1. Il Cristianesimo tra il 360 e il 363. Giuliano l’Apostata
Il concilio di Rimini del 359, e poi quello di Costantinopoli del 360, avevano segnato il trionfo dell’arianesimo, nel profilo in cui sarebbe proseguito fra i popoli germanici, presso i quali proprio allora iniziava a diffondersi. L’unità sembrava raggiunta, anche se sant’Ilario (†367), rientrato in patria nel 360, convocava un sinodo, a Parigi, che comportava la fine dell’eresia in Gallia, e l’inizio del suo forte indebolimento nel resto dell’Occidente. Anche sant’Atanasio (†373), sebbene nascosto fra i monaci del deserto, continuava a far sentire la sua voce, e così altri vescovi, esiliati da Costanzo II (317-361). Tuttavia, nella primavera di quel 360, i soldati romani stanziati in Gallia acclamarono augusto il giovane Giuliano (331-363), già cesare occidentale e vincitore prima degli Alamanni e poi dei Franchi. Questi iniziò la sua marcia verso Oriente, e la morte di Costanzo, l’anno successivo, gli diede il trono.
Non è questa la sede per raccontare i primi anni della vita di Giuliano: sufficiente rilevare che egli, fino al 349, fu «formalmente cristiano», ma anche profondo amante della cultura classica, grazie soprattutto agli stimoli del suo precettore Mardonio (†363?). Proprio in quell’anno, però, il futuro Apostata venne a contatto con le dottrine del retore Libanio (314-393), vessillifero del movimento pagano orientale che sognava il riscatto contro l’«oscurantismo della religione dei Nazareni». Iniziato allo studio della filosofia neoplatonica di Plotino, il giovane iniziò a mettere in discussione gli insegnamenti ricevuti in precedenza, fino a maturare la fede negli antichi culti romani, che provò a ripristinare appena assunta la carica imperiale.
Il regno di Giuliano – Il sovrano mai ordinò persecuzioni contro i cristiani. Del resto, lui stesso così si espresse in una lettera: «non voglio che i Galilei siano uccisi, né che siano percossi ingiustamente, né che subiscano altri torti». Tuttavia, ordinò che i governatori delle varie province – evidentemente scelti fra i pagani – agissero allo scopo di persuadere i convertiti più recenti a riabbracciare la fede negli dei, e nello stesso tempo per scoraggiare nuove adesioni al cristianesimo. In conseguenza, occorsero alcuni episodi di violenza, che l’imperatore tollerò. Questi, inoltre, sostenne economicamente la causa idolatra, disponendo la riapertura e la ristrutturazione di templi e la ripresa di liturgie abbandonate. Giuliano, ancora, consentì il rientro alle loro sedi dei vescovi che il suo predecessore aveva esiliato o costretto alla fuga. Tuttavia, questo provvedimento, in apparenza magnanimo, nascondeva la volontà di alimentare discordie fra i cristiani, e quindi indebolire le loro istituzioni. Infatti, con i presuli reinsediati – anche se Atanasio fu riesiliato nel 362 –, sarebbero ripresi gli attriti fra ortodossi ed ariani, con reciproche accuse di eresia. Nondimeno, l’augusto si rese conto, molto presto, che i suoi provvedimenti avevano scarsissima efficacia. I santuari pagani erano ben poco frequentati ed il relativo clero mostrava una preparazione dottrinale e teologica di gran lunga inferiore a quella dei 𝐺𝑎𝑙𝑖𝑙𝑒𝑖, i quali erano anche ben organizzati, attivi verso i poveri e gli ammalati, con chiese traboccanti di fedeli. Pressoché a nulla, nel 362, servì la ricollocazione simbolica, nel Senato di Roma, dell’Altare della Vittoria, fatto rimuovere da Costanzo cinque anni prima. E pochissimi effetti concreti derivarono dai provvedimenti di epurazione dei cristiani dagli uffici pubblici, di proibizione, per i medesimi, di insegnare nelle scuole, di privazione, per il clero, di privilegi fiscali e legali del passato. La religione di Cristo era ormai troppo radicata nell’impero per pensare di scalzarla. Giuliano, che riuscì semplicemente a guadagnarsi il soprannome di Apostata, con cui è tuttora conosciuto, fu soltanto un anacronistico sognatore.
2. Gioviano, Valentiniano I e Valente
Giuliano morì in Persia nell’estate del 363 e fu sostituito da Gioviano. Questi consentì ad Atanasio di rientrare ad Alessandria, ma qui anche gli eretici furono ammessi a tenere riunioni. Qualche mese dopo, pure quegli morì, e sotto i nuovi imperatori, Valentiniano I (321-375) e Valente (†378), si riprodusse un contesto analogo a quello vissuto durante i regni, rispettivamente, di Costante (†350) e Costanzo II. L’Occidente continuò nei suoi sforzi per cancellare la macchia di Rimini, con pochissimi presuli che restarono ancorati all’eresia: nel 366, persino Germinio (†375/376), titolare della cattedra di Sirmio (odierna Sremska Mitrovica, Serbia), accettò lo ὁμοούσιος (ℎ𝑜𝑚𝑜𝑜𝑢𝑠𝑖𝑜𝑠). In Oriente, invece, il sovrano cadde presto sotto l’influenza di Eudossio, l’ecclesiastico più ambiguo durante l’intera controversia ariana. Inizialmente semiariano, nel 357 era riuscito, subdolamente, a farsi eleggere vescovo di Antiochia, ove aveva presto sposato la causa degli anomei. In conseguenza, nel 359, il sinodo di Seleucia, a maggioranza omoiusiana, lo aveva deposto. Tuttavia, l’anno seguente, dopo il concilio di Costantinopoli, era riuscito, anche grazie all’appoggio degli omei – entrati nelle grazie imperiali –, a diventare vescovo della stessa città al posto di Macedonio. In tale veste, aveva subito favorito l’elezione di Eunomio (†393/395), leader dell’ala estrema ariana, a presule di Cizico (moderno distretto di Erdek, Turchia). Lo stesso Eudossio avrebbe occupato la sede episcopale costantinopolitana fino al suo decesso, occorso intorno al 370.
3. La situazione per l’ortodossia, in Oriente, intorno al 365
Nella 𝑝𝑎𝑟𝑠 𝑜𝑟𝑖𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠 dell’impero, la situazione, per l’ortodossia, appariva dunque molto complicata: la politica religiosa di Valente era diretta proprio da Eudossio; quando il trono imperiale, nel 365, era stato usurpato da Procopio (†366), a questi si era avvicinato Eunomio, già rimosso dalla cattedra episcopale ottenuta nel 360, ma comunque autore di un’apologia contro la dottrina nicena che incontrava vari favori; era in corso lo scisma meleziano; altre eresie, oltre quella ariana, si erano affacciate sulla scena. In particolare quella degli pneumatomachi, un sostantivo che includeva ormai anche i semiariani. Vero che gli omei perdevano via via energia – la morte di Acacio, intorno al 366, ne avrebbe praticamente segnato la scomparsa – e che il mai domo Atanasio continuava la sua lotta, ma sembrava davvero che, per risollevare le sorti ortodosse in Oriente, servisse un 𝑚𝑖𝑟𝑎𝑐𝑜𝑙𝑜.
4. Primi cenni sui Padri cappadoci
Quel 𝑚𝑖𝑟𝑎𝑐𝑜𝑙𝑜 giunse dalla Cappadocia, nelle persone di san Basilio Magno (†379), del fratello di questi san Gregorio di Nissa (†394/395), e dell’amico di entrambi (ma soprattutto del primo) san Gregorio di Nazianzo (†389/390). Con loro – tutti originari appunto della Cappadocia – iniziò un periodo nuovo.
Già nel 364, Basilio scrisse il 𝐶𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜 𝐸𝑢𝑛𝑜𝑚𝑖𝑜, un’opera di cui si tratterà più diffusamente nel prossimo capitolo. Per ora, sufficiente rilevare che l’Autore, riprendendo la dottrina nicena, dimostrò come Padre e Figlio, nell’unità indistinta della Trinità, avessero una comune sostanza, mentre la diversità dei loro nomi rifletteva soltanto proprietà individuali ininfluenti sulla loro consustanzialità. Lo stesso Dottore, nel 370, divenne vescovo di Cesarea (moderna Kayseri, Turchia), e in tale carica si oppose a Valente, che pretendeva la sottoscrizione della formula approvata a Rimini nel 359. Il medesimo imperatore, in seguito, non osò agire contro il metropolita, amatissimo dal popolo per la sua attività pastorale, ma soprattutto per la cittadella – Basiliade – fatta costruire nei primissimi mesi del suo episcopato. Questa includeva locande, ospizi e un lebbrosario, con tanto di personale medico ed infermieristico. Quello fu il primo 𝑜𝑠𝑝𝑒𝑑𝑎𝑙𝑒 della storia, sebbene l’accezione, naturalmente, vada rapportata all’epoca. Nel 390 ne sarebbe nato uno a Roma – aperto non solo ai malati, ma anche ai poveri – per iniziativa della matrona santa Fabiola (†399/400).
Nel 371, o forse agli inizi del 372, Basilio, per evitare il diffondersi delle dottrine ariane – predicate soprattutto da Antimo, vescovo di Tyana –, nominò il germano Gregorio presule di Nissa (odierna Nevşehir, Turchia). Qui, questi combattette così bene l’eresia che i suoi avversari, giovandosi dell’appoggio di Demostene, governatore del Ponto (diocesi di cui la Cappadocia faceva parte), lo fecero deporre da un concilio tenutosi proprio a Nissa nel 375 o 376. Gregorio, allontanato, sarebbe poi rientrato in sede nel 378, dopo la morte dell’imperatore Valente nella celeberrima battaglia di Adrianopoli (oggi Edirne, Turchia).
Allo stesso scopo poc’anzi richiamato, Basilio, nel 372, nominò l’amico Nazianzeno presule di Sasima, un piccolo centro della Cappadocia che lo stesso metropolita di Cesarea aveva elevato a sede vescovile proprio in quell’anno, evidentemente per aumentare, a danno degli ariani, il numero di diocesi, e quindi di presuli, sotto la sua giurisdizione. Gregorio, però, non raggiunse la sede, preferendo restare a Nazianzo accanto all’anziano padre, vescovo del luogo. Dopo il decesso di questi, nel 374, Gregorio amministrò la chiesa per alcuni mesi e poi si recò a Seleucia di Isauria, in Cilicia (attuale Silfike, Turchia), ove si trattenne. Fu qui, infatti, che nel 379 lo raggiunsero prima la notizia della morte di Basilio e poco dopo la chiamata della comunità ortodossa di Costantinopoli che, dopo il decesso di Valente, poteva auspicare momenti migliori. Il Nazianzeno raggiunse la città, ove predicò con grande validità contro l’eresia. Nonostante le manovre di un certo Massimo, un presule alessandrino detto il Cinico, Gregorio, nel 380, fu eletto vescovo della capitale, e subito riuscì ad ottenere dal nuovo imperatore, Teodosio I (347-395), che le chiese fossero dagli ariani riconsegnate agli ortodossi.
La sconfitta dottrinale per l’arianesimo ed altre tesi eretiche era sempre più vicina…