1. Origini del cristianesimo ed età apostolica.
Gli esperti non sono concordi sull’epoca esatta di nascita del cristianesimo, la religione oggi più diffusa al mondo. Tuttavia, le origini si possono determinare nella predicazione e nelle azioni di Gesù, attuazione delle attese messianiche della tradizione ebraica. Secondo gli Atti degli Apostoli – spesso unica fonte storica sulle prime comunità cristiane – dopo poco tempo dalla morte di Cristo una comunità di fedeli si ricostituì a Gerusalemme, sotto la guida degli Apostoli, tornati a essere dodici dopo il suicidio di Giuda Iscariota. Questo gruppo contava qualche migliaio di Giudei e proprio dall’ebraismo prese alcuni elementi, quali le Sacre Scritture, il monoteismo e l’uso dei Salmi nelle orazioni collettive. Ancora secondo gli Atti, ai dodici furono affiancati sette diaconi, con l’incarico di provvedere ai bisogni materiali della comunità e alle opere di carità. Ben presto, però, anche loro iniziarono a predicare. Uno di essi – Stefano – fu il primo martire: accusato di blasfemia, fu condannato alla lapidazione. Morì pregando il Signore di accogliere il suo spirito e supplicandolo di perdonare i suoi assassini. Considerato che il decesso del Santo Protomartire è dipeso da lapidazione e non da crocifissione, si deve ritenere che avvenne nel 36, durante il vuoto amministrativo successivo alla deposizione di Ponzio Pilato. In quel lasso temporale, era il Sinedrio a detenere il potere in Giudea, e tale organo – preposto all’emanazione delle leggi e all’amministrazione della giustizia – ordinava le condanne a morte proprio per lapidazione, giusta la tradizione locale. Nello stesso periodo, e comunque non oltre il 40, il centurione Cornelio di Antiochia fu il primo convertito pagano – quindi non ebreo – alla fede cristiana.
2. Il concilio di Gerusalemme. Cenni su san Paolo di Tarso. Il cristianesimo inizia a diffondersi.
Intorno all’anno 50, si tenne un concilio a Gerusalemme, che vide riuniti i maggiori esponenti della comunità cristiana. Il sinodo decise che ai pagani che si fossero convertiti alla nuova fede non dovesse essere imposta la legge mosaica, che includeva l’obbligo di circoncisione. Inoltre, ai discepoli cosiddetti gerosolimitani (ossia della Chiesa di Gerusalemme) fu affidato l’apostolato verso i giudaici, mentre a Paolo di Tarso (†64/67) – ebreo con cittadinanza romana convertitosi circa quindici anni prima – furono assegnati i gentili, ossia le persone non ebree. Proprio con san Paolo, i suoi viaggi e le numerose lettere inviate alle nuove comunità, il cristianesimo prese piede fra genti di cultura greca e romana, in qualche caso raggiungendo altissime personalità della pubblica amministrazione. Lo stesso Apostolo aveva già raggiunto Cipro e l’Asia Minore e dopo il concilio percorse la Macedonia, la Grecia e la regione dell’Egeo centrale, prima di intraprendere, nel 58, un lungo viaggio verso Roma. Così, il cristianesimo si diffuse ben oltre gli originari confini della Palestina, estendendosi, fra l’altro, ad Antiochia, Alessandria, Damasco, Cirene, Efeso, Corinto, Cipro e alla capitale dell’impero. In concomitanza, i pagani convertiti al nuovo credo diventarono numericamente molti di più rispetto alle persone provenienti dall’ebraismo.
3. Le prime comunità cristiane.
Le prime comunità cristiane erano sprovviste di una robusta organizzazione. Fra esse, anzi, sussistevano differenze istituzionali che ne determinavano una certa eterogeneità. Comuni erano solo la rinuncia al culto degli idoli e il ricorso al battesimo, sia come rito di liberazione dal peccato sia come manifestazione di appartenenza al gruppo.
Nella società del I secolo, i cristiani costituivano una piccola minoranza. Molti appartenevano alle classi più povere, ma fra i fedeli non mancavano alcune persone abbienti. In ogni modo, tali prime comunità incontrarono presto forti ostilità: le autorità ebraiche di Gerusalemme provarono a impedirne la predicazione, con accuse di eresia e blasfemia. San Giacomo di Zebedeo (o il Maggiore) fu fra le vittime, intorno al 44: secondo la tradizione, dopo un viaggio evangelico nella Penisola Iberica. San Pietro invece si salvò con la fuga, mentre san Paolo fu più volte torturato.
4. Il rapporto del cristianesimo con l’Impero romano.
Il neonato credo si inseriva in un ordinamento che poneva determinate richieste religiose di tipo totalitario. I romani ritenevano universale il loro impero, con la politica strettamente correlata alla religione: le vicende dello Stato e la volontà degli dei erano indissolubili. Pertanto, la presenza nell’Urbe di comunità che si allontanavano dai tradizionali rituali era ritenuta, da molti, come una sorta di minaccia alla pax deorum, ossia alla concordia fra divinità e cittadini.
Nell’anno 64, quando scoppiò l’incendio di Roma, l’opinione pubblica ritenne responsabile l’imperatore Nerone (37-68). I cristiani, però, furono per il sovrano un eccellente capro espiatorio, e a tal proposito Publio Cornelio Tacito (55-117/120), nei suoi Annales, fa esplicito riferimento a Cristo e ai suoi seguaci: «per far cessare tale diceria, Nerone spacciò per colpevoli e condannò ai tormenti più raffinati quei cosiddetti cristiani, che il volgo odiava per le loro nefandezze. Prendevano essi il nome da Cristo, che era stato suppliziato ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l’impero di Tiberio, e quell’esecrabile superstizione, repressa per breve tempo, riprendeva ora forza non soltanto in Giudea, luogo d’origine di quel male, ma anche in Roma, ove tutte le atrocità e le vergogne confluiscono da ogni parte e trovano seguaci». Per inciso, Tacito è una delle numerose fonti non cristiane sulla storicità di Gesù di Nazareth. Vero che il passo appena richiamato contiene un’imprecisione – Pilato era prefetto, non procuratore – ma gli esperti sostengono che sia stato un errore determinato dall’uso di un termine in voga nell’epoca in cui gli Annales furono scritti, oppure dalla non corretta traduzione da una parola greca, od ancora dalla mancata verifica documentale, da parte di Tacito, nel momento in cui riportò l’informazione.
Qualche tempo dopo, Domiziano (51-96) istituì il culto dell’imperatore, prevedendo la pena di morte per chi lo rifiutasse, quindi anche per i cristiani. Fino agli editti di Serdica (311) e di Milano (313), il credo nato in Palestina sarebbe rimasto una religione illecita, punibile con sanzioni severissime, ma per diverso tempo i cristiani non furono ricercati operosamente: la fede poté quindi diffondersi, ancorché sovente relegata in gruppi clandestini.
5. Vangeli e Nuovo Testamento.
Con ogni probabilità, nelle prime comunità, il racconto della vita e dell’insegnamento di Gesù avveniva per via orale. Nondimeno, circolavano alcuni scritti utili alla catechesi e alla celebrazione dei primi riti. Sulla scorta di tali opere, nella seconda metà del I secolo, si diede il via a un lavoro di raccolta che condusse alla stesura dei testi conosciuti come Vangeli. Gli studiosi ritengono che quello di Marco sia il più antico, databile intorno al 70. Al lavoro di Marco ne seguirono altri: ad esempio, il Protovangelo di Giacomo o il Vangelo di Tommaso, che riferiscono sulla vita di Cristo prima del suo ministero. Per impedire un così ampio nascere di scritti, fu iniziato un processo di selezione, durato diverso tempo. Non è noto l’anno in cui tutte le comunità cristiane accettarono definitivamente i quattro Vangeli e gli altri testi riconosciuti ancora oggi nel canone biblico della Chiesa cattolica. Certo è, però, che le varie opere del Nuovo Testamento ricevono un cenno in uno scritto, risalente al 150 circa, di san Giustino (†165?), filosofo ed apologeta, ma soprattutto sono elencate nel cosiddetto Canone (o Frammento) muratoriano, databile fra la fine del II secolo e l’inizio del III.
Il canone muratoriano. – Si tratta di un documento mutilo all’inizio, ma la prima frase, sebbene monca, ha indotto gli esperti a ritenere che l’autore si riferisse al Vangelo di Marco. In prosieguo, sono enumerati i Vangeli di Luca e Giovanni, e indirettamente quello di Matteo, gli Atti e le Lettere di san Paolo. Tutte queste, secondo l’autore del canone, sono le «opere liturgiche», accanto alle quali ce ne sono altre «adatte per la lettura privata» (ad esempio, l’Apocalisse di Giovanni) ed altre ancora manifestamente ereticali. Fra queste ultime, la Lettera ai Laodicesi e quella agli Alessandrini. Molte le ipotesi degli esperti su chi abbia scritto il documento, ma l’origine romana ha fatto pensare ad un pontefice: segnatamente, ad uno fra i santi Vittore I (†190), Zefirino (†217) e Callisto I (†222). In ogni caso, il canone è vergato in un latino molto rozzo, ed è proprio per dimostrare l’intervenuta corruzione della lingua nei secoli bui che Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) avrebbe riportato il frammento nel terzo volume della sua opera Antiquitates Italicae Medii Aevi, pubblicato nel 1740. Dallo stesso illuminista il canone avrebbe preso il nome con cui è attualmente conosciuto.
6. Liturgia e struttura nelle prime comunità.
Proprio grazie al canone del Nuovo Testamento, è possibile conoscere alcuni aspetti organizzativi e rituali delle prime comunità. Esse si riunivano con frequenza per pregare, intonare canti liturgici, consumare un pasto comunitario e scambiarsi un bacio fraterno. Per essere ammessi alla comunità occorreva battezzarsi. Fra i fedeli, si identificavano le figure che provvedevano ai bisogni del gruppo: fra loro, i diaconi, addetti alle attività più materiali; il consiglio degli anziani o presbiteri, che gestiva la comunità; i presbiteri supervisori o episcopi, cui competeva la guida del gruppo.
7. Distacco dal giudaismo.
I primi seguaci di Gesù erano Giudei che in lui avevano riconosciuto il məšīaḥ, il māšīāḥ, il Μεσσίας (Messias), giusta le lingue – aramaico, ebraico e greco – al tempo parlate nella regione. In breve, il Messia, cioè l’«unto» investito da Dio dell’autorità di intermediare con il popolo di Israele. Nell’ambito del giudaismo stesso, quegli uomini costituirono una corrente definibile giudeo-cristianesimo. Tuttavia, con la diffusione della nuova fede fra i pagani, i giudeo-cristiani si trovarono in forte minoranza e persero il loro ascendente nel tratteggio di regole e dottrina. Questo processo fu acuito dalla crisi del mondo ebraico, determinata dalle sconfitte nelle tre guerre contro l’impero romano, combattute, con intervalli, dal 66 al 135: dopo tali eventi, nel giudaismo si spensero quasi tutti i movimenti che lo avevano guidato per il I secolo e negli inizi del II. Uniche eccezioni furono il partito dei Farisei, che avrebbe dato genesi all’ebraismo rabbinico, e quello dei giudeo-cristiani, che però si allontanò dalle proprie origini, in parte confondendosi nel cristianesimo, in parte facendo nascere varie sette – ebioniti, nazareni, elcasaiti e altre – sovente ritenute eretiche o scismatiche dalla Grande Chiesa (cristiana) che si stava costituendo. In conseguenza, a fare epoca dal 135/140 circa, il distacco del cristianesimo dalle origini giudaiche era compiuto.