Fuggito fu consegnato a tradimento al governatore francese, Filippo di Clèves, che lo fece giustiziare nella piazza di fronte al Palazzo Ducale il 10 luglio 1507.
Rifugiatosi presso i propri cognati, la regina Caterina e il re Giovanni III di Navarra, prestò loro aiuto durante la guerra civile cosiddetta tra agramontesi e beaumontesi che vide i sovrani opposti a un bando nobiliare facente capo ai Beaumont, conti di Lerin. Il 12 marzo 1507 fu ucciso durante una scaramuccia contro i beaumontesi durante l'assedio di Viana.
Fu assassinato da uno sconosciuto il 30 gennaio 1505 in una piazza vicino al proprio palazzo in Oneglia. Le ragioni dell'omicidio, mai accertate, sono da ricercare secondo alcuni in presunti soprusi del principe nei confronti della popolazione e secondo altri in contrasti con altri rami della famiglia Doria.(1)
(1)Anna Esposito, DORIA, Gian Domenico detto Domenicaccio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.41, 1992
Signore di Miralbello, fu responsabile insieme al vescovo Gaspare Golfi della rivolta antiborgiana scoppiata a Cagli alla fine del 1502. Quando la città si arrese alle milizie borgiane fu catturato e poco dopo giustiziato nella piazza di Cagli il 6 gennaio 1503(1)(2).
(1)Stefano Lancioni, Storia della provincia di Pesaro e Urbino, Cap.XVII, edizione web
(2)Laura di Montevecchio Almerici, Famiglia Montevecchio: compendio genealogico, cenni biografici e note, Roma, 1909 pp.49-51
Vescovo di Cagli dal 1498, fu responsabile insieme ai conti di Montevecchio ed altri della rivolta antiborgiana scoppiata a Cagli alla fine del 1502. Quando la città si arrese alle milizie borgiane fuggì verso il proprio paese natale, Pergola. Fu tuttavia raggiunto da due sicari del Borgia a Frontone e decapitato nei pressi della chiesa di San Savino, ove sarebbe stato poi sepolto, l'11 gennaio 1503(1).
(1)Stefano Lancioni, Storia della provincia di Pesaro e Urbino, Cap.XVII, edizione web
Morì avvelenato il 3 aprile 1503, dopo due giorni di agonia. Dell'avvelenamento fu accusato il suo cuoco, che fu fatto giustiziare dal papa Alessandro VI, il quale tuttavia incamerò i beni del Michiel
Fu arrestato per ordine del pontefice Alessandro VI per aver partecipato ad una riunione preparatoria della congiura della Magione. Imprigionato prima a Tor di Nona e poi a Castel Sant'Angelo, fu qui avvelenato il 22 febbraio 1503.
Il 31 dicembre 1502 Cesare Borgia, fingendo un tentativo di riconciliazione, catturò con l'inganno quattro degli artefici della cosiddetta congiura della Magione, mirante a impedire la realizzazione da parte di Cesare di una signoria territoriale nell'Italia centrale. I quattro furono Vitellozzo Vitelli, conte di Montone, Oliverotto Euffreducci, signore di Fermo, Francesco Orsini, 4º duca di Gravina e Paolo Orsini, marchese di Atripalda. Vitellozzo Vitelli e Oliverotto Euffreducci furono uccisi poco dopo la loro cattura, venendo strangolati per opera di Michelotto Coreglia. Francesco e Paolo Orsini furono invece imprigionati a Città della Pieve, ove furono a loro volta uccisi per opera del Coreglia e di un altro sicario il 18 gennaio 1503, uno venendo strangolato e l'altro annegato.
Fu avvelenato il 20 luglio 1502 dal suo domestico Sebastiano Pinzoni, forse su mandato del papa Alessandro VI o di Cesare Borgia
Catturato alla presa di Faenza da parte di Cesare Borgia nell'aprile 1501 fu imprigionato a Roma, in Castel Sant'Angelo, assieme al fratello Giovanni Evangelista. L'anno successivo i due fratelli vennero assassinati in carcere e i loro corpi gettati nel Tevere, ove furono rinvenuti il 4 giugno 1502.
Catturato insieme ai figli da Cesare Borgia quando questi si impadronì di Camerino fu imprigionato nella rocca di Pergola, ove il 9 ottobre 1502 fu strangolato da Michelotto Coreglia. I figli Venanzio, Pirro e Annibale furono uccisi dal Coreglia poco tempo dopo.
Morì a Padova l'8 maggio 1501, molto probabilmente avvelenato, per ragioni sconosciute
2º marchese di Casei e Cornale, successo al padre Cristoforo nel 1460, fu protonotario apostolico ma depose la tonaca nel 1494 per sposare Francesco Bentivoglio, vedova del signore di Faenza Galeotto Manfredi che ella stessa aveva fatto uccidere. Sarebbe stato assassinato da dei nipoti a Guastalla nel maggio 1501. Dell'omicidio tuttavia mancano dettagli mentre un autore come il Litta non ne fa stranamente alcuna menzione.(1)
(1)Pompeo Litta Biumi, TORELLI DI FERRARA, Tav.VIII in Famiglie celebri italiane, 59, Milano, 1843
Dopo aver subito un attentato il 15 luglio 1500 in cui aveva riportato parecchie ferite era convalescente nelle proprie stanze in Vaticano quando il 18 agosto fu aggredito da un manipolo di uomini armati e strangolato nel letto da Michelotto Coreglia, il sicario di Cesare Borgia. Alla moglie Lucrezia e alla sorella Sancia fu impedito di vedere il cadavere e di partecipare agli affrettati funerali. Mentre Cesare Borgia sostenne che Alfonso stesse cospirando contro di lui è probabile che la ragione vera dell'attentato sia stata la volontà di liberare Lucrezia dal marito al fine di combinare per lei delle nuove nozze vantaggiose, cosa che poi avvenne due anni dopo quando sposò il duca di Ferrara.
Fu arrestato e fatto rinchiudere nella rocca di Ravaldino il 24 agosto 1402 dal suo parente, Francesco III Ordelaffi, che era successo al fratello Pino II Ordelaffi nella signoria di Forlì il 16 luglio dello stesso anno. Nella prigione Scarpetta morì, probabilmente avvelenato, il 31 ottobre 1402.
Comandante supremo dell'esercito veneziano fu sospettato di intese segrete con il duca di Milano Filippo Maria e quindi arrestato a Venezia l'8 aprile 1432. Processato dal Consiglio dei Dieci fu riconosciuto colpevole di tradimento e quindi giustiziato mediante decapitazione in Venezia, tra le due colonne di San Todaro e di San Marco, presenti la moglie e le figlie, il 5 maggio 1432.
Noto come Sergianni, favorito e amante della regina Giovanna II di Napoli, fu da questa, timorosa della troppa potenza e ricchezza da lui raggiunta, fatto uccidere in Castel Capuano la notte del 18 agosto 1432, terminati i festeggiamenti per le nozze di suo figlio Troiano Caracciolo con Maria Caldora. Sergianni fu ucciso con venti pugnalate da un gruppo di cinque sicari nella stanza del castello in cui si era recato per coricarsi.
Essendosi recato a portare aiuto a Costantinopoli assediata dai Turchi Ottomani con un corpo di 200 arcieri napoletani morì nei combattimenti in data imprecisata, quindi nell'aprile/maggio 1453 (Costantinopoli cadde il 29 maggio 1453). Tuttavia molti lo danno per morto nel mese di ottobre il che escluderebbe la morte in combattimento. EVENTO INCERTO
Morì nel castello di Altamura il 15 novembre 1463. Secondo alcuni fu strangolato da un certo Paolo Tricarico, secondo altri fu ucciso da Antonio d'Agello e Antonio Guidano, due persone di sua fiducia corrotte dal re Ferdinando I, secondo altri ancora morì di febbre quartana(1) EVENTO INCERTO
(1)Andreas Kiesewtter, ORSINI DEL BALZO, Giovanni Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.79, 2013
Fu ucciso in Roma assieme al proprio attendente la notte del 14 giugno 1497. Il corpo fu ripescato nel Tevere alcuni giorni dopo con intatto il contenuto della borsa appesa alla cintura, escludendosi così la rapina. I mandanti dell'omicidio non sono mai stati accertati anche se la tesi più popolare in ambito accademico è che siano da ricercare nella famiglia Orsini, avversaria dei Borgia.
Nella battaglia di Fornovo sul Taro, il 6 luglio 1495, le forze della Lega Italica (soprattutto milanesi, veneziane e mantovane) cercarono di impedire il passo all'esercito francese del re Carlo VIII che ritirandosi da Napoli cercava di rientrare in patria. Lo scontro ebbe esito incerto in quanto i francesi riuscirono a passare ma dovettero sacrificare tutte le salmerie con il bottino della spedizione. Combattendo nelle file italiane trovarono la morte vari signori quali Rodolfo Gonzaga, 1º Marchese di Luzzara, Galeazzo Ippoliti, Conte di Gazzolo, Giovanni Maria Cauzzi, Conte di Calvisano e Ranuccio Farnese, signore di Gradoli e Canino
Al servizio del pontefice Alessandro VI morì avvelenato per opera di un certo Matteo da Pesaro, canonico lateranense, il 26 luglio 1494. I Borgia, probabili istigatori dell'omicidio, cercarono di attribuire l'avvelenamento ai due fratelli di Nicola, Giacomo e Guglielmo.(1)
(1)Marina Raffaeli Cammarota, CAETANI, Nicola, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.16, 1973
Era co-signore di Rimini in quanto reggente per il nipote Pandolfo IV. Essendo molto popolare tra i sudditi maturò l'idea di farsene unico signore e a tal fine fece prima uccidere il proprio fratello Raimondo, comandante delle milizie malatestiane, e quindi cospirò per uccidere lo stesso nipote. Ma la congiura fu scoperta e Pandolfo lo fece uccidere da suoi sicari a Rimini il 31 luglio 1492.
Cadde vittima di una congiura organizzata dai due fratelli Ludovico e Checco della nobile famiglia forlivese degli Orsi, che contavano sull'appoggio esterno di Antonio Maria Ordelaffi, il signore di Forlì spodestato da Girolamo nel 1480, del papa Innocenzo VIII e di Lorenzo de' Medici, che non aveva dimenticato la complicità di Girolamo nella congiura dei Pazzi. La sera del 14 aprile 1488 i due fratelli Orsi, con la complicità di due guardie, entrarono nella residenza di Girolamo e lo uccisero a pugnalate, denudandone poi il cadavere e gettandolo dalla finestra.
Fu trucidato il 31 maggio 1488 a Faenza a seguito di una congiura ordita dalla moglie, Francesca Bentivoglio, che si avvalse di alcuni patrizi faentini. Accorso al capezzale della moglie che si fingeva ammalata fu ucciso da quattro sicari appostati nella camera. Si narra che anche la moglie abbia partecipato direttamente alla mattanza.
Comandante dell'esercito veneziano cadde nella disfatta subita a Calliano, tra Rovereto e Trento, il 10 agosto 1487, ad opera delle truppe dell'arciduca Sigismondo d'Austria, conte del Tirolo.
La sorte di numerosi baroni napoletani fatti arrestare nel 1486 dal re Ferdinando I a seguito della famosa congiura cosiddetta, appunto, dei Baroni, è stata per lungo tempo oggetto di svariate speculazioni.(1)(2)(3) Per alcuni degli arrestati, Giovanni Caracciolo, duca di Melfi, Pirro del Balzo, principe di Altamura, e Angilberto del Balzo, duca di Nardò, si suggerì fossero stati uccisi in carcere a Castel dell'Ovo, il 25 dicembre 1490 o 1491, strangolandoli e quindi precipitandoli in mare. Varie illazioni sono state fatte inoltre sulla morte in carcere di Marino Marzano, principe di Rossano: alcuni lo hanno confuso con il figlio Giovan Battista, altri ne hanno fissato la morte al 1489 e altri ancora lo hanno fatto trasferito ad Ischia all'ascesa al trono di Alfonso II nel 1494 e qui ucciso da un moro. Appare ora tuttavia pressochè certo che i primi tre morirono in carcere per vecchiaia o malattia mentre nel caso del Marzano regna ancora l'incertezza.(4)
(1)Franca Petrucci, CARACCIOLO, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.19, 1976
(2)Franca Petrucci, DEL BALZO, Pirro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.36, 1988
(3)Patrizia Sardina, MARZANO, Marino, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.71, 2008
(4)Elisabetta Scarton, La congiura dei baroni del 1485-87 e la sorte dei ribelli, in AA.VV. , Poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d'Aragona, Napoli, 2011
Antonello Petrucci era segretario del re di Napoli Ferdinando I che gli aveva permesse di accedere nei ranghi della nobiltà, grazie alla concessione reale di numerosi feudi e all'acquisto da parte sua delle contee di Policastro e di Carinola che in seguito cedette, rispettivamente, ai due figli Giovanni Antonio e Francesco. Con i figli e numerosi altri nobili partecipò alla cosiddetta Congiura dei Baroni e insieme a molti altri fu arrestato in Castelnuovo il 13 agosto 1483 in occasione delle nozze tra Marco Coppola e Maria Piccolomini. Processati e riconosciuti tutti colpevoli padre e figli furono condannati a morte: Giovanni Antonio, conte di Policastro e Francesco, conte di Carinola furono giustiziati l'11 dicembre 1486, il padre insieme al suo sodale Francesco Coppola, conte di Sarno, esattamente sei mesi dopo, l'11 maggio 1487.
Avendo cospirato con numerosi membri della feudalità napoletana nella cosiddetta Congiura dei Baroni contro il re Ferdinando I fu arrestato insieme ad altri il 13 agosto 1486 in Castelnuovo durante la cerimonia nuziale del proprio figlio Marco con Maria Piccolomini. Riconosciuto colpevole fu condannato a morte e giustiziato, sempre in Castelnuovo, assieme ad Antonello Petrucci l'11 maggio 1487
Accusato di mala condotta da parte della popolazione di Fermo, fu invitato dal papa Sisto IV nel 1482 ad abbandonare la città, della cui diocesi fu nominato Amministratore Apostolico Francesco Todeschini Piccolomini. Dopo aver passato due anni a Roma rientrò a Fermo ma qui cadeva vittima il 3 marzo 1484 dell'ostilità popolare. Veniva infatti aggredito nel suo palazzo da due cittadini, Bernardino Adami e Gabriele Cristofori, e gettato dalla finestra: si è sostenuto che all'origine del delitto stessero questioni di onore.(1)
(1)Massimo Miglio, CAPRANICA, Giovan Battista, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.19, 1976
Comandava le truppe napoletane che fronteggiarono inizialmente i Turchi Ottomani nelle campagne dopo la presa di Otranto nel 1480. Durante una ricognizione con pochi soldati al seguito cadde vittima di un'imboscata turca il 7 febbraio 1481 presso Serrano, oggi una frazione di Carpignano Salentino. I turchi decapitarono il cadavere e prima esposero la testa sugli spalti di Otranto, poi la inviarono al sultano Maometto II a Istanbul.
Quando i Turchi Ottomani conquistarono Otranto fu ucciso allorchè, l'11 agosto 1480, il comandante turco Gedik Ahmet Pascià irruppe nella cattedrale ove l'ormai anziano arcivescovo guidava la preghiera e impose a tutti la conversione all'Islam. Di fronte al rifiuto il prelato fu ucciso dai soldati a colpi di scimitarra nel coro della cattedrale e decapitato, la sua testa venendo issata su una picca e portata in giro per la città.
Avendo fatto avvelenare tanto la prima moglie, Barbara Manfredi di Faenza, quanto la seconda, Zaffira Manfredi di Imola, cadde vittima della terza, Lucrezia Pico della Mirandola, che probabilmente desiderò in tal modo evitare la fine delle prime due. Morì infatti avvelenato da questa in Forlì, il 10 febbraio 1480, durante una cena in casa del proprio segretario Luffo Numai.
Fortemente avverso al regime mediceo fu tra i partecipanti alla congiura dei Pazzi il 26 aprile 1478. Il suo compito sarebbe stato quello di impadronirsi di Palazzo Vecchio e di uccidere il Gonfaloniere di Giustizia Cesare Petrucci dopo aver richiesto a lui un colloquio in nome del papa; il gonfaloniere tuttavia non si fece ingannare e catturò personalmente il Salviati che fu riconosciuto colpevole e immediatamente impiccato, ancora indossante le vesti episcopali, alle finestre di Palazzo Vecchio. Le circostanze della sua morte, giustiziato senza l'intervento di un tribunale ecclesiastico, indussero il papa Sisto IV a scomunicare Lorenzo de' Medici e a lanciare l'interdetto sulla città di Firenze.
Cadde vittima il 26 aprile 1478 della congiura dei Pazzi, una vasta cospirazione contro la signoria medicea attuata dalla famiglia fiorentina dei Pazzi e sostenuta dal papa Sisto IV, dal re di Napoli e dal duca di Urbino. Durante la Messa in Santa Maria del Fiore Giuliano e il fratello Lorenzo furono aggrediti dai congiurati. Lorenzo fu solo ferito mentre Giuliano cadde vittima dei colpi di Francesco de' Pazzi e di Bernardo Bandini. La congiura fallì a seguito dell'appoggio dato al superstite Lorenzo dalla popolazione fiorentina. I cospiratori furono in larga parte rintracciati e messi a morte.
Inviso alla popolazione a causa dei suoi modi e dei pesanti gravami fiscali cadde vittima di una congiura il 26 dicembre 1476 quando tre nobili milanesi, Giovanni Andrea Lampugnani, Girolamo Olgiati e Carlo Visconti, lo pugnalarono sulla soglia della chiesa di Santo Stefano. È stato suggerito che dietro la congiura vi fosse la longa manus del re di Francia Luigi XI. Dei tre assassini il Lampugnani fu ucciso immediatamente dalle guardie, l'Olgiati e il Visconti furono catturati e poi giustiziati.
Nominato erede dal padre Sigismondo Pandolfo e successo a lui nel 1468, gli fu contestata la successione dal fratello Roberto che lo fece uccidere a tradimento in Rimini l'8 agosto 1470 succedendogli quindi nella signoria.
Fu spodestato della signoria il 4 gennaio 1466 dal fratello Pino III Ordelaffi, che con alcuni congiurati penetrò nel suo palazzo e lo fece incarcerare nella torre dell'orologio, ove secondo alcuni il 22 aprile successivo fu ucciso a pugnalate da alcuni consiglieri di Pino che temevano una congiura che lo avrebbe rimesso al potere. Secondo altri in prigionia morì di morte naturale.
Aveva rinunciato al dogato nel gennaio 1458 in favore del re di Francia Carlo VII, ottenendone in cambio la signoria su Gavi e Voltaggio. Pentitosi in seguito della scelta tentò di ottenere nuovamente il potere in Genova, con l'appoggio del duca di Milano e del re di Napoli. Fallito un primo tentativo durante il secondo, il 14 settembre 1459, penetrò nelle mura ma si ritrovò in breve isolato e fu ucciso a colpi di mazza ferrata, dopo un breve inseguimento per le vie della città, da Giovanni Cossa, comandante militare per il governatore francese Giovanni d'Angiò.
Era al servizio della Repubblica di Siena come comandante dell'esercito levato per fronteggiare Jacopo Piccinino, che con le sue bande e l'appoggio del re di Napoli mirava a ritagliarsi uno stato personale nell'Italia centrale. Avutosi sentore di contatti tra di lui e il Piccinino il governo della repubblica lo convocò a Siena e qui, in un'infuocata riunione nel palazzo del governo il 6 settembre 1455, fu ucciso da alcuni armati su indicazione dei priori di Balia, venendo il suo cadavere gettato poi dalla finestra nella piazza sottostante.
Signore d'Introd, balivo di Aosta, sposò la contessa Caterina di Challant, vedova del primo marito Giovanni di Challant-Fénis. Risiedeva nel castello di Verrès quando nel 1456 si mosse per soccorrere la moglie, assediata nel castello di Châtillon dal cugino Giacomo di Challant-Aymavilles. Lungo la strada tuttavia cadde in un'imboscata a Barmachande, nei pressi della prevostura di Saint-Gilles, e fu ucciso.
Capitano generale degli eserciti della Repubblica di Genova aiutò il cugino Pietro II Fregoso ad ascendere al dogato nel 1450. Tuttavia due anni più tardi lo stesso doge, geloso e timoroso del potere e della popolarità di Niccolò, con l'accordo del fratello di questi, Spinetta Fregoso, lo fece arrestare con l'accusa di aver intessuto trame con i nemici della repubblica e quindi condannare a morte e giustiziare nella prima metà del giugno 1452.(1)
(1)Giustina Olgiati, FREGOSO, Niccolò in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.50, 1998
Perse la signoria su Ravenna, conquistata dai veneziani, il 24 febbraio 1441. Fu quindi per volere del doge Francesco Foscari esiliato con la famiglia a Candia, nell'isola di Creta, ove venne a morte in data incerta, ma comunque prima del 27 maggio 1447 quando il Senato veneto concesse alla vedova Ginevra Manfredi di rientrare a Venezia.(1) È opinione diffusa che Ostasio sia perito di morte violenta, forse nel 1444. Lo storico Camillo Spreti diede una descrizione della circostanze della sua morte, secondo cui Ostasio sarebbe rimasto vittima di una rissa tra i frati del monastero in cui alloggiava.(2)
(1)Luigi Passerini Orsini de' Rilli, DA POLENTA SIGNORI DI RAVENNA. Famiglia estinta intorno al 1447, Tav.VI, in Dinastie celebri italiane, 82, Milano, 1861
(2)Camillo Spreti, Memorie intorno i dominii e governi della citta di Ravenna, Faenza, 1822 pp.223-224
Cadde in un agguato delle famiglie rivali Canetoli e Ghisileri il 24 giugno 1445 quando, invitato ad una cerimonia battesimale, fu circondato ed ucciso per strada davanti alle case dei primi.
Pur avendo rinunciato da tempo alla signoria su Bologna, fu fatto uccidere il 23 dicembre 1435 da Baldassarre da Offida, vice del legato pontificio Daniele Scoti, poichè si temeva volesse sottrarre la città al dominio della Chiesa. Attirato con una scusa nel palazzo comunale fu trucidato con alcuni compagni.
Sarebbe morto avvelenato, assieme a diciotto membri del suo seguito, a Viterbo il 9 ottobre 1445. Secondo alcuni il duca di Milano Filippo Maria ordinò l'omicidio.(1)
(1)Lorenzo Cardella, Memorie storiche de' cardinali della Santa Romana Chiesa, Vol.III, Roma, 1793 pp.80-81
Fu ucciso durante il sonno, il 12 settembre 1444, nella sua casa di Roma, da un certo Antonello della Rocca, figlio della sua cameriera, che intendeva derubarlo. L'assassino fu successivamente catturato e giustiziato.(1)
(1)Lorenzo Cardella, Memorie storiche de' cardinali della Santa Romana Chiesa, Vol.III, Roma, 1793 pp.63-65
Creato 1º duca di Urbino a soli sedici anni dal pontefice nel 1443, si rese in breve odiato per un sostanziale inasprimento dei carichi fiscali e per abusi e prepotenze, sue e dei suoi consiglieri, nei confronti della popolazione. Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 1444 un manipolo di congiurati entrò nella residenza ducale e uccise prima i due consiglieri del duca, Manfredo Pio di Carpi e Tommaso dell'Agnello, e quindi lo stesso Oddantonio che fu fatto inginocchiare di fronte a un crocefisso, pugnalato e quindi finito con un colpo di mannaia alla testa. Il cadavere fu gettato in strada e qui oltraggiato e mutilato dalla popolazione.(1) È possibile che il fratello naturale Federico, che gli successe, non fosse estraneo alla cospirazione.
(1)Anna Falcioni, ODDANTONIO da Montefeltro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.79, 2013
Legato pontificio in Ungheria convinse il re Ladislao III di Polonia ed Ungheria a rompere il trattato stipulato con il sultano Murad II e a riprendere l'offensiva contro i Turchi Ottomani. Cadde insieme al re nella battaglia di Varna il 10 novembre 1444 quando l'esercito polacco-ungherese fu rovinosamente sconfitto.
Per ordine del papa Eugenio IV, timoroso del potere raggiunto dal Vitelleschi nello Stato della Chiesa, fu arrestato con l'inganno dal castellano di Castel S.Angelo, Antonio da Rido, il 19 marzo 1440. Rinchiuso nelle segrete venne a morte il 2 aprile 1440, non si sa se per ferite riportate durante l'arresto o per avvelenamento.
Fu catturato dalle milizie pontificie del cardinale Vitelleschi l'8 settembre 1439 quando Foligno, stanca del dominio tirannico della famiglia Trinci, aprì loro le porte. In tale circostanza furono uccisi a furor di popolo tre figli di Corrado, Ugone, Cesare e Francesco.(1) Corrado con i due figli Ugolino e Niccolò fu tradotto nella rocca di Soriano nel Cimino, ove per ordine del pontefice fu assieme a loro strangolato in carcere il 14 giugno 1441.
(1)Pompeo Litta Biumi, TRINCI DI FOLIGNO. Famiglia estinta nel 1452. in Famiglie celebri italiane, 6, Milano, 1822
Signore di Sermoneta, fu ucciso o fatto uccidere in circostanze ignote, nel gennaio o febbraio 1436, dallo zio Cristoforo Caetani di Fondi. Si è suggerito che Ruggero avesse tentato di far uccidere Onorato, figlio di Cristoforo, o che alla radice del crimine fossero ragioni di interessi famigliari ed economici.(1)(2)
(1)Paola Supino Martini, CAETANI, Ruggero, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.16, 1973
(2)Gelasio Caetani, Domus Caietana. Storia documentata della famiglia Caetani, Vol.I, Parte II, San Casciano Val di Pesa, 1927 p.40
2ª marchesa di Cotrone (odierna Crotone), successa al padre Niccolò nel 1434, sposò Antonio Colonna di Paliano cui era stata promessa fin dal 1425 per volere della regina Giovanna II di Napoli. Il mistero circonda la sua fine. Secondo il Litta fu uccisa dal suo tutore(1), secondo altri fu assassinata nella sua dimora, forse da un parente.
(1)Pompeo Litta Biumi, COLONNA DI ROMA, Tav.IV in Dinastie celebri italiane, 37, Milano, 1836
Tommaso Chiavelli(1), ormai settantacinquenne, morì con il figlio Battista, da lui associato al governo di Fabriano, e ad altri dodici membri della famiglia, di cui alcuni ancora in fasce, in quello che fu il più violento eccidio del Rinascimento italiano. La durezza del governo di Battista Chiavelli, l'esempio della vicina Camerino che il 10 ottobre 1434 si era liberata violentemente dei da Varano e forse anche gli intrighi di Francesco Sforza che tentava di conquistare le città della Marca contro il papa Eugenio IV, spinsero un gruppo di cittadini ad un'azione risolutiva per liberarsi di tutta la famiglia dei signori. È stato pure suggerito che dietro l'organizzazione della congiura vi fosse lo stesso Arcangelo di Fiordimonte anima della congiura di Camerino.(2) Il giovedì dell'Ascensione 26 maggio 1435, mentre assistevano alla Messa nella cattedrale di San Venanzio, i Chiavelli, adulti e bambini, furono aggrediti durante il Credo nel momento "et incarnatus est de Spiritu Sancto" e massacrati. Due bambini ancora in fasce furono successivamente uccisi quando dopo la strage fu assalito il palazzo dei signori. Si salvarono solo due membri della famiglia che tuttavia non riuscirono più a recuperare la signoria su Fabriano.(3)
(1)Pier Luigi Falaschi, CHIAVELLI, Tomasso, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.24, 1980
(2)Matteo Mazzalupi, Il volto del traditore.Documenti per Arcangelo Chiavelli alias Arcangelo di Fiordimonte, 2015 disponibile su Academia.edu
(3)Federico Uncini, L'eccidio del 1435, cronaca di una rivoluzione fabrianese, 2018 in Fabriano storica, con un esteso elenco dei nomi dei congiurati
Appartenente al ramo di Pitigliano della famiglia Orsini che deteneva la signoria condivisa sui feudi di Pitigliano e Soana, sovranità contestata dalla Repubblica di Siena. Fu forse anche investito dalla regina Giovanna II di Napoli della contea di Nola tolta ad altro ramo della famiglia. Nel 1429 riuscì a recuperare i suoi domini dai senesi ma nell'agosto 1434, portatosi a Soana per difenderla da un'attesa, nuova aggressione, fu sorpreso da una congiura ed ucciso da un contadino con un colpo di spiedo.(1)(2)
(1)Pompeo Litta Biumi, ORSINI DI ROMA, Tav.XVI, in Famiglie celebri italiane, 62, Milano, 1846
(2)Giuseppe Bruscalupi, Monografia storia della contea di Pitigliano, Firenze, 1906 pp.211-212
A seguito dell'irruzione delle milizie sforzesche nella Marca e dell'uccisione di Berardo da Varano a Tolentino, si formò in Camerino una vasta congiura con l'obiettivo di levar di mezzo per sempre la famiglia da Varano. La domenica 10 ottobre 1434 mentre Gentilpandolfo con poca scorta e con i figli di Berardo, alcuni dei quali ancora in tenera età, si avviava per assistere alla Messa nella chiesa di San Domenico un folto gruppo di congiurati armati li aggredì sul sagrato. Caddero uccisi a colpi di spada e di pugnale Gentilpandolfo e i suoi nipoti Giovan Venanzio, Ladislao e Rodolfo mentre i piccoli Bartolomeo, Ansovino e Giovan Filippo furono percossi a morte contro le pareti della chiesa. L'eccidio si concluse poi quando la folla invase il palazzo dei Varano e uccise altri due membri della famiglia. Scamparono alla strage solo Rodolfo e Giulio Cesare, figli rispettivamente di Piergentile e Giovanni II.(1)
(1)Camillo Lilii, Dell'historia di Camerino, Parte II, Macerata, 1652 p.175-176
Governò il territorio di Camerino insieme al fratello Gentilpandolfo dopo aver con lui tolto di mezzo i due fratellastri Giovanni II e Piergentile. Quando Francesco Sforza, al servizio del duca di Milano Filippo Maria invase la Marca contro il papa Eugenio IV si recò a Tolentino per porla in stato di difesa. Qui il 12 luglio 1434 mentre passeggiava presso la porta di San Catervo con il fido Luca Ridolfucci fu assalito da un nutrito gruppo di abitanti guidati da un luogotenente dello Sforza e ucciso. L'assassinio fu attribuito all'odio che la popolazione provava per Berardo a seguito dell'uccisione dei fratellastri avvenuta l'anno precedente. (1)
(1)Camillo Lilii, Dell'historia di Camerino, Parte II, Macerata, 1652 p.175
Malgrado non si fosse recato con il fratello Piergentile all'incontro di San Severino Marche con il rettore Giovanni Vitelleschi e i fratellastri Gentilpandolfo e Berardo, cadde ugualmente vittima della congiura pochi giorni dopo nello stesso mese di settembre 1433. Raggiunto a Camerino da Gentilpandolfo e dai figli di Berardo ebbe con loro un alterco e poco dopo fu ucciso da sicari di Berardo a colpi di accetta.
Era co-signore di Camerino assieme al fratello Giovanni II e ai fratellastri Gentilpandolfo e Berardo, nati dalla prima moglie del padre Rodolfo III, Elisabetta Malatesta. Cadde vittima insieme al fratello di una congiura ordita dai due fratellastri assieme al rettore pontificio, Giovanni Vitelleschi, Vescovo di Macerata e Recanati. Invitati entrambi ad un incontro a San Severino Marche con il rettore e i due fratellastri Giovanni ebbe l'accortezza di non andarvi mentre Piergentile, come fu arrivato, fu incarcerato e tradotto a Recanati, ove fu decapitato il 6 settembre 1433 con l'accusa di aver spacciato moneta falsa nello Stato della Chiesa.
Il 9 dicembre 1431 scoppiò a Fano un'insurrezione armata contro il dominio dei Malatesta capeggiata da un prete, Matteo Buratelli parroco di Cuccurano. Mentre Sigismondo Pandolfo Malatesta, intervenuto in città in aiuto del fratello Domenico, fu solo ferito, la folla trucidò parecchi nobili del suo seguito tra cui Giovanni I, conte di Carpegna, Guido Castracani conte di Castelleone e Guido Gabrielli conte di Montevecchio. La rivolta fu in seguito domata e il Buratelli finì sul patibolo. (1)
(1)Armando Laghi, L'insurrezione armata contro i Malatesti capeggiata da don Matteo Buratelli da Cuccurano nella cronaca di Vincenzo Nolfi, Fano, 1968
Privato della signoria su Cremona dal duca di Milano Filippo Maria si ritirò a Castelleone con il titolo di marchese. Il duca tuttavia non si fidava di lui e lo fece arrestare dal suo ministro Oddone Lampugnani. Tradotto a Milano fu giustiziato per decapitazione il 12 febbraio 1425.
Fu ucciso la notte del 10 gennaio 1421 nella rocca di Nocera dal castellano, Pietro da Rasiglia, con la cui moglie aveva intrattenuto una relazione. Niccolò e i due fratelli Bartolomeo e Corrado erano stati invitati a partecipare a una battuta di caccia, ma accettarono l'invito solo Niccolò e Bartolomeo, essendo Corrado impegnato a Trevi. Niccolò, ospitato nella rocca, fu ucciso nella sua camera dal castellano mentre Bartolomeo, alloggiato fuori, fu ucciso la mattina seguente quando arrivò alla rocca per proseguire la battuta di caccia. Il duplice omicidio fu ferocemente vendicato dall'altro fratello, Corrado, che fece morire Ser Pietro con molti della sua famiglia.(1)
(1)Pompeo Litta Biumi, TRINCI DI FOLIGNO. Famiglia estinta nel 1452. in Famiglie celebri italiane, 6, Milano, 1822
Il 16 giugno 1418 i marchesi Malaspina di Verrucola, Niccolò, il figlio Bartolomeo con la moglie incinta Margherita Anguissola e alcuni famigli furono trucidati da dei sicari dei marchesi Leonardo e Galeotto Malaspina di Castel dell'Aquila, che si introdussero nottetempo nella fortezza di Verrucola. Soli alla strage scamparono Giovanna, figlia del marchese, che Galeotto intendeva prendere in moglie, e il suo fratellino Spinetta, di soli 20 mesi, che sarebbe stato nascosto da una balia e che in seguito avrebbe ereditato il feudo. Secondo alcune versioni il vecchio marchese Niccolò, ottuagenario, sarebbe stato tratto prigioniero e sarebbe morto in seguito. (1)(2)
(1)Giovanni Sforza, La strage de' marchesi Malaspina della Verrucola (1418) in Giornale ligustico di Archeologia, Storia e Belle Arti, 22, 1897
(2)Umberto Giampaoli, Spigolature dall'archivio dei marchesi di Olivola, in Giornale storico e letterario della Liguria, III,2, 1927 pp.162-163
Accusata dal secondo marito, il duca di Milano Filippo Maria, di aver commesso adulterio con un suo servitore a nome Michele Orombelli fu fatta confessare sotto tortura e quindi giustiziata mediante decapitazione nel castello di Binasco, insieme all'amante, il 13 settembre 1418.
Nel luglio 1413 i tre fratelli Malaspina che governavano congiuntamente il marchesato di Olivola furono uccisi nello stesso giorno portando all'estinzione della loro linea e alla spartizione delle loro terre tra altri rami della famiglia Malaspina. I dettagli del fatto così come i nomi dei tre marchesi sono tuttavia molto incerti. Secondo la narrazione tradizionale essi caddero vittima di un loro suddito, a nome Pietro Rossi, che era emigrato in Francia e qui aveva fatto carriera militare. Rientrato aveva trovato che la bellissima moglie era stata sedotta, o stuprata, da uno o più dei tre marchesi e quindi in uno stesso giorno si era vendicato, uccidendo Bernabò e un altro, variamente descritto come Alessandro, Giovanni o Opizzo, sul cimitero della chiesa parrocchiale di Varano, mentre un terzo fratello, Raffaele, sarebbe stato ucciso nel suo castello di Olivola.(1) Tale narrazione tradizionale è peraltro messa in dubbio, venendo aggiunto alle vittime un figlio probabilmente di Bernabò, mentre l'assassino sarebbe un certo Carlo, sicario di un marchese Malaspina di altro ramo oppure addirittura del marchese d'Este. (2)
(1)Eugenio Branchi, Storia della Lunigiana feudale, Vol.III, Pistoia, 1898 pp.380-384
(1)Umberto Giampaoli, Spigolature dall'archivio dei marchesi di Olivola, in Giornale storico e letterario della Liguria, III,2, 1927 pp.161-165
Fu ucciso il 16 maggio 1412 sul sagrato della chiesa di San Gottardo in Corso a Milano da un folto gruppo di congiurati appartenenti a famiglie nobili della città - Pusterla, Aliprandi, Trivulzio, del Majno - che desideravano sottrarre il potere a Giovanni Maria, ritenuto inadatto e mentalmente instabile, e darlo a discendenti di Bernabò.
Di ritorno con alcuni parenti da Milano, dove aveva visitato il duca Giovanni Maria, fu ospitato nel castello di Maccastorna dal suo fedele condottiero Cabrino Fondulo il quale tuttavia, durante la notte del 24 luglio 1406, fece trucidare dal suo scherano Biancarello da Quinzano il Cavalcabò, i suoi parenti e tutto il loro seguito, e ne fece gettare i corpi nei fossati del castello. In tal modo Cabrino Fondulo si impadronì della signoria su Cremona.
Dopo aver perso la signoria sulla città ad opera del cugino Carlo Cavalcabò fu a questi consegnato dal condottiero Cabrino Fondulo e rinchiuso nel castello di Santa Croce in Cremona. Dopo l'eccidio di Maccastorna del 24/25 luglio 1406 Cabrino Fondulo si impadronì di Cremona e fece uccidere Ugolino.
Co-signore di Cremona con Ugolino Cavalcabò durante il confuso periodo successivo alla morte di Gian Galeazzo Visconti morì avvelenato, probabilmente per opera del Cavalcabò, il 6 dicembre 1403
Fu ucciso a tradimento il 27 aprile 1409 nelle campagne di Rubiera da Muzio Attendolo Sforza e Micheletto Attendolo in un agguato tesogli dal marchese Niccolò III d'Este.
Malgrado avesse rinunciato alla signoria su Fermo a favore della Chiesa nel 1397 fu fatto arrestare e giustiziare il 1º settembre 1407 dal nuovo signore della città, Ludovico Migliorati, nipote di papa Innocenzo VII, che vedeva in lui una minaccia per la propria signoria. Due giorni dopo furono giustiziati anche i suoi due figli maschi.(1)
(1)ACETI, Antonio in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.1, 1960
Fu ucciso nel proprio palazzo di Cortona l'11 ottobre 1407 dal nipote Aloigi e da alcuni suoi propri famigli che erano stati pagati da quest'ultimo. La moglie che tentò di difenderlo fu anch'essa ferita. Il corpo di Francesco fu poi gettato dalla finestra nella piazza sottostante.(1)(2)
(1)Franco Cardini, CASALI, Francesco Senese, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.21, 1978
(2)Girolamo Mancini, Cortona nel Medioevo, Pisa, 1897 pp.261-262
Fu ucciso a Teramo, il 17 febbraio 1407, da alcuni membri della famiglia Melatino. Ritornato da una caccia fu attirato a cena in casa Melatino da una sua concubina e ucciso nottetempo dopo che si era coricato con questa. Ragioni di onore famigliare pare siano state all'origine dell'attentato.(1)
(1)Pompeo Litta Biumi, ACQUAVIVA DI NAPOLI, Tav.II, in Famiglie celebri italiane, 99, Milano, 1843
Catturato dai veneziani con i figli dopo la caduta e la dedizione di Padova, avvenuta il 22 novembre 1405, fu strangolato in prigione a seguito di una decisione del Consiglio dei Dieci il 17 gennaio 1406. Due giorni dopo la stessa sorte toccò ai figli Francesco e Giacomo.
Costretto ad abbandonare il dogato a favore di Antoniotto Adorno il 3 settembre 1394 cospirò in seguito contro i nuovi dominatori francesi e fu costretto all'esilio. Il 28 febbraio 1405 subì un attentato a Pavia da parte di sicari del governatore francese Boucicaut con stiletti avvelenati e morì per le conseguenze di questo il successivo 16 marzo.
Dopo essere stato costretto a cedere Faenza allo Stato della Chiesa cercò di organizzarne la resistenza contro il legato pontificio Baldassarre Cossa, futuro antipapa Giovanni XXIII, ma questi lo fece catturare e tradurre a Bologna. In capo a due mesi lo fece riportare a Faenza e qui decapitare sulla piazza principale il 28 novembre 1405.
Rimasto co-signore di Ravenna assieme al fratello Obizzo venne a morte in una data variamente indicata tra il 1404 e il 1406 in circostanze poco chiare. Secondo il Passerini, che proseguì i lavori del Litta, fu fatto segretamente strangolare dal fratello.(1)
(1)Luigi Passerini Orsini de' Rilli, DA POLENTA SIGNORI DI RAVENNA. Famiglia estinta intorno al 1447, Tav.V in Famiglie celebri italiane, 143, Milano, 1861
Era probabilmente in punto di morte quando fu massacrato dalla folla tumultuante contro la signoria degli Ordelaffi che invase il suo palazzo l'8 settembre 1405. Dopo la sua morte Forlì si diede un ordinamento repubblicano.(1)
(1)Luigi Passerini Orsini de' Rilli, ORDELAFFI DI FORLÌ. Famiglia estinta nel 1504, Tav.IV in Famiglie celebri italiane, 145, Milano, 1862
Sul finire del 1403 o 1404 (le date sono incerte) il re di Napoli Ladislao fece arrestare parecchi membri della potente famiglia Sanseverino, li fece rinchiudere nelle segrete di Castelnuovo e qui li fece mettere a morte per strangolamento. Infine per supremo oltraggio ordinò che i loro cadaveri fossero gettati nei fossati del castello in pasto ai cani. I membri della famiglia uccisi furono, con un elenco che potrebbe non essere esaustivo: Gaspare, 2º conte di Lauria, Ugo, 1º conte di Potenza, Tommaso, 1º conte di Montescaglioso, Venceslao, 1º duca di Amalfi e Enrico, 3º conte di Terranova. La datazione dell'evento è incerta: Alessandro Cutolo, nella sua biografia di re Ladislao, propende per i primi mesi del 1405. (1)
(1)Alessandro Cutolo, Re Ladislao d'Angiò Durazzo, Napoli, 1969 pp.302-303 e note (71)-(75) pp.317-318
Signore del castello di Torre, nei pressi di Pordenone, era vassallo del patriarca d'Aquileia mentre la città era soggetta ai duchi d'Austria. Accusato di aver tentato di far assassinare il capitano austriaco di Pordenone, Niccolò Mordax, il 12 aprile 1402 fu assediato dalla popolazione infuriata nel suo castello, che fu dato alle fiamme. Egli perì nell'incendio assieme alla moglie, ad alcuni figli e alcuni familiares; tre o quattro figli si salvarono gettandosi dalle finestre.(1)
(1)Andrea Benedetti, Storia di Pordenone, Pordenone, 1964 p.66
Principe ereditario del regno di Sicilia, morì a Catania all'età di nemmeno due anni, l'8 novembre 1400, ucciso da un colpo di lancia alla testa durante una giostra.
Fratello minore di Raimondo del Balzo 2º conte di Avellino, è descritto come signore di Loriol (Loriol-du-Comtat, Vaucluse, Provence-Alpes-Côte d'Azur, Francia) e poi signore di Lauro in Campania. Sarebbe stato inviato da re Carlo II di Napoli nel 1302 quale suo vicario a Milano quando la città ritornò guelfa dopo aver cacciato Matteo Visconti, e qui a Milano sarebbe stato assassinato nel 1302 o 1303. Che Ugo fosse morto nel 1303 è confermato da un documento citato da Louis Barthélemy(1) in cui la moglie Cecilia di Sabran è descritta come vedova.
(1)Louis Barthélemy, Inventaire chronologique et analitique des chartes de la Maison de Baux, Marsiglia, 1882 p.248
N.B. Si ringrazia la segreteria del sito famigliadelbalzo.it per le informazioni ricevute
Al servizio di re Roberto di Napoli lasciò la Provenza per la Calabria, ove si era riaccesa la guerra contro i siciliani. Dopo aver redatto il proprio testamento il 21 marzo 1321 poco tempo dopo morì in uno scontro a Grusana, oggi i Piani della Corona presso Sinopoli. Alla guida di 500 cavalieri provenzali subì un attacco notturno nell'accampamento da parte di una masnada di almogavari: secondo alcuni Raimondo fu trucidato nella propria tenda mentre secondo altri fu ucciso nella confusione dai suoi propri soldati.
Tuttavia questa narrazione tradizionale è resa dubbia dal fatto che le circostanze descritte per il 1321 sono le stesse descritte dal cronista Niccolò Speciale per l'anno 1283, con la differenza che in quella circostanza Raimondo sarebbe stato solo preso prigioniero.(1) . Ringrazio Giovanni Amatuccio per la segnalazione.
(1)Nicolai Specialis,Libri VIII, Rerum Sicularum ab Anno Christi MCCLXXXII usque ad Annum MCCCXXXVII in Ludovico A.Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, Tomo X, Milano, 1723-1751 Cap.XXI, p.938
Figlio naturale di Orlando d'Aragona fu signore del feudo di Avola che tiranneggiò tremendamente sino a quando nel 1375 la popolazione, stanca di anni di soprusi, si rivoltò trucidando Federico e cinque suoi scherani, Pietro Descalia, Corrado Traversa, Lucio Montanaro, Domenico Maltese e un certo Nicola. I misfatti di Federico furono evidentemente tali che nello stesso anno, dopo la strage, il re Federico IV (III) perdonò gli abitanti di Avola.(1) Un racconto storico dell'erudito Gaetano Gubernale data l'evento alla domenica di Pasqua 1375, che sarebbe caduta il 22 aprile.(2)
(1)Mila Caldarella, Aragonesi in Sicilia. Da Federico III a Federico Orlando della nobile famiglia d'Aragona (1296-1375), Siracusa, 2023
(2)Gaetano Gubernale, La rivoluzione avolese del 1375. Racconto storico siciliano, Catanzaro, 1917-1918 (ristampa anastatica del manoscritto in (1))
Avvocato fiscale dei pontefici avignonesi Clemente VII e Benedetto XIII fu da quest'ultimo elevato alla dignità cardinalizia. Quando il re di Francia Carlo VI cercò di imporre con la forza l'abdicazione a Benedetto XIII Bonifacio fu imprigionato dal maresciallo francese Boucicaut. Liberato lasciò Avignone per l'Aragona ma giunto ad Aigues-Mortes fu nuovamente catturato dai francesi e gettato in prigione ove morì, forse violentemente, il 19 luglio 1399.(1)(2)
(1)Raoul Manselli, AMMANNATI, Bonifazio in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.2, 1960
Condottiero di ventura al soldo dei Visconti, corse il territorio di Bologna distinguendosi per stragi, ruberie e nefandezze di ogni tipo sino a quando fu catturato vicino a Vignola dalle milizie bolognesi. Tratto in città prigioniero con i figli Ludovico e Lippaccio ed altri parenti e sodali fu imprigionato con loro nella torre del giardino degli Anziani. Mentre il figlio Ludovico morì di morte naturale Giovanni con gli altri fu decapitato il 27 settembre 1399.
Co-signore di Oneglia, di parte ghibellina, cadde negli scontri contro i guelfi nella città di Genova nell'estate 1398(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 pp.925-927
Durante l'assedio di Andora, l'8 giugno 1321, guidò un contingente ghibellino sulla spiaggia ad attaccare i guelfi sbarcati da alcune galere per soccorrere la piazza. Fu tuttavia disarcionato, circondato dai nemici e ucciso.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.I, 1300-1325, Roma, 2007 pp-679-680
Fu ucciso nella sua casa di Perugia, la mattina di domenica 10 marzo 1398, da un gruppo di congiurati guidati dall'abate del monastero di San Pietro, Simone Guidalotti, persona in cui Biordo Michelotti riponeva la massima fiducia. Avendo chiesto udienza al signore l'abate Simone lo abbracciò in segno di saluto e a questo punto coloro che lo accompagnavano lo pugnalarono ripetutamente alle spalle.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 pp.812-813
Fu ucciso nel luglio 1395 assieme ai fratelli Francesco e Puccio durante una sanguinosa rivolta della popolazione di Ischia di Castro, stanca delle angherie e dei soprusi dei signori, soprattutto nei confronti delle donne.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 pp.835-836
Attirato con l'inganno ad Udine fu ucciso davanti alla porta del castello, il 13 ottobre 1394, dai nobili Niccolò e Tristano Savorgnan, che vendicavano così il loro padre Federico, ucciso probabilmente con la connivenza del patriarca nel 1389. Niccolò Savorgnan era lo stesso che nel 1392 aveva ucciso il vicario del patriarca, Agostino di Litomyšl vescovo di Concordia.
(1)Andrea Tilatti, Tra santità e oblio: storie di vescovi uccisi in Italia nordorientale (secoli XIII-XIV) in AA.VV., L'évêque, l'image et la mort. Identité et mémoire au Moyen Âge, Roma, 2014 p.617
Arrivato in Assisi nel gennaio 1393 Benedetto di Salnucio, Vescovo di Montefeltro e rettore del Ducato di Spoleto, fu da questi accusato di aver tramato con Biordo Michelotti e fatto immediatamente giustiziare.(1)
(1)Giuseppe Mazzatinti (cur.), Cronaca di Ser Guerriero da Gubbio dall'anno MCCCL all'anno MCCCCLXXII, Città di Castello, 1902 p.30
Fu ucciso il 21 ottobre 1392, assieme ai figli Lorenzo e Benedetto, dai mercenari di Jacopo d'Appiano che si impadronì così violentemente della signoria sulla città di Pisa.(1)(2)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 pp.746-747
(2)Franca Ragone, GAMBACORTA, Pietro in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.52, 1999
Boemo, era il vicario del Patriarca di Aquileia Giovanni Sobeslao di Moravia. Fu ucciso sulle ghiaie del Tagliamento, presso Venzone, il 22 giugno (o maggio) 1392 dal nobile Niccolò Savorgnan che lo incolpava di essere stato l'istigatore dei sicari che tre anni prima avevano ucciso il padre di Niccolò, Federico Savorgnan.(1)
(1)Andrea Tilatti, Tra santità e oblio: storie di vescovi uccisi in Italia nordorientale (secoli XIII-XIV) in AA.VV., L'évêque, l'image et la mort. Identité et mémoire au Moyen Âge, Roma, 2014 p.617
A capo della fazione latina che osteggiava la presa del potere in Sicilia dell'infante Martino d'Aragona, che aveva sposato la regina Maria, istigato da Artale Alagona e dal vescovo Simone dal Pozzo, cercò di far insorgere l'isola trascinando nella rivolta anche la città di Catania. Le truppe aragonesi tuttavia soppressero la rivolta e catturarono Andrea che fu giustiziato il 1º giugno 1392 in Palermo, proprio di fronte alla propria residenza, il palazzo Steri.
Accusata dal marito, Francesco I Gonzaga signore di Mantova, di aver commesso adulterio con il cavaliere Antonio da Scandiano, fu sottoposta a processo, riconosciuta colpevole e giustiziata mediante decapitazione dal boia Giovanni Cavalli il 7 febbraio 1391. Il presunto amante fu impiccato poco dopo.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 p.681
Fu ucciso da un forestiero, forse teramano, il 28 agosto 1391 durante una sommossa popolare in favore della famiglia Camponeschi.(1)
(1)Carlo Ciuccioveno, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 p.742
Cadde vittima di una congiura ordita dalla famiglia aquilana dei Camponeschi che fece leva sull'insofferenza dei cittadini per il duro spadroneggiare delle soldatesche dell'Orsini. Il 14 aprile 1390 quaranta aquilani armati fecero irruzione nel convento di San Francesco, uccisero Rinaldo e presero prigioniero il figlio Giovanni che fu poi ucciso più tardi a furor di popolo.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 p.641
Secondo alcuni autori sarebbe morto violentemente, per opera di un sicario di Francesco I da Carrara, signore di Padova, trafitto da una freccia mentre attraversava ponte Sant'Angelo a Roma il 10 giugno 1389.(1) EVENTO INCERTO
(1)Giorgio Cracco, BADOER, Bonaventura, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.5, 1963
Alberto V d'Este divenne signore di Ferrara nel marzo 1388 alla morte del fratello Niccolò II malgrado i diritti del nipote Obizzo IV, figlio dell'altro fratello Aldobrandino III che era morto nel 1361. Obizzo e la madre, Beatrice da Camino, cospirarono quindi contro Alberto con l'appoggio dei nemici di questi, i Carraresi di Padova e i fiorentini. La congiura fu tuttavia subito scoperta e tanto Obizzo quanto la madre furono giustiziati mediante decapitazione; i fatti avvennero nel giugno/luglio 1388(1)
(1)Antonio Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, 2ªediz., vol.III, Ferrara, 1860 pp.376-377
Dopo aver perso nel 1387 Verona conquistata da Gian Galeazzo Visconti, si rifugiò con la famiglia prima a Venezia e poi a Firenze. Avendo radunato degli armati, forse con l'intento di tentare la riconquista di Verona, venne a morte improvvisamente il 5 agosto 1388 a Tredozio nell'Appennino tosco-emiliano. Si disse che fu avvelenato ma le circostanze della sua morte sono incerte. EVENTO INCERTO
Dopo essere stato incoronato re d'Ungheria, e trovandosi a Buda, cadde vittima di una congiura ordita dalla regina madre, Elisabetta di Bosnia, vedova di re Luigi I, che voleva preservare il trono per la propria figlia Maria. Durante un incontro negli appartamenti delle regine il 7 febbraio 1386 nel castello di Buda fu ferito alle spalle da Blaise Forgách, un alto dignitario di corte fedele ad Elisabetta. Tratto prigioniero nel castello di Visegrád morì a causa delle sue ferite, o secondo alcuni avvelenato, il 24 febbraio 1386.
Il 13 dicembre 1385 perse il potere ad opera dei nipoti Pino e Cecco che lo fecero rinchiudere nella rocca di Ravaldino, ove morì il 28 ottobre 1386 probabilmente avvelenato.
Appartenne al gruppo di sei cardinali (Giovanni da Amelia, Gentile di Sangro, Ludovico da Venezia, Bartolomeo da Cogorno, Marino del Giudice e Adam Euston) che alla fine del 1384 cospirarono per deporre, e forse uccidere, papa Urbano VI. Scoperta la congiura nel gennaio 1385 fu catturato con gli altri da Francesco Butillo Prignano, nipote del pontefice, incarcerato e torturato nel castello di Nocera, ove Urbano si era rifugiato in conflitto con il re Carlo III di Napoli. Con gli altri cardinali fu tratto da Urbano a Genova quando questi riuscì ad abbandonare Nocera nell'estate 1385 e tenuto successivamente in prigionia nella commenda di San Giovanni in Pré dell'Ordine Gerosolimitano. Quando alla fine il papa decise di abbandonare Genova, alla fine del 1385, per suo ordine fu ucciso insieme a tutti gli altri cardinali salvo l'inglese Adam Euston, salvatosi per l'intercessione di Riccardo II d'Inghilterra. Sono incerte tanto la data (dicembre 1385 oppure 11 gennaio 1386) quanto le modalità della morte, riportata da alcuni cronisti come mazzeratura.
Avendo sposato la causa del papa avignonese Clemente VII fu catturato dal papa romano Urbano VI insieme a sei cardinali e sotto tortura a Nocera confessò di aver congiurato contro di lui. Quando Urbano VI l'8 agosto 1385 lasciò di nascosto Nocera assediata da re Carlo III di Napoli traendo seco i prelati arrestati il Sidonio fu ucciso in quanto, troppo anziano e stanco, non era in grado di stare al passo con il gruppo.
Cadde nella primavera 1385 difendendo il castello di Barbiano dalle milizie bolognesi.
Catturato con un inganno dal nipote Gian Galeazzo il 6 maggio 1385 fu rinchiuso prima nel castello di Porta Giovia a Milano, poi nel castello di Trezzo ove fu probabilmente avvelenato il 19 dicembre dello stesso anno.
Fu ucciso il 3 marzo 1383 durante una sommossa popolare assieme alla figlia ventenne, ed unica erede, Benedetta. Mentre tanto gli uccisori quanto i mandanti del duplice omicidio restano ignoti i dettagli sono raccapriccianti: Ugone e la figlia furono pugnalati e al giudice, ancor vivo, fu mozzata la lingua e nella bocca introdotto un sasso. Poi entrambi furono gettati in un pozzo ove morirono annegati.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 pp.390-391
Successivamente alla sua resa all'usurpatore Carlo di Durazzo, che divenne re Carlo III, fu tratta prigioniera prima nel castello di Nocera, poi, il 28 marzo 1382, nel castello di Muro Lucano, e sottoposta alla custodia di Palamede Buzzutto, fratello dell'arcivescovo di Napoli Ludovico, che aveva forti motivi di rancore personale contro di lei. Poco tempo dopo Carlo, dovendo confrontarsi con la spedizione del duca Luigi I d'Angiò, che Giovanna aveva riconosciuto come proprio erede, ordinò di sopprimere la regina che il 27 luglio 1382 venne aggredita nelle proprie stanze da quattro sicari ungheresi che la legarono mani e piedi e quindi la soffocarono tra cuscini di piume.
Avendo seguito nel regno di Napoli il proprio tutore Ottone di Brünswick che, marito della regina Giovanna I, guidava le forze legittimiste contro l'usurpatore Carlo di Durazzo, trovò la morte nello scontro del 25 agosto 1381 quando Ottone tentò vanamente di forzare le linee durazzesche per portare aiuto alla regina assediata in Castelnuovo.
Fu trovato ucciso assieme ad un suo uomo di fiducia, Galvano da Pogiana, la mattina del 13 luglio 1381 di fronte alla porta della casa di una donna con cui aveva una relazione. L'assassino era stato suo fratello Antonio, che così rimase unico signore di Verona, anche se altri furono incolpati del crimine.
Cacciato da Fermo nell'agosto 1379 tentò di riconquistarla con dei mercenari nella primavera dell'anno successivo ma fu respinto. Rifugiatosi nella rocca di Montefalcone fu catturato a tradimento con la moglie e i figli il 31 maggio 1380. Condotto a Fermo fu decapitato sulla pubblica piazza assieme ai due figli Luchino e Mercenario il 2 giugno 1380.
Era in transito con il suo seguito presso Langhirano quando, in una stalla di Mattaleto, essendo di carattere particolarmente violento ed irascibile, aggredì un suo scudiero cercando di strangolarlo. Un compagno di questo, un soldato tedesco, per difenderlo, colpì il marchese alla testa con la spada e questi della ferita morì quattro giorni dopo, il 16 dicembre 1378.
Fu ucciso l'11 agosto (o il 18 settembre) 1377 a seguito di una sommossa ghibellina contro il suo governo, fedele alla Chiesa. I fratelli Napoleone e Corradino di Cola di Ranaldo, a capo di numerosi armati, penetrarono nel suo palazzo, lo presero e lo scaraventarono da una finestra. Il cadavere coperto di ferite sarebbe rimasto per più giorni sul selciato della piazza.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.IV, 1376-1400, Roma, 2020 pp.88-89
Imprigionato dal fratello Cansignorio dal 1365 nella fortezza di Peschiera fu da questi fatto strangolare nella notte tra il 12 e il 13 ottobre 1375. Il morente (sarebbe spirato il 19 ottobre) Cansignorio, con tale atto, assicurò la successione ai propri figli illegittimi Bartolomeo e Antonio
Guidando una spedizione puntiva viscontea nella valli bergamasche fu ucciso in un'imboscata di contadini locali il 17 agosto 1373 a Caprino Bergamasco, presso l'attuale frazione di Opreno. Con lui furono uccisi parecchi altri nobili tra cui Ludovico da Correggio.
Fu ucciso a Mantova, nella notte tra il 13 e il 14 ottobre 1362, dai fratelli Francesco e Ludovico. Apparentemente l'assassinio fu istigato dai Castelbarco e dai veneziani, che mal vedevano il favore di Ugolino verso Bernabò Visconti.
Appartenente al partito dei catalani, e sostenitore del re Federico III, perì in uno scontro con le forze ribelli del partito latino, guidate da Francesco Chiaromonte conte di Modica e Francesco Ventimiglia conte di Geraci nei pressi di Caltanissetta nel novembre 1361.
Fu ucciso a Verona, presso la chiesa di Sant'Eufemia, la mattina del 14 dicembre 1359, dal fratello minore Cansignorio, che temeva di vedersi messo da parte a seguito della predilezione di Cangrande per i propri figli naturali.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.III, 1351-1375, Roma, 2016 pp.386-388
In lotta contro la monarchia si arrese a discrezione a Matera al principe Filippo di Taranto. Fu tuttavia tratto ad Altamura e qui impiccato ai merli delle mura cittadine nel dicembre 1357. Il suo cadavere fu poi squartato e le parti appese in quattro diversi punti della città. Il fratello Luigi si chiuse nel castello di Minervino ma durante l'assedio dello stesso fu ucciso da un soldato lombardo della guarnigione.
Di ritorno da una partita di caccia morì la sera del 29 settembre 1355, dopo cena, nel castello di Saronno, essendo stato quasi certamente avvelenato per opera dei fratelli Galeazzo II e Bernabò.
55º Doge di Venezia, cospirò con per abbattere le istituzioni della repubblica ed instaurare una signoria personale. Scoperta la cospirazione il 14 aprile 1355 fu in breve arrestato, processato e giustiziato mediante decapitazione nel cortile del Palazzo Ducale il 17 aprile.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.III, 1351-1375, Roma, 2016 pp.175-176
Fu ucciso durante gli scontri per le strade di Verona il 25 febbraio 1354 a seguito del tentativo di Fregnano ed altri di impadronirsi del potere contro Cangrande II della Scala. Il suo corpo venne appeso a un cappio in piazza delle Erbe.(1)
(1)Antonio Menniti Ippolito, DELLA SCALA, Fregnano, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.37, 1989
Nel 1350 era stato spinto dal padre Ugone del Balzo, 3º conte di Avellino, a stuprare la principessa Maria, sorella della regina Giovanna I e vedova del duca Carlo di Durazzo, e a prenderla in moglie. Quando il padre nel febbraio 1351 fu ucciso da Luigi di Taranto Roberto fu imprigionato insieme al fratello Raimondo. All'inizio dell'estate 1353 la moglie ottenne dalla sorella il permesso di vendicarsi dell'offesa subita per cui Roberto fu trasferito dalla prigione al palazzo reale e qui fatto uccidere dalla moglie in sua presenza.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.III, 1351-1375, Roma, 2016 p.85
Gran cancelliere del regno di Sicilia, risiedeva a Messina ed era inviso alla popolazione e alla maggior parte della nobiltà, pur avendo il controllo del giovane re Ludovico. Un suo tentativo di far eliminare il nobile Corrado Spatafora diede origine il 17 luglio 1353 ad una rivolta popolare durante la quale fu trucidato durante l'assalto al suo palazzo assieme alla moglie, Margherita Alagona, e ai figli.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.III, 1351-1375, Roma, 2016 pp.87-89
Senatore di Roma assieme a Stefano Colonna fu travolto da un tumulto popolare causato da carestia e dagli alti prezzi del grano. Il 16 febbraio 1353 la folla tumultuante assaltò il suo palazzo sul Campidoglio; uscito armato di tutto punto per incontrarla fu lapidato.(1)
(1)Marco Vendittelli, ORSINI, Bertoldo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.79, 2013
Conte di Avellino, fu inviato con una squadra navale e milizie provenzali dal papa Clemente VI a Napoli per impedire al re consorte Luigi di Taranto di governare al posto della moglie, la regina Giovanna I. Tuttavia si rese odioso attuando parecchi soprusi e alla fine fu giocato dallo stesso Luigi di Taranto che nel febbraio 1351 salì sulla galea di Ugone alla fonda nel porto di Gaeta con la scusa di un incontro e qui lo uccise con le proprie mani.(1)
(1)Carlo Ciucciovino. La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 pp.1208-1209
Fu pugnalato durante una cena nel proprio palazzo, il 19 dicembre 1350, da Guglielmo da Carrara, un figlio naturale di Jacopo I, che aveva motivi di risentimento nei suoi confronti. L'assassino fu immediatamente ucciso dalle guardie.
In viaggio da Sacile verso Udine, malgrado un'ampia scorta, cadde ucciso in un'imboscata tesagli da un grosso gruppo di feudatari ribelli al guado del Tagliamento, presso San Giorgio della Richinvelda, il 6 giugno 1350.
Solo secondo Bernardino Corio(1) e Paolo Giovio(2) morì avvelenato dalla terza moglie Isabella Fieschi, che sarebbe stata minacciata dal marito per la condotta scandalosa tenuta durante una visita a Venezia. Altri autori propendono invece per una morte naturale o per peste. EVENTO INCERTO
(1)Bernardino Corio, L'historia di Milano, riveduta ed annotata dal prof.E.de' Magri, Milano, 1856 Vol.II p.152
(2)Paolo Giovio, Vite dei dodici Visconti voltate in italiano da Lodovico Domenichi, Milano, 1853 p.166
Pur avendo ben accolto l'arrivo di re Luigi I d'Ungheria nel regno di Napoli fu da questi improvvisamente fatto uccidere e decapitare dalle proprie guardie nello stesso luogo ad Aversa ove era stato ucciso Andrea, il fratello del re, il 23 gennaio 1348.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 pp. 1084-1085
Appartenente ad una famiglia di origine francese (Denicy) venuta nel regno con Carlo d'Angiò fu creato conte di Terlizzi e Maresciallo del regno dalla regina Giovanna I. Coinvolto nell'assassinio di Andrea d'Ungheria fu arrestato nel marzo 1346 insieme ad altri, torturato, e giustiziato a Napoli assieme a Roberto de Cabanni conte di Eboli il 2 agosto dello stesso anno.(1)(2) La contea di Terlizzi fu data ai Sanseverino.
(1)Scipione Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, Parte I, Firenze, 1580 p.197
(2)Ludovico Antonio Muratori (a cura di), Dominici de Gravina Chronicon de Rebus in Apulia Gestis (con traduzione italiana a fronte), Napoli, 1890.
Tra i favoriti della regina Giovanna I, fa da questa creato conte di Eboli e Gran Siniscalco del regno di Napoli. Fu in seguito accusato di esser coinvolto nell'assassinio del marito della regina, Andrea d'Ungheria, e arrestato assieme alla madre, Filippa, alla sorella Sancia contessa di Morcone e al conte di Terlizzi. Imprigionato a Castel dell'Ovo confessò sotto tortura e fu barbaramente giustiziato (condotto su una carretta, lapidato e quindi bruciato) in Napoli il 2 agosto 1346.(1)
(1)Ingeborg Walter, CABANNI, Roberto de, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.15, 1972
Fu aggredito nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1345 nel castello di Aversa da un gruppo di cospiratori, tra cui Carlo e Bernardo d'Artus e i conti di Eboli e di Terlizzi. Strangolato con un laccio di seta il suo corpo fu quindi gettato dalla finestra.(1) La regina Giovanna I fu sospettata di aver avuto parte nella congiura ma fu assolta a seguito di un processo alla corte pontificia di Avignone
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 pp.958-962
Del ramo dei Colonna di Capranica fu ucciso assieme al fratello Pietro e a molti altri membri della famiglia Colonna e della nobiltà romana nella cosiddetta battaglia di Porta San Lorenzo il 20 novembre 1347.
Del ramo dei Colonna di Capranica fu ucciso assieme al fratello Giovanni e a molti altri membri della famiglia Colonna e della nobiltà romana nella cosiddetta battaglia di Porta San Lorenzo il 20 novembre 1347. Datosi alla fuga di fronte alle milizie popolari cercò rifugio in una vigna ma qui fu trovato e ucciso.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 pp.1062-1065
Del ramo dei Colonna di Palestrina fu ucciso il 20 novembre 1347 assieme al figlio Giovanni, al figlio naturale Camillo, ad altri membri della famiglia Colonna e a numerosi baroni romani nel corso della cosiddetta battaglia di Porto San Lorenzo, quando le milizie baronali sotto il suo comando tentarono di entrare in Roma per abbattere il governo di Cola di Rienzo ma furono respinte con importanti perdite dalle milizie popolari. Stefano Colonna entrò in città per soccorrere il figlio ma fu colpito da una pietra al capo quando tentava di ritirarsi e quindi finito a terra.
Di nobile famiglia piemontese, di Alba, fu Siniscalco angioino di Piemonte dal settembre 1345, in sostituzione di Roberto di Luinardo (o Guinizardo). Cadde l'11 novembre 1346 in uno scontro presso Pollenzo contro forze ghibelline dei Falletti e dei Visconti che nei fatti segnò la fine della dominazione angioina in Piemonte.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 pp.1017-1018
Di nobile famiglia provenzale, Senescalco angioino di Piemonte, fu ucciso alla testa delle sue truppe nella sconfitta patita ad opera del marchese Giovanni II di Monferrato nella battaglia di Gamenario presso Santena il 22 aprile 1345(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 pp.1345-1346
Consigliere fidato del signore di Padova Giacomo da Carrara organizzò una congiura contro di lui assieme ai fratelli Nicolò e Francesco e ad altri nobili padovani. Scoperto fu arrestato e decapitato assieme al fratello Francesco il 21 dicembre 1345. L'altro fratello Nicolò riuscì invece a fuggire.(1)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 pp.967-968
Resosi inviso a parecchie nobili famiglie orvietane fu ucciso la sera del 7 agosto 1345 dagli uomini di Leonardo Ranieri durante una sommossa da lui stesso provocata contro la famiglia Montemarte.(1) Leonardo Ranieri l'anno successivo finirà nelle mani del figlio dell'ucciso che lo farà orrendamente giustiziare a Roma il 10 aprile 1346.(2)
(1)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 pp.952-954
(2)Carlo Ciucciovino, La cronaca del Trecento italiano, Vol.II, 1326-1350, Roma, 2011 p.985
Signore di Padova da appena una quarantina di giorni fu ucciso nella notte del 6 maggio 1345 da Giacomo da Carrara, appartenente al ramo principale della famiglia, che d'accordo con quattro servitori di Marsilietto si introdusse con alcuni sicari nella sua casa e lo uccise mentre si trovava nel bagno.
Di fede ghibellina secondo la tradizione fu ucciso il 20 febbraio 1340: mentre cavalcava con altri sette compagni nei pressi della Porta San Francesco fu aggredito da alcuni congiurati sbucati dall'adiacente monastero di San Pietro e ucciso. Tra gli assassini spiccavano un tale Gerardino di Sant'Elpidio, fratello del priore del monastero, e un tale Matteo di Fano. Non si conoscono i mandanti dell'omicidio, anche se dopo di esso il rettore pontificio reintrodusse la parte guelfa nella città(1).
(1)Anna Falcioni, MONTEVERDE, Mercenario, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.76, 2012
Figlio ed erede di Ludovico II di Savoia, signore del Vaud, fu tra i signori feudali borgognoni e svizzeri che appoggiarono la città di Friburgo nel suo confronto con Berna. Cadde nella battaglia di Laupen il 21 giugno 1339 quando i bernesi sconfissero i loro avversari.
Signore di Viterbo, fu assassinato quando il fratello, il prefetto Giovanni, istigò una sommossa contro di lui assieme ai vecchi partigiani di Silvestro Gatti, che Faziolo aveva ucciso nel 1329. Rifugiatosi in una casa vicina alla chiesa di San Salvatore sarebbe stato ucciso da tale Martinuzzo della Viva, nella cui casa Faziolo aveva ucciso Silvestro Gatti(1). Secondo altri autori sarebbe invece stato ucciso proprio dal fratello Giovanni.(2)
(1)Carlo Calisse, I Prefetti Di Vico, Roma, 1888 pp.68-69
(2)Cesare Pinzi, Storia della Città di Viterbo (III), Roma, 1889 p.198
Condannato per fellonia trovò la morte durante l'assedio posto al suo castello di Geraci dal re Pietro II il 2 gennaio 1338. Cercando scampo dalle milizie reali morì precipitando in un dirupo ma i soldati infilzarono le lance sul suo corpo per dimostrare al re di averlo ucciso.
Morì il 16 agosto 1328 quando, durante il colpo di mano attuato da Luigi Gonzaga con milizie veronesi, fu ferito da un certo Alberto da Saviola morendo dissanguato sulla porta del proprio palazzo.
Fu ucciso da Ruggero di Bonito, cavaliere della Diocesi di Ariano(1)
(1)Diocesi di Avellino, Cronotassi dei Vescovi. IV) Vescovi della Diocesi di Frigento (Sec. V-IX); 1061-1465; 1465-1528.
Pur essendo guelfo, si oppose alle forze pontificie che tentarono di riportare Viterbo sotto il dominio della Chiesa nel 1329. Tuttavia Faziolo, un rampollo illegittimo della famiglia ghibellina dei Prefetti di Vico, si alleò alle forze pontificie per farlo cadere e impadronirsi così della signoria della città. Il 10 settembre 1329 Faziolo provocò una sommossa in città e attaccò la residenza del Gatti; questi fuggì rifugiandosi nella casa di tale Martinuzzo della Viva, ma qui fu raggiunto e ucciso di propria mano dallo stesso Faziolo(1)
(1)Angela Lanconelli, GATTI, Silvestro, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol.52, 1999
Guelfo, si insignorì di Fano ma non volle renderla alla Chiesa. Per questo motivo fu assediato nella città da Ferrantino e Pandolfo Malatesta e, una volta presa, fu da questi fatto decapitare nella pubblica piazza tra il 2 e il 22 aprile 1322(1)
(1)Pietro Maria Amiani, Memorie Istoriche della Città di Fano, Fano, 1751 Tomo I, p.251-252
Fu ucciso nel centro di Verona, il 27 agosto 1338, dal signore della città, Mastino II della Scala, che pensava il vescovo fosse coinvolto in una congiura contro di lui.
Spogliato della signoria su Faenza dal legato pontificio Bertrando del Poggetto fu costretto da questi a risiedere in Bologna. Qui fu tuttavia coinvolto in una congiura ghibellina volta a dare Bologna all'imperatore Ludovico il Bavaro ma, scoperto, fu arrestato e decapitato sulla pubblica piazza con altri congiurati il 18 novembre 1329.
Fuggì il 9 marzo 1325 insieme al figlio Guido da Cervia in seguito ad una sollevazione istigata dal nipote Ostasio I, signore di Ravenna. Ignaro del fatto che Ostasio fosse il mandante cercò rifugio a Ravenna ma Ostasio fece uccidere il figlio Guido fuori della porta della città mentre il padre tentò di fuggire ma fu inseguito sino ad una località vicina variamente descritta come Tomba de Thautis o Castellare dei Fanti e qui ucciso a sua volta.
Avendo tramato per togliere la signoria di Rimini allo zio Pandolfo I fu ucciso durante una cena nel castello di Ciola Araldi, residenza del cugino Ramberto, da Ramberto stesso, dallo zio e dall'altro cugino Ferrantino.
Venne ucciso dal fratello Gianciotto insieme alla moglie di questi, Francesca da Polenta, con cui Paolo aveva intrecciato una relazione. Il fatto, narrato nella Divina Commedia(1), avvenne tra il febbraio 1283 e il 1284 e tradizionalmente si crede essere avvenuto nella rocca di Gradara.
(1)...Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui della bella persona
che mi fu tolta; e’ l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sí forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte...
Inferno, Canto V, 73-142
Reggente di Ravenna per il fratello Guido Novello, impegnato a Bologna, fu ucciso durante un colpo di mano organizzato dal cugino Ostasio che si impadronì così della città la mattina del 20 settembre 1322.
Rientrato in Belluno dopo un lungo periodo in cui aveva preso rifugio in un castello di famiglia, trovò la morte in un tumulto scoppiato appena rientrato in città, il 20 maggio 1321, tra sostenitori dei Collalto e sostenitori dei Caminesi(1)
(1)Giovan Battista Verci, Storia della Marca Trivigiana e Veronese, Venezia, 1786-1791, Tomo VI, pagg.197-208
Rifugiatosi nella rocca di Urbino per sfuggire ad una sollevazione degli abitanti, si arrese e si consegnò agli assedianti il 26 aprile 1322 con una corda al collo assieme al figlio Guido. Furono tuttavia entrambi linciati e i corpi quindi impiccati a furor di popolo.
Gran Siniscalco del Regno di Sicilia, comandante le forze angioine in Lombardia dal 1313, era impegnato nell'assedio di Alessandria quando durante una spedizione alla ricerca di foraggi fu ucciso in un'imboscata delle forze ghibelline di Marco e Luchino Visconti presso Montecastello.(1)
(1)Antonio Astesano, Carmen de varietate fortunae, sive de vita et gestis civium astensium, Liber Sexto, Cap.IV, De gestis Ugonis de Balzo Senescalli Regii, et de ejus morte, et sepultura; si trova in Ludovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, Vol.14, Milano, 1729
Cadde il 29 agosto 1315 assieme allo zio, Pietro d'Angiò, conte di Eboli, nella battaglia di Montecatini in cui le forze guelfe e angioine furono sconfitte dalle forze ghibelline di Pisa e Lucca guidate da Uguccione della Faggiola.
Vicario angioino di Toscana, Lombardia e Romagna e Capitano generale della parte guelfa in Toscana scomparve nella disastrosa sconfitta che le forze guelfe e angioine subirono ad opera dei ghibellini di Pisa e Lucca guidati da Uguccione della Faggiola presso Montecatini il 29 agosto 1315. Forse annegato in una palude durante la fuga il suo corpo non fu mai ritrovato. Nella stessa battaglia cadde anche suo nipote, Carlo d'Angiò-Taranto.
Fu assassinato presso la Porta Leone di Ferrara il 23 agosto 1312 per ordine del capitano catalano Dalmasio, che presidiava la città per conto della Chiesa e del re Roberto di Napoli. L'accusa fu di volersi impadronire della signoria sulla città.
Malvisto in Treviso per le accuse di soprusi e di malgoverno fu ferito mortalmente da un sicario mentre giocava a scacchi nella loggia del suo palazzo il 5 aprile 1312 e spirò una settimana dopo, il 12 aprile. Il sicario fu immediatamente ucciso dai nobili presenti; è incerto chi sia stato il mandante dell'omicidio.
Signore di Ferentino e di Anagni fu ucciso in un'imboscata da alcuni esuli anagnini presso Ceccano(1)
(1)Daniel Waley, Pietro Caetani, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol.16, 1973
Avendo destato il malcontento della popolazione con l'alienazione di terre demaniali fu ucciso durante una sommossa, in pieno accordo con il diritto giudicale. Fu sepolto con la lingua mozzata segnando questa mutilazione la punizione per il suo tradimento del Bannus consensus, il patto con il popolo.
Di parte ghibellina guidò le milizie di Arezzo nella battaglia di Campaldino presso Poppi l'11 giugno 1289 contro i fiorentini. Cadde nella battaglia per un colpo di picca alla testa.
Ucciso in circostanze sconosciute
Fu giustiziato il 26 agosto 1260 assieme alla moglie, i figli e le figlie dopo essersi arreso a discrezione al marchese Azzo VII d'Este a San Zenone (oggi San Zenone degli Ezzelini) in esecuzione di una sentenza di morte emessa dal "podestà" di Treviso. Dopo essere stato costretto ad assistere alla decapitazione dei cinque figli maschi (Giovanni, Alberico, Romano, Ugolino e Tornalice) e alla morte sul rogo della moglie Margherita e delle due figlie Griseida e Amabilia fu legato alla coda di un cavallo e trascinato per i rovi e gli sterpi fino alla morte. Il suo corpo fu portato a Treviso, squartato e quindi bruciato.
Figlio del doge di Venezia Jacopo Tiepolo fu "podestà" di Milano e comandò l'esercito della II Lega Lombarda nella disastrosa battaglia di Cortenuova del 27 novembre 1237. Fatto prigioniero dell'imperatore Federico II fu da questi tratto prima a Pisa e poi a Trani ove fu giustiziato nel 1240 tramite impiccagione. Il suo corpo per volere dell'imperatore fu cucito in un sacco di cuoio e appeso alla torre più alta del castello affinchè fungesse da monito alle navi veneziane che compivano frequenti incursioni sulle coste pugliesi.(1)(2)
(1)PIETRO TIEPOLO, in Federiciana, 2005
(2)Pietro Tiepolo: la crudele lezione dell'imperatore, 15 gennaio 2015
Grande Ammiraglio del regno di Sicilia fu ucciso il 10 novembre 1160 davanti all'ingresso del palazzo arcivescovile di Palermo dal nobile Matteo Bonello che riteneva Maione responsabile delle gravi sommosse del 1156 e dello stesso 1160
Dopo l'uccisione nel giugno 1298 del fratello Corrado nel castello di Pietrarubbia fu fatto prigioniero l'anno successivo, il 25 settembre 1299, da un Gaboardi di Macerata Feltria, gettato in prigione e pochi giorni dopo ucciso(1)
(1)Anonimo, Annales Caesenates, pubblicati a cura di Enrico Angiolini, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma, 2003 "De morte comitis Thaddaei. Millesimo CCXCIX die XXV Septembris .... filius Gaboardi de Macerata cepit, et in carcerem posuit comitem Thaddaeum Novelli de Petra-Rubea. Tandem paucis diebus finitis praedictum Thaddaeum comitem in carcere crudeliter occidit"
Di fede guelfa fu ucciso dai soldati di Alberto della Scala negli scontri tra fazioni quando gli Scaligeri si impadronirono di Belluno(1)
(1)Giorgio Piloni, Historia..., Venezia, 1607
Fu ucciso l'8 giugno 1298 quando gli abitanti di Pietrarubbia si ribellarono, attaccarono il castello, e uccisero lui, un suo figlioletto, suo fratello Filippo e sua sorella Giovanna. Solo fu risparmiata sua moglie Costanza dei Ravegnati di Ravenna, incinta, attendendone il parto.(1)(2)
(1)Stefano Lancioni e Maria Chiara Marcucci, Storia della provincia di Pesaro e Urbino, ediz.web (cap.IX)
(2)Anonimo, Annales Caesenates pubblicati a cura di Enrico Angiolini, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma, 2003
Fu arrestato per ordine del re Carlo II di Napoli a Perugia il 13 luglio 1293 con l'accusa di sodomia e immediatamente giustiziato venendo prima impalato e quindi arso sul rogo. Il desiderio regio di liberarsi di un vassallo troppo potente e di impadronirsi dei suoi beni fu probabilmente all'origine del procedimento giudiziario.
Anno 1293
(...)
In questo anno, essendo insieme il re Carlo e lo re d'Ungaria, e andavano a corte a Roma, quando fuoro a Perugia, die xiij di lulglo, il re Carlo fece pilglare il conte dell'Acerra, per certa malivolglenza che lli portava sacretamente, ed apuoseli ch'elli era soddomito, ed uno palo li fece ficcare per la natura disotto, ed ispicciolli per la bocca, e come un pollo il fece arostire.(1)
(1)Anonimo Cronica fiorentina compilata nel secolo XIII in Alfredo Schiaffini (cur.) Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze, 1926
Morì a Ferrara il 20 febbraio 1293. Secondo alcuni fu ucciso dal figlio Aldobrandino, secondo altri fu strangolato da due figli, secondo altri ancora morì di morte naturale. EVENTO INCERTO
Fu accoltellato da un calzolaio mentre scendeva dal palazzo vescovile il 21 maggio 1295. Secondo un'altra versione morì di morte naturale. EVENTO INCERTO
Comandava la cavalleria ghibellina l'11 giugno 1289 nella battaglia di Campaldino ove i ghibellini aretini furono sconfitti dai guelfi fiorentini. Probabilmente perse la vita nello scontro anche se il suo corpo non fu mai ritrovato.
Vicario angioino di Toscana comandava parte dell'esercito franco-angioino sotto il francese Jean d'Eppes inviato dal pontefice Martino IV contro i ghibellini di Romagna guidati dal cugino Guido di Montefeltro. Trovò la morte nella famosa battaglia del 1º naggio 1282 quando i ghibellini con l'inganno sterminarono i nemici entro le mura di Forlì(1)
(1)"la terra che fe' già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio" (Inferno, XXVII, 43-44).
Morì a Viterbo il 16 maggio 1277 per le gravissime ferite riportate dopo che nella notte tra il 10 e l'11 maggio era rimasto seppellito dal crollo improvviso della propria stanza nel Palazzo Papale
Venne ucciso nei pressi della sua abitazione il 26 ottobre 1277 assieme al suo fido Antonio Nogarola da un gruppo di congiurati tra cui Isnardo de' Scaramelli, un Pigozzo e degli Spallino, tutti membri della nobiltà veronese
Anziano e ricchissimo fu soffocato nel sonno dai suoi famigliari per impadronirsi dei suoi beni(1) la notte del 27 dicembre 1273(2)
(1)Antonio Messeri, Faenza nella storia, Faenza, 1909
(2)Andrea Strocchi, Memorie istoriche del Duomo di Faenza e de' personaggi illustri di quel capitolo, Faenza, 1838 (pag.139)
Fratello di Mastino I della Scala perse la vita a Villafranca combattendo contro le milizie del conte Ludovico di Sambonifacio, capo della fazione veronese opposta agli Scaligeri(1)
(1)https://histouring.com/personaggi-storici/mastino-i-della-scala/#
Vicedominus del patriarca di Aquileia, Gregorio da Montelongo, fu assassinato il 3 luglio 1268 presso il colle di Medea da sicari del conte Alberto I di Gorizia, con cui il patriarca era da tempo in conflitto(1)
(1)Sebastiano Blancato Alberto da Collice, Vicedomino patriarcale, vescovo in Dizionario biografico dei friulani
Ghibellino, con un nutrito gruppo di pisani accompagnò Corradino di Svevia nel tentativo di riconquista del regno di Sicilia contro Carlo d'Angiò. Preso prigioniero con Corradino dopo la battaglia di Tagliacozzo con lui e altri fu decapitato sulla piazza del Mercato di Napoli il 29 ottobre 1268
Ucciso a pugnalate nel Broletto di Vercelli il 29 gennaio 1266 da un gruppo di nobili fuoriusciti milanesi e pavesi oppositori della famiglia Della Torre (Torriani)
Cadde nella battaglia di Benevento il 24 febbraio 1266 alla testa dell'armata sveva combattendo contro le truppe di Carlo d'Angiò
Titolare di beni feudali fu in contrasto per essi con la nobiltà locale che voleva impadronirsene e in particolare con i nobili Alessandro Aldobrandi e Renerio. Alla fine fu dai nobili ucciso e il suo corpo "lampeggiato" nella piazza di Sarsina(1)(2)
Legato pontificio a Firenze fu arrestato con l'accusa di aver tramato con il re di Sicilia. Manfredi di Svevia, per favorire il rientro dei ghibellini nella città. Processato fu riconosciuto colpevole e giustiziato mediante decapitazione il 12 settembre 1258 nella piazza di Sant'Apollinare
Spogliato della contea di Catanzaro da Manfredi di Svevia fu pugnalato a Terracina da un sicario di questi, Pietro Castellomata(1)
(1)Giovanni Ruffo Una medaglia per celebrare mille anni di storia del casato
Catturato dai Pisani alla presa di Santa Igia, la oggi scomparsa capitale giudicale, fu poco dopo assassinato da un sicario pisano. La sua morte va collocata tra il 17 luglio e il 15 ottobre 1256
Fu ucciso a Roma presso la Basilica Laterana da un partigiano dell'imperatore Federico II
Fece parte della celebre congiura di Capaccio istigata dal pontefice Innocenzo IV per attentare alla vita dell'imperatore Federico II, di suo figlio Enzo e di Ezzelino III da Romano. Scoperta la congiura si chiuse con Tebaldo Francesco, il capo della stessa, e altri nobili nell'imprendibile castello di Capaccio che tuttavia fu preso dall'imperatore per sete nel luglio 1246. Assieme agli altri congiurati fu condannato a morte secondo la Lex Pompeia come colpevole di parricidio e giustiziato, probabilmente tramite mazzeratura. La pena fu probabilmente eseguita prima del settembre 1246(1)(2)
(1)Errico Cuozzo, CAPACCIO (1246), CONGIURA DI, in Federiciana, 2005
(2)Gaetano Ricco, Federico II di Svevia e la congiura di Capaccio, Roccadaspide, 2014
Ancora giovinetto fu trucidato a Sorso, ove risiedeva assieme a membri della corte giudicale, durante un tumulto da congiurati sassaresi probabilmente istigati dalle famiglie Doria e Malaspina appartenenti alla fazione filo-genovese contrapposta a quella giudicale filo-pisana
Sostenitore del pontefice e oppositore dell'imperatore Federico II, costretto ad abbandonare la propria sede di Arezzo, fu nominato Rettore della Marca di Ancona. Catturato presso Osimo in uno scontro con le forze imperiali nel dicembre 1247 fu tratto prigioniero a Parma presso l'imperatore e da questi fatto impiccare il 21 febbraio 1248
Fu ucciso il 14 maggio 1235, all'interno del monastero di Sant'Andrea in Mantova, da membri della famiglia Avvocati, secondo alcuni da Uguccione d'Altafoglia. Altre famiglie mantovane furono peraltro coinvolte nella congiura che aveva probabilmente all'origine una questione di restituzione di beni ecclesiastici.
Fu ucciso in uno scontro con i Bulgari di ritorno da una spedizione punitiva nei monti Rodopi
Fu ucciso il 28 aprile 1192 in un agguato tesogli probabilmente da sicari appartenenti alla setta dgli Assassini. Il mandante però potrebbe essere stato anche Guido di Lusignano
Coinvolto nella ribellione della nobiltà normanna della primavera 1197 contro l'imperatore Enrico VI, fu costretto ad arrendersi dopo essersi rinchiuso nel castello di Lombardia a Castrogiovanni e quindi giustiziato in modo particolarmente cruento. Una corona gli sarebbe stata fissata sul cranio con dei chiodi in ferro
Fu ucciso nel castello di Montebello presso Sarego dal nipote, Napoleone Maltraversi detto Rosso, per ragioni di eredità(1)
(1) Beltrame, Oreste, Arzignano nella storia dall'evo antico al moderno, Vicenza, 1937
In lotta con la fazione nobiliare capeggiata dal conte Uguccione Maltraversi, già responsabile dell'uccisione del vescovo Giovanni Cacciafronte, fu costretto a lasciare Vicenza nel 1194, rifugiandosi nel castello di Brendola. Intraprese quindi assieme a vari fuorusciti dei tentativi per riappropriarsi di beni sottratti dalla parte avversa. Durante uno di questi tentativi, all'assedio del castello di Belvicino, cadde colpito da un freccia il 10 luglio 1200
Rivoltatosi contro l'imperatore Enrico VI nel 1196 fu sconfitto e catturato dal ministerialis Diopoldo di Schweinspeunt. Condotto a Capua fu fatto giustiziare il giorno di Natale: trascinato a coda di cavallo per le vie della città fu appeso ad una forca per i piedi. Era ancora vivo quando due giorni dopo un buffone dell'imperatore lo uccise legandogli al collo una grossa pietra.
Fu ucciso alla testa delle milizie di Belluno in uno scontro contro i trevigiani presso Cesana (odierna Cison di Valmarino) il 20 aprile 1197
Tra i maggiori vassalli del re di Sicilia Guglielmo I fu ucciso in combattimento contro i bizantini sotto le mura di Andria
Nobile normanno, signore di Trevico e Flumeri, fu ucciso nel corso di una sollevazione dei contadini di Flumeri. Il duca di Puglia, Guglielmo II, vendicò la sua uccisione mettendo Flumeri a ferro e a fuoco(1)
(1)Giovanni Perciabosco, La Potente Baronia di Vico e S.Nicola Baronia, Mercogliano, 1998
Di ritorno con il suo seguito da Canosa fu ucciso presso la chiesa del Beato Quirico, sulla strada tra Canne e Barletta in un'imboscata tesagli da una fazione barese guidata da un certo Argiro, che fu poi preso dal conte Goffredo di Andria e immediatamente giustiziato(1). Il timore del trasferimento della sede arcivescovile da Bari a Canosa fu all'origine dell'attentato(2)
(1)Pasquale Barbangelo, Andria nel Medioevo, Andria, 1985
(2)Anonymi Barensis Chronicon in Camillo Pellegrino, Historia Principum Langobardorum, Napoli, 1643, p.199
Contendente e oppositore del re Tancredi di Sicilia all'elezione di questi nel 1189, fu catturato a tradimento dal conte Riccardo di Acerra ad Ascoli Satriano, imprigionato e sommariamente giustiziato
Fu ucciso di fronte al Duomo di Vicenza il 13 marzo 1181 da un fittavolo inadempiente della diocesi, tale Pietro da Pietramala. Il papa ritenne peraltro mandanti e responsabili dell'omicidio il conte Uguccione Maltraversi e altri vassalli del vescovo che si videro privati dei benefici ecclesiastici
Fu aggredito con il suo seguito presso Rovereto l'8 marzo 1177 da potenti feudatari con cui aveva motivi di contrasto e ucciso dal nobile Aldrighetto di Castelbarco. Secondo altre versioni l'agguato mortale al vescovo andrebbe retrodatato al 1172 e sarebbe avvenuto presso Arco
Divenuto oggetto del malcontento popolare a seguito di una sfortunata spedizione punitiva contro Costantinopoli, costata a Venezia parecchie vittime, il 28 maggio 1172 dovette abbandonare un'infuocata assemblea presso la Riva degli Schiavoni e nel trovare riparo fu aggredito a pugnalate da un tale Marco Casulo, membro di famiglia importante. Gravemente ferito in seguito all'agguato spirò poco nella chiesa di San Zaccaria
Erede al trono di Sicilia era ancora un bambino quando trovò la morte nel corso della sommossa del popolo di Palermo contro il re Guglielmo I suo padre nel marzo 1161. Secondo la tradizione fu colpito, forse accidentalmente, da una freccia che gli trapassò l'occhio.
Nobile cittadino faentino, tra i primi noti della famiglia che avrebbe in seguito esercitato la signoria su Faenza, trovò la morte nel vittorioso scontro sostenuto dai faentini contro i ravennati il 17 giugno 1145 a Santa Lucia delle Spianate, oggi frazione di Faenza.
(1)Luigi Passerini Orsini de' Rilli, MANFREDI DI FAENZA. Famiglia estinta nel secolo XVI, Tav.I, in Famiglie celebri italiane, 61, Milano, 1861
Esistono due versioni sulla sua morte. Secondo la prima sarebbe stato ucciso a Fratta Polesine mentre si recava in pellegrinaggio a Roma da sicari della famiglia nobile padovana dei Capodivacca con cui aveva contrasti a causa del suo episcopato. Secondo la seconda versione avrebbe trovato la morte il 26 novembre del 1147 ad opera di alcuni sicari della famiglia padovana dei Capinero. Entrambe le versioni sono state tuttavia messe recentemente in dubbio(1) EVENTO INCERTO
(1)Andrea Tilatti, Tra santità e oblio: storie di vescovi uccisi in Italia nordorientale (secoli XIII-XIV) in AA.VV., L'évêque, l'image et la mort. Identité et mémoire au Moyen Âge, Roma, 2014 pp.610-611
Vassallo di Ruggero II di Sicilia cadde alla testa delle forze ausiliarie napoletane nella grande sconfitta subita da Ruggero ad opera di Rainulfo di Alife, suo contendente per il ducato di Puglia, a Rignano Garganico il 29 ottobre 1137
Reggente del Principato d'Antiochia per il giovane Boemondo II cadde il 28 giugno 1119 nella disfatta subita dall'esercito antiocheno ad opera dell'atabeg Artuqide di Aleppo, Ilghazi ibn Artuq, nella battaglia c.d. dell'Ager Sanguinis, a Balat presso Sarmada in Siria
Ucciso dagli abitanti di Savona durante una sommossa assieme al fratello, il marchese Anselmo IV. Secondo altri sarebbe caduto, sempre insieme al fratello, il 15 ottobre 1080 combattendo nella battaglia di Volta Mantovana per l’imperatore Enrico IV contro le forze matildine.
Fu ucciso durante una sommossa nelle strade di Aquileia
Ucciso dagli abitanti di Savona durante una sommossa assieme al fratello, Manfredo del Vasto(1)(2). Secondo altri sarebbe caduto, sempre insieme al fratello, il 15 ottobre 1080 combattendo nella battaglia di Volta Mantovana per l’imperatore Enrico IV contro le forze matildine.(3)Tuttavia questa seconda ipotesi appare difficile alla luce della lettera di Gregorio VII(1)
(1)Erich Caspar, Gregorii VII Registrum, in Monumenta Germaniae Historica: Epistolae selectae, II/2, Berlino, 1923
(2)Italo Scovazzi, Filippo Noberasco, Storia di Savona, vol. I, Savona, 1926, pp. 133-143 per una descrizione secentesca della morte di Anselmo e di suo fratello Manfredo
(3)Anonimo (ma F. Lancia di Brolo), Dei Lancia di Brolo. Albero genealogico e biografie, Palermo, 1879, p.6
Co-reggente di Benevento assieme al padre Landolfo VI cadde in uno scontro presso Montesarchio combattendo contro i Normanni di Roberto il Guiscardo
Fu ucciso nel bosco sito tra Spineda e San Martino all'Adige, durante una caccia, da un certo Spinetta de' Canevari da Parma EVENTO INCERTO
Fratello minore del principe Guaimario IV fu ucciso dai congiurati poco dopo l'assassinio di quest'ultimo
Fu assassinato il 3 giugno 1052 nel porto di Salerno dai suoi quattro cognati, fratelli di sua moglie Gemma di Capua, a seguito di una congiura ordita nella città di Amalfi
Fu ucciso da alcuni sicari inviati dal catapano bizantino di Bari, Argiro
In guerra con Stefano II d'Ungheria per la conquista della Dalmazia fu sconfitto e ucciso in una battaglia presso Zara
Cognato, assassino e usurpatore del trono di Guaimario IV, si arrese a Guido, figlio di Guaimario, che dopo brevissimo tempo riconquistò Salerno, con la promessa di aver salva la vita. I guerrieri normanni di Guido, tuttavia, essendo fedeli alla memoria di Guaimario IV, lo uccisero malgrado gli accordi presi il 10 giugno 1052.