Cristianesimo e teologia – Capitolo XVIII

1. Teodosio I imperatore d’Oriente. L’Editto di Tessalonica

    Nel 376, scoppiò la guerra gotica e due anni dopo, nella battaglia di Adrianopoli (moderno distretto di Edirne, Turchia), Valente incontrò la morte. L’impero fu riunito nelle mani di Graziano (359-383), figlio di Valentiniano I (321-375) e di Marina Severa, già associato al trono dal padre nel 367. In realtà, anche Valentiniano II (371-395), fratellastro dello stesso Graziano, era sovrano dal 375, ma in ragione della sua giovanissima età, la correggenza, di fatto, era nelle mani della madre Giustina (†388), seconda consorte del primo dei valentiniani. Sul finire di quel 378, proprio Graziano si sentì in grave difficoltà nell’affrontare la pressione germanica ad Est dell’impero: così, il 19 gennaio dell’anno seguente nominò il valoroso comandante Flavio Teodosio (347-395) – passato alla storia come Teodosio I – sovrano della 𝑝𝑎𝑟𝑠 𝑜𝑟𝑖𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠. Questi, pressoché da subito, si dimostrò molto premuroso nei riguardi dell’ortodossia. Su richiesta di Gregorio Nazianzeno (†389/390), ordinò che le chiese fossero dagli eretici riconsegnate ai niceni. Il 27 febbraio 380, a nome anche degli altri due imperatori, promulgò un editto – detto di Tessalonica o 𝐶𝑢𝑛𝑐𝑡𝑜𝑠 𝑝𝑜𝑝𝑢𝑙𝑜𝑠 – che proclamò il cristianesimo religione ufficiale dello stato. Questo il testo: «Vogliamo che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio seguano la religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani, oggi professata dal pontefice Damaso [†384] e da Pietro, vescovo di Alessandria [†380], uomo di santità apostolica; cioè che, conformemente all’insegnamento apostolico e alla dottrina evangelica, si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro saranno condannati anzitutto dal castigo divino, poi dalla nostra autorità, che ci viene dal Giudice Celeste».

    2. Il concilio di Costantinopoli: a) i canoni

    Nel 381, i vescovi dell’impero, convocati da Teodosio I nell’anno precedente, si riunirono nel Gran Palazzo di Costantinopoli, alla presenza del medesimo sovrano. Fu quella la prima sessione del secondo concilio ecumenico della storia, sebbene, ad onor del vero, i circa centocinquanta convenuti provenissero tutti da sedi orientali. I lavori, poi proseguiti presso la chiesa dell’𝐻𝑜𝑚𝑜̀𝑛𝑜𝑙𝑎 (concetto che esprime ordine ed unità), condussero i padri alla promulgazione di alcuni canoni. Il primo condannò varie eresie: «la professione di fede dei […] Padri, raccolti a Nicea di Bitinia non deve essere abrogata, ma deve rimanere salda; si deve anatematizzare ogni eresia, specialmente quella degli Eunomiani o Anomei, degli Ariani o Eudossiani, dei Serniariani e Pneumatomachi, dei Sabelliani, dei Marcelliani, dei Fotiniani e degli Apollinaristi».

    Il secondo riguardò il buon ordinamento delle diocesi, ed i privilegi dovuti ad Alessandria, Antiochia e Costantinopoli: «I vescovi preposti ad una diocesi non si occupino delle chiese che sono fuori dei confini loro assegnati né le gettino nel disordine; ma […] il vescovo di Alessandria amministri solo ciò che riguarda l’Egitto, i vescovi dell’Oriente, solo l’Oriente, salvi i privilegi della chiesa di Antiochia […]; i vescovi della diocesi dell’Asia, amministrino solo l’Asia, quelli del Ponto, solo il Ponto, e quelli della Tracia, la Tracia. A meno che vengano chiamati, i vescovi non si rechino oltre i confini della propria diocesi, per qualche ordinazione e per qualche altro atto del loro ministero […]. Questioni riguardanti una provincia dovrà regolarle il sinodo della stessa provincia».

    Il terzo dichiarò che «il vescovo di Costantinopoli avrà il primato d’onore dopo il vescovo di Roma, perché [quella] città è la nuova Roma». Tale canone, nel V secolo, avrebbe condotto ad aspre contese fra Costantinopoli, appunto, ed Alessandria, e la stessa Roma, con intervento addirittura del papa san Leone I Magno (†461).

    Il quarto dichiarò invalida la pretesa di Massimo, detto il Cinico, alla sede vescovile della capitale d’Oriente: quegli «non è mai stato né è vescovo, e non lo sono quelli che egli ha ordinato in qualsiasi grado del clero». Per inciso, dopo il ritiro di san Gregorio Nazianzeno, cui si è già accennato nel presente contributo, Teodosio scelse Nettario (†397) come patriarca costantinopolitano.

    Altri canoni riguardarono «chi può essere ammesso ad accusare un vescovo o un chierico» e le maniere con cui «accogliere coloro che si avvicinano all’ortodossia», abbandonando le varie eresie. Nell’elenco compaiono i Catari, altrimenti detti Puri. Evidentemente, costoro, anche se in piccolissimo numero, esistevano già nel IV secolo.

    3. segue: b) il credo niceno-costantinopolitano

    Soprattutto, il concilio redasse una formula di fede, conosciuta come credo niceno-costantinopolitano. Nelle prime due parti, furono riproposte, con alcune integrazioni rispetto al simbolo niceno, le definizioni concernenti il Padre e il Figlio. Quest’ultimo è generato, non creato, dal Padre, è consustanziale con lui e si è incarnato, nel seno della Vergine, per opera dello Spirito Santo: «καὶ σαρκωθέντα ἐκ Πνεύματος Ἁγίου καὶ Μαρίας τῆς Παρθένου καὶ ἐνανθρωπήσαντα» (𝑘𝑎𝑖 𝑠𝑎𝑟𝑘𝑜𝑡ℎ𝑒𝑛𝑡𝑎 𝑒𝑘 𝑃𝑛𝑒̀𝑢𝑚𝑎𝑡𝑜𝑠 𝐻𝑎𝑔𝑖𝑜𝑢 𝑘𝑎𝑖 𝑀𝑎𝑟𝑖𝑎𝑠 𝑡𝑒𝑠 𝑃𝑎𝑟𝑡ℎ𝑒𝑛𝑜𝑢 𝑘𝑎𝑖 𝑒𝑛𝑎𝑛𝑡ℎ𝑟𝑜𝑝𝑒̀𝑠𝑎𝑛𝑡𝑎), che significa «e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo». Aggiungendo il nome di Maria al simbolo, i padri conciliari, sebbene involontariamente, posero le basi di alcune discussioni che si sarebbero tenute qualche decennio dopo, e riguardanti proprio il titolo della Vergine come Θεοτόκος (𝑇ℎ𝑒𝑜𝑡𝑜𝑘𝑜𝑠), Madre di Dio.

    Nella terza parte del credo, quasi del tutto nuova rispetto alla formula di Nicea, fu stabilita la divinità della terza persona della Trinità: «Καὶ εἰς τὸ Πνεῦμα τὸ Ἅγιον, τὸ κύριον καὶ τὸ ζῳοποιόν, τὸ ἐκ τοῦ Πατρὸς ἐκπορευόμενον, τὸ σὺν Πατρὶ καὶ Υἱῷ συμπροσκυνούμενον καὶ συνδοξαζόμενον» (𝐾𝑎𝑖 𝑒𝑖𝑠 𝑡𝑜 𝑃𝑛𝑒𝑢𝑚𝑎 𝑡𝑜 𝐻𝑎𝑔𝑖𝑜𝑛, 𝑡𝑜 𝑘𝑦𝑟𝑖𝑜𝑛 𝑘𝑎𝑖 𝑡𝑜 𝑧𝑜𝑜𝑝𝑜𝑖𝑜́𝑛, 𝑡𝑜 𝑒𝑘 𝑡𝑜𝑢 𝑃𝑎𝑡𝑟𝑜̀𝑠 𝑒𝑘𝑝𝑜𝑟𝑒𝑢𝑜̀𝑚𝑒𝑛𝑜𝑛, 𝑡𝑜 𝑠𝑦𝑛 𝑃𝑎𝑡𝑟𝑖́ 𝑘𝑎𝑖 𝑌𝑖𝑜 𝑠𝑦𝑚𝑝𝑟𝑜𝑠𝑘𝑦𝑛𝑜𝑢̀𝑚𝑒𝑛𝑜𝑛 𝑘𝑎𝑖 𝑠𝑦𝑛𝑑𝑜𝑥𝑎𝑧𝑜́𝑚𝑒𝑛𝑜𝑛), che significa «E [credo] nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato».

    Eh sì… il simbolo di fede definito nel 381, quindi quasi sedici secoli e mezzo or sono, è pressoché identico a quello che, ancora oggi, è recitato dall’assemblea durante le messe cattoliche. L’unica differenza di rilievo è il 𝐹𝑖𝑙𝑖𝑜𝑞𝑢𝑒 – 𝑞𝑢𝑖 𝑒𝑥 𝑃𝑎𝑡𝑟𝑒 𝐹𝑖𝑙𝑖𝑜𝑞𝑢𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑑𝑖𝑡 (che procede dal Padre e dal Figlio) – che sarebbe stato aggiunto al credo secoli dopo.

    4. Conclusioni

    Gli atti del secondo concilio ecumenico della storia furono firmati il 9 luglio dello stesso 381, e Teodosio li ratificò il 30 del medesimo mese. Nel 382, i padri conciliari scrissero a papa Damaso ed altri vescovi occidentali manifestando la loro gioia per il trionfo dell’ortodossia. Di alto valore teologico la parte in cui si legge: «[…] il senso della vera fede, essendo essa antichissima e conforme al battesimo […] ci insegna a credere nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, cioè in una sola divinità, potenza, sostanza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in una uguale dignità, e in un potere coeterno, in tre perfettissime ipostasi, cioè in tre perfette persone, ossia tali, che non abbia luogo in esse né la follia di Sabellio con la confusione delle persone, con la soppressione delle proprietà personali, né prevalga la bestemmia degli Eunomiani, degli Ariani, degli Pneumatomachi, per cui, divisa la sostanza, o la natura, o la divinità, si aggiunga all’increata, consustanziale e coeterna Trinità una natura posteriore, creata, o di diversa sostanza».

    La controversia ariana, sotto il profilo dottrinale, era pressoché terminata, ma la lotta contro l’eresia avrebbe in seguito assunto ben altro aspetto. Difatti, sconfitto entro i confini imperiali, l’arianesimo aveva già iniziato a diffondersi presso i Goti grazie alla predicazione di Ulfila, o Wulfila (†383?), un missionario di fede filoariana. con antenati cristiani originari della Cappadocia, che aveva tradotto una Bibbia proprio in lingua gotica. Ariani, fino al primo ventennio circa del VI secolo, sarebbero stati anche i Burgundi, e per un lungo periodo pure i Longobardi (con alcuni, però, rimasti pagani), alla cui conversione si sarebbe dedicato il pontefice san Gregorio I Magno (†604), con il contributo – in parte soltanto leggendario – della cattolica Teodolinda, o Teodelinda (†627), regina consorte appunto dei Longobardi. Questa, però, è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta.

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