Cristianesimo e teologia – Intermezzo 4

1. Marcello di Ancyra

Su Marcello (†370/375?), le notizie non sono molte. Ad ogni modo, è certo che intorno al 323 fu nominato vescovo di Ancyra (odierna Ankara, Turchia) e che in tale veste partecipò al concilio di Nicea del 325, ove si schierò contro l’arianesimo. Tuttavia, proprio nella sua polemica contro la stessa eresia, finì per scivolare nel modalismo. Da una sua opera, pervenuta in frammenti, si evince come egli considerasse le ipostasi della Trinità quali manifestazioni dell’unica persona di Dio. Il Figlio si era espresso come potenza durante la creazione ed era divenuto persona soltanto durante l’incarnazione in Gesù, mentre lo Spirito Santo era apparso durante la Pentecoste per illuminare gli Apostoli. Alla fine dei tempi, gli stessi Figlio e Spirito sarebbero stati riassorbiti da Dio Padre, del quale, dunque, sarebbe stata ristabilita la piena unità. Una tesi sabelliana radicale, inammissibile per tutti quei presuli orientali che, proprio negli estremismi, oltre che in ragioni politiche, avevano trovato terreno fertile per reagire ai deliberati niceni. In conseguenza, Marcello fu condannato e deposto in due sinodi a maggioranza filoariana, prima nel 336 e poi nel 341. Sulle prime, il vescovo di Ancyra trovò un certo appoggio negli ortodossi, che in lui vedevano un alleato, ancorché imbarazzante. Nondimeno, quando il suo discepolo Fotino (†376) diede un particolare incremento alle sue tesi, Marcello fu abbandonato al suo destino. Nel 353, fu definitivamente rimosso dalla sua sede e la sua dottrina subì una condanna postuma, nel 380, da parte di papa san Damaso I (†384). Questi, però, ne tralasciò il nome, che invece fu inserito esplicitamente nella lista degli eretici dal concilio ecumenico di Costantinopoli, nel 381.

2. Fotino di Sirmio

Nato in Galazia (nell’attuale Turchia occidentale) verso il 300, fu allievo di Marcello di Ancyra. Intorno al 343 divenne vescovo di Sirmio (moderna Sremska Mitrovica, Serbia). Egli riteneva che sia il Logos sia lo Spirito Santo fossero 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑒 della sostanza del Padre rimasta 𝑙𝑎𝑡𝑒𝑛𝑡𝑒 fino all’Incarnazione, dopo la quale lo stesso Verbo era realmente diventato Figlio. Pertanto, la sostanza del Padre poteva mutare, espandendosi o contraendosi, e proprio l’espansione aveva formato il Figlio e il Paraclito, che in definitiva erano manifestazioni del Padre. Un’opinione modalista, derivante dagli insegnamenti del suo maestro. A questa, Fotino aggiunse una tesi adozionista, che avrebbe fatto indicare come fotiniani, fino al primo trentennio del V secolo, gli individui i quali credevano che Gesù fosse soltanto un essere umano. Tali dottrine furono causa di ripetute condanne nei confronti dell’eresiarca in vari sinodi, fino a quello di Sirmio, nel 351, che lo depose, sostituendolo con il filoariano Germinio (†375/376). Per l’effetto, Fotino fu anche esiliato da Costanzo II (317-361). La condanna delle tesi eretiche di Fotino fu confermata dopo la sua morte, occorsa nel 376, dal concilio di Costantinopoli del 381, e ribadita dal pontefice, san Damaso I, un anno dopo.

3. Apollinare di Laodicea

Apollinare, nato a Laodicea (odierna Lattakia o al-Lādhiqiyya, Siria) intorno al 305/310, fu un fiero difensore delle definizioni nicene. Tuttavia, finì per inciampare, cadendo rovinosamente nell’eresia. Influenzato dal platonismo, sostenne che il Logos, consustanziale al Padre, sostituendosi all’anima razionale, si era unito al corpo ed all’anima vegetativa di Gesù. In altri termini, il siro riteneva l’Incarnazione una mera assunzione della 𝑐𝑎𝑟𝑛𝑒, sulla scorta del versetto «E il Verbo si fece carne» (Giovanni, 1, 14-18). Naturalmente, questo letteralismo non poteva spiegare come l’anima razionale, se non assunta dal Logos, potesse redimersi, vale a dire: soltanto ciò che è stato assunto dal Figlio è passibile di redenzione. Il primo ad accorgersi di questo errore fu sant’Epifanio di Salamina (†403), al quale sarebbero seguiti i Padri cappadoci, cioè i santi Basilio Magno (†379), Gregorio di Nissa (†394/395) e Gregorio di Nazianzo (†389/390), con il primo ed il terzo anche attuali Dottori della Chiesa. Il Nisseno ed il Nazianzeno, in particolare, rilevarono come il termine σαρξ (𝑠𝑎𝑟𝑥), 𝑐𝑎𝑟𝑛𝑒, utilizzato dall’evangelista, comprendesse l’essere umano nella sua globalità, quindi il suo corpo e tutta la sua anima. Le dottrine apollinariste furono condannate in tre diversi sinodi riuniti fra il 377 ed il 379, e poi nel secondo concilio ecumenico. Nel 388, Teodosio I (347-395) esiliò Apollinare, che morì fra due e quattro anni dopo. Come conseguenza, alcuni dei suoi discepoli tornarono nell’ortodossia, mentre altri, nel V secolo, avrebbero abbracciato il monofisismo di Eutiche (378-456?). Questa, però, è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta.

4. Macedonio di Costantinopoli

Macedonio fu un vescovo che per due volte occupò la cattedra costantinopolitana: prima dal 342 al 346, quando fu imposto dagli ariani in sostituzione di san Paolo I (†351), che come sant’Atanasio (†373) si rifugiò a Roma; poi, dopo un temporaneo rientro dello stesso Paolo, dal 350 al 360. In quest’ultimo anno, Macedonio fu deposto dal sinodo di Costantinopoli presieduto dall’influente leader degli omei, Acacio di Cesarea (†366?), ed esiliato all’esito da Costanzo II. Pertanto, è probabile che il vescovo in parola avesse aderito alla corrente dei semiariani, caduta in disgrazia, dopo qualche successo, agli occhi del sovrano. Non si possiedono altre notizie su di lui, ma è certo che con l’aggettivo macedoniani, a far epoca dal 375 circa, furono indicati coloro che, sulle prime, erano definiti dai polemisti ortodossi come πνευματομάχοι (𝑝𝑛𝑒𝑢𝑚𝑎𝑡𝑜𝑚𝑎𝑐ℎ𝑜𝑖), 𝑝𝑛𝑒𝑢𝑚𝑎𝑡𝑜𝑚𝑎𝑐ℎ𝑖, che significa, letteralmente, 𝑐𝑜𝑚𝑏𝑎𝑡𝑡𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑆𝑝𝑖𝑟𝑖𝑡𝑜. Costoro, infatti, negavano la divinità dello Spirito Santo, ritenuto subordinato sia al Padre sia al Figlio. L’eresia, avversata da sant’Atanasio e poi da san Basilio Magno, fu infine condannata dal concilio ecumenico del 381.

5. Lo scisma meleziano-antiocheno

Nel 360, per varie vicende, la cattedra episcopale di Antiochia risultò vacante, e gli omei designarono ad occuparla san Melezio (†381). Questi, raggiunta la città, vi trovò la Chiesa divisa in due fazioni: da un lato, gli ariani; dall’altro, i niceni intransigenti, diretti dal prete Paolino (†388) e qualificabili 𝑒𝑢𝑠𝑡𝑎𝑧𝑖𝑎𝑛𝑖 poiché ancora fedeli a sant’Eustazio (†337), vescovo di quella sede deposto e bandito un trentennio prima. Melezio deluse subito le aspettative degli acaciani, predicando dottrine ortodosse e trovando diversi seguaci. In conseguenza, quelli gli imputarono presto delle irregolarità e lo fecero esiliare dall’imperatore, sostituendolo con Euozio. Tuttavia, i sostenitori dello stesso Melezio, capeggiati da san Flaviano (†404), formarono una comunità, definibile dei 𝑚𝑒𝑙𝑒𝑧𝑖𝑎𝑛𝑖. Così, quando il metropolita, dopo la morte di Costanzo, rientrò ad Antiochia, si rese conto che esistevano tre partiti: quello dei meleziani, appunto, quello degli eustaziani e quello degli ariani. Il secondo, però, non volle unirsi al primo, e quindi riconoscere Melezio, sia perché questi era stato ordinato dagli omei, sia per ragioni dottrinali. Infatti, mentre i meleziani tendevano a distinguere la ουσία (𝑜𝑢𝑠𝑖𝑎) dalle tre υποστάσεις (ℎ𝑦𝑝𝑜𝑠𝑡𝑎𝑠𝑒𝑖𝑠), gli ortodossi intransigenti ritenevano sinonimi i due termini. Intervenuto a mettere pace, il rigoroso niceno san Lucifero di Cagliari (†370) finì per aumentare la divisione, consacrando vescovo Paolino. Iniziò così lo scisma meleziano-antiocheno, nel quale problemi sarebbero stati creati anche da certo Vitale, un ecclesiastico sulle prime seguace di Melezio, ma in seguito distaccatosi da lui per abbracciare le tesi di Apollinare sull’Incarnazione. Lo stesso Vitale, verso il 375 creò una sua piccola comunità di dissidenti, mentre Euozio fu deposto nel 376 e sostituito con Doroteo. Nel 378, Melezio ottenne il riconoscimento da Roma, ma non da Alessandria, che all’epoca era la seconda sede più importante nella cristianità. Tre anni dopo, morto Melezio durante il concilio ecumenico di Costantinopoli, fu eletto a succedergli Flaviano, ma lo scisma continuò perché Roma, ma anche Alessandria, tardarono nel riconoscerlo. Pertanto, nel 388, dopo il decesso di Paolino, gli eustaziani lo sostituirono con Evagrio. Quando anche questi morì, nel 392 o 393, Flaviano riuscì a non fargli dare un successore e nel 394, finalmente, fu riconosciuto dagli altri patriarcati dopo un sinodo, del medesimo anno, riunitosi a Cesarea di Palestina (oggi in territorio israeliano). Via via, gli eustaziani sarebbero rientrati nella comunità, e nel 413, sotto il vescovo Alessandro, anche questa piaga della cristianità sarebbe definitivamente sanata.

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