I. IL CONTESTO
Gli Aragona di Napoli erano noti principalmente per due qualità: la disinvoltura con cui tradivano e la facilità con cui si innamoravano. Re Ferrante il Vecchio (1423-1494), che nel bene e nel male assicurò al regno la prosperità, fino a tarda età continuò a nutrire un’ossessione quasi patologica nei confronti delle giovinette. Suo figlio, Alfonso il Guercio (1448-1495), amava indistintamente uomini e donne, e talvolta si dava agli stupri e ai rapimenti.
Niente di tutto questo macchiò invece il buon Ferrandino (1467-1496): egli si distinse nettamente dal padre come dal nonno per essere principe giusto, leale, magnanimo; giovane pieno di ogni virtù, fu addirittura acclamato “il primo tra tutti i Re e i Signori del Mondo” (Anonimo Chronicon Venetum).
Bello di viso e bellissimo di corpo, coraggioso e audace, tutte le donne impazzivano per lui. Ne è prova un curioso episodio del settembre 1494, anno in cui il regno di Napoli era travagliato dalla guerra contro re Carlo VIII (1470-1498). Ferrandino, che aveva ventisette anni ed era all’epoca duca di Calabria, si trovava accampato nei pressi di Cesena in qualità di capo supremo dell’esercito napoletano.
II. IL MEZZANO
Una sera si presentò al campo un misterioso uomo di nome Mattio, il quale chiedeva di discutere col duca una faccenda della massima importanza e segretezza. Ferrandino credette trattarsi di qualche notizia favorevole alla sua impresa, invece Mattio iniziò a parlargli di una “nobilissima et bellissima madonna […] per nobiltà et bellezza la prima fanciulla di tucta la Romagna” la quale, avendo ammirato quattro anni addietro un suo ritratto e avendo sentito lodare le sue innumerevoli virtù, si era perdutamente innamorata di lui, e con proprio rischio e pericolo era venuta fino a Cesena soltanto per poterlo vedere; per di più, avendolo veduto, s’era infiammata a tal punto che “non truova posa né locho o cosa che porti alcuno refrigerio a tanto suo fuocho“, e dopo mille tentativi fatti “per levarsi questo desiderio et pena dal cuore, non ha mai potuto spegnere una minima parte della sua fame“.
Lo pregava dunque ch’egli, come signore magnanimo, si degnasse di “havere compassione di chi per voi muore” e volesse “porgere qualche remedio a questa sua infermità tanto grave“, poiché altrimenti “la vita della meschinella presto mancheria“.
Ferrandino rimase meravigliato e, com’è ragionevole, fu inizialmente in dubbio potesse trattarsi di un complotto ai suoi danni e che la donna volesse avvelenarlo attraverso il coito, tanto più che proveniva da territorio nemico. Dunque la fece attendere qualche altro giorno, informandosi frattanto circa la sua identità, e più volte fu sul punto di troncare tutto.
III. L’INCONTRO
Alla fine, reputando “viltà grande in se medesimo el non ardire d’andare a vedere una femina” si decise: fissò il luogo e l’ora e, fingendo d’uscire a caccia, si recò in gran segreto in una casa di campagna dove l’attendeva la donna e dove “consumò el sancto matrimonio con grandissima dolcezza dell’una parte et dell’altra“.
L’avvenimento ci è narrato dal futuro cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (1470-1520) in due lettere indirizzate a Piero il Fatuo (1472-1503). Questa “madonna devotissima del gran Cazo di costui, che forse ne haveva inteso qualche cosa, perché è assai horrevole [=onorevole]” – come dice il Dovizi – si chiamava Caterina Gonzaga, appartenente forse al ramo di Novellara.
Sebbene Ferrandino non abbia “per sua conscentia ” rivelato ad alcuno la relazione se non appunto al Dovizi (col quale era solito parlare “liberamente de ogni cosa“) e al caro amico Alfonso II d’Avalos (1465-1495), la fama della grande bellezza di Caterina giunse alle orecchie di Ludovico il Moro (1452-1508), che in quel tempo si trovava ad Asti in compagnia del re di Francia, il quale era sempre desideroso di avere attorno a sé belle donne.
Ludovico mandò dunque un messo a Caterina, invitandola a recarsi in Asti per compiacere il re, e le offrì in cambio la notevole somma di oltre 3000 ducati. Caterina tuttavia, sdegnata dalla proposta, pregò Ferrandino che l’aiutasse a inventare una “potente scusa” per declinare l’offerta, poiché “da lui né vuole né può partirsi“. Egli deliberò allora, fra le risate degli amici, che Caterina accettasse l’offerta del Moro, ma che rubasse poi i ducati all’uomo che glieli avrebbe portati e rimanesse con lui a Cesena.
IV. IL FATUO
Nondimeno, poiché sapeva che Piero il Fatuo aveva provato a ottenere la donna senza riuscirvi, Ferrandino si mostrò molto disponibile a prestargliela, dicendo: «Io voglio che queste cose delle donne, come le altre, tucte sieno tra noi communi». Il Dovizi ribatté allora che l’offerta di scambio a Piero non sarebbe convenuta di certo, in quanto Piero aveva presso di sé amanti mentre Ferrandino no, inoltre giudicò che la sua disponibilità fosse dovuta al fatto che in verità la “carne” di Caterina non gli piacesse, cosa che Ferrandino gli assicurò non essere vera, sostenendo “che di lei gli piace ogni cossa” e che prima di partire “ne vuole un’altra scorpacciata“.
Piero spedì poi al campo certe lettere con un ritratto della stessa Caterina, a dimostrazione del fatto che la donna fosse già stata sua amante. Riferisce il Dovizi che Ferrandino ne “rise tanto e sì di cuore che non potrei dire più, et vi giuro che non lo ho visto né credo vedere mai in tanta letitia quanto fu allhora“.
Confessò infatti di aver mentito nel dire che la donna gli fosse piaciuta, credendo che né Piero né il Dovizi la conoscessero, mentre in verità non gli era piaciuta per nulla, se non per “un pocho di maniere“, anzi gli stava “più a noia che il diavolo“, perché aveva più peli di un fauno, le sue carni sembravano di burro e aveva modi disonesti.
Se Caterina avrà ancora voglia di lui – aggiunge – allora dovrà venire ella stessa in campo a trovarlo, “altrimenti se lo può grattare tanto che si cavi la foia da sé“, poiché egli “non se ne moverà un passo“, e che “se lei non viene in campo, si può impichare per costui, che del rivederlo non facci più conto, et se venissi in campo proverrà come pesa il Marchese“. Ossia Ferrandino la offrirebbe altrettanto al caro amico Alfonso d’Avalos, come pure allo stesso Dovizi, il quale però precisa che non si sarebbe mai permesso di giacere con una donna con la quale avesse già giaciuto il proprio signore Piero.
V. EPILOGO
Che fine fece Caterina è difficile dirlo: da una successiva missiva del Dovizi sappiamo che si trovava in un monastero a Forlì, ma che non osava avvicinarsi al campo. Con la partenza di Ferrandino dalla Romagna la corrispondenza si interrompe.
Qualche mese più tardi si ha notizia, da altre fonti, di una Caterina Gonzaga nel novero delle amanti di Carlo VIII a Napoli, nel breve periodo in cui il monarca francese riuscì ad appropriarsi del regno.
Quanto al buon Ferrandino, ebbe una vita breve e infelice: si addossò, egli innocente, gli effetti della nefanda politica condotta per decenni dal padre e dal nonno; tentò, con qualche successo, di rimediare alle loro colpe e riuscì, non senza grandi difficoltà, a riconquistarsi il regno. Morì alla verde età di ventinove anni, stremato dalle fatiche, il 7 ottobre 1496, dopo neppure due anni di regno, amato da tutti e pianto con incredibile dolore dal suo popolo.
VI. LE FONTI
– Archivio di stato mediceo di Firenze, Filza 18 documento 322 carta 426 e altre, lettere del 4 e 9 ottobre 1494.