Cristianesimo e teologia – Capitolo XVI

I Padri Cappadoci – 2ª parte: San Gregorio di Nissa

1. Biografia

    Gregorio di Nissa, fratello di san Basilio Magno (†379), nacque verso il 335 a Cesarea di Cappadocia (odierna Kayseri, Turchia). Durante gli studi acquisì solide basi filosofiche, che in seguito gli avrebbero consentito di costruire un robusto edificio teologico. Fu prima lettore e poi insegnante di retorica, e fu in quest’ultimo periodo che prese moglie. Nondimeno, sia il modello ascetico della madre, santa Emmelia (†373), e della sorella, santa Macrina (†380), sia la scelta del fratello di darsi al monachesimo, lo condussero ad una svolta. Si dedicò quindi all’ascetismo eremitico, da cui, però, fu ricondotto nel secolo, ed alla battaglia contro gli eretici, dalla volontà di Basilio, il quale, ormai metropolita di Cesarea, lo volle presule della suffraganea sede di Nissa (moderna Nevşehir, Turchia). Gregorio predicò così bene contro i filoariani da suscitare la loro reazione. Costoro lo misero in cattiva luce con Demostene, governatore del Ponto (diocesi di cui la Cappadocia, e quindi Nissa, facevano parte), che lo fece arrestare e condurre ad Ancyra (attuale Ankara, Turchia). Inoltre, lo stesso Demostene, nel 375 o 376, convocò un sinodo, proprio a Nissa, in seguito al quale Gregorio fu deposto. Poté rientrare in sede – ove fu accolto con giubilo dalla popolazione – soltanto nel 378, dopo la morte dell’imperatore Valente. Nell’anno seguente partecipò al sinodo di Antiochia, convocato allo scopo di provare a risolvere lo scisma meleziano, già trattato nel presente contributo (ved. Intermezzo 4). Dopo l’assemblea, i padri diedero a Gregorio l’incarico di visitare le Chiese del Ponto, allo scopo di predicarvi la fede nicena. Verso il marzo 380 fu anche eletto, suo malgrado, metropolita di Sebaste (moderna Sivas, Turchia), ma dopo qualche mese poté tornare a Nissa. Nel 381 partecipò al concilio di Costantinopoli, e per l’energia ivi manifestata, il decreto di Teodosio I (347-395), dello stesso anno, lo designò come uno dei migliori rappresentanti dell’ortodossia. Gli anni seguenti della vita del Nisseno sono avvolti dal mistero. Forse si recò in Palestina, per risolvere alcuni contrasti insorti nelle chiese del luogo, e sembra che nel 386 abbia pronunziato le orazioni funebri per Elia Flaccilla, prima consorte del sovrano d’Oriente. Certo è soltanto che nel 394 prese parte ad un sinodo costantinopolitano, presieduto dal patriarca Nettario (†397), in cui si stabilirono alcune regole relative alle ordinazioni e deposizioni episcopali. Anche l’anno di morte è sconosciuto, sebbene gli storici lo indichino nello stesso 394 oppure nel 395.

    2. Gli scritti di San Gregorio di Nissa: sintesi

    Il Nisseno fu autore fecondo, e le sue opere possono essere catalogate come teologiche, esegetiche, ascetiche e oratorie. Fra le prime, una confutazione delle tesi di Apollinare di Laodicea(†392/394), in cui Gregorio difende la perfetta unione delle nature umana e divina nel Cristo; il 𝘋𝘦 𝘚𝘱𝘪𝘳𝘪𝘵𝘶 𝘚𝘢𝘯𝘤𝘵𝘰, contro gli pneumatomachi; il cosiddetto 𝐺𝑟𝑎𝑛𝑑𝑒 𝐷𝑖𝑠𝑐𝑜𝑟𝑠𝑜 𝐶𝑎𝑡𝑒𝑐ℎ𝑒𝑡𝑖𝑐𝑜, un trattato, destinato soprattutto ai catechisti, in cui l’Autore inizia dalla dottrina del Logos, prosegue approfondendo la Trinità, e quindi si sofferma su vari fondamenti della fede; soprattutto il 𝐶𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜 𝐸𝑢𝑛𝑜𝑚𝑖𝑜, sul quale si tornerà fra poco. Fra gli scritti esegetici, un cenno meritano la 𝑉𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑀𝑜𝑠𝑒̀, il 𝐶𝑜𝑚𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑎𝑙 𝐶𝑎𝑛𝑡𝑖𝑐𝑜 𝑑𝑒𝑖 𝐶𝑎𝑛𝑡𝑖𝑐𝑖 ed alcune omelie sull’Ecclesiaste. I lavori ascetici comprendono il 𝐷𝑒 𝑉𝑖𝑟𝑔𝑖𝑛𝑖𝑡𝑎𝑡𝑒 e la 𝑉𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑠𝑎𝑛𝑡𝑎 𝑀𝑎𝑐𝑟𝑖𝑛𝑎, mentre le oratorie alcune orazioni funebri e panegirici di Santi.

    Da tali opere, emerge come il Nisseno fu ottimo intellettuale e filosofo, capace di abbinare profondità di dottrina, acutezza di pensiero, capacità di sintesi. Tuttavia, nota dolente del medesimo cappadoce è l’escatologia. Nel richiamato 𝐺𝑟𝑎𝑛𝑑𝑒 𝐷𝑖𝑠𝑐𝑜𝑟𝑠𝑜 𝐶𝑎𝑡𝑒𝑐ℎ𝑒𝑡𝑖𝑐𝑜, se da un lato corresse alcune insofferenze origeniane – quali le tesi della preesistenza delle anime e della loro migrazione –, da un altro riprese la dottrina della apocatastasi, sostenendo che il mondo, opportunamente purificato, sarebbe tornato per intero a Dio, compresi i dannati e i demoni.

    3. Lo scritto contro Eunomio

    Nella produzione teologica di san Gregorio di Nissa, lo scritto di maggior rilievo è il già accennato 𝐶𝑜𝑛𝑡𝑟𝑎 𝐸𝑢𝑛𝑜𝑚𝑖𝑢𝑚, unione di tre opere minori vergate in momenti diversi. Polemizzando con l’anomeo, l’Autore affermò l’assoluta trascendenza di Dio rispetto all’intelligenza umana. L’ariano, difatti, aveva sostenuto che esclusivamente il Padre era ingenerato, mentre il Figlio era soltanto la prima e più perfetta delle sue creature, e quindi non poteva essere considerato realmente Dio. Il cappadoce rispose che Dio è inconoscibile e ineffabile, adducendo motivazioni filosofiche ed apologetiche del passato ed aggiungendone di nuove. Dio è infinito, e dunque non è comprensibile dalla mente umana, creata secondo una natura limitata da Colui che, invece, non ha alcun limite nel Suo essere. Pertanto, nulla può affermarsi di Dio stesso in maniera esaustiva: anzi, quando si tratta di Lui, è bene che l’uomo taccia. Per questo postulato, il Nisseno va considerato come grande esponente della teologia apofatica, ossia di quella corrente, appunto teologica, che ritiene Dio al di sopra di tutti i predicati, i nomi e, in genere, di ogni determinazione finita con cui si prova a designarlo.

    Gregorio, inoltre, evidenziò la fallacia delle tesi eretiche affermando che l’ipotesi della priorità del Padre sul Figlio ne comporterebbe una superiorità ontologica. Se il Padre fosse realmente più antico del Figlio, il primo sarebbe diventato tale soltanto dopo la generazione del secondo, con la conseguenza che anche il Padre avrebbe un suo inizio. Un’assurdità, perché l’eternità non può concepire una successione di eventi. Pertanto, la generazione occorre nell’eternità stessa: in caso contrario, l’atto generativo sarebbe accidentale ed incompatibile con la immutabilità divina.

    Di notevole interesse e rilievo anche le analogie del Nisseno fra Dio e l’uomo. Quest’ultimo ha un pensiero che si manifesta con la parola, proprio come Dio. Questi, infatti, è il pensiero supremo, che formula il Verbo altrettanto supremo, che è stabile e immutabile, proprio perché Dio egli stesso. Sussistente in eterno, è dotato di una vita propria, di volontà buona ed onnipotente. Ne discende che come il pensiero umano è consustanziale al suo linguaggio, così il Padre e il Verbo sono consustanziali, con il secondo che scaturisce dalla mente divina ben più di quanto la parola dell’uomo esca dalla mente relativa. Ed ancora: come il fiato procede dall’anima e dal corpo umani, così lo Spirito Santo è emanato dal Padre e dal Figlio. E lo stesso Spirito ha funzione santificatrice, che conduce l’uomo a Dio: evidentemente, questa non potrebbe essere esercitata con successo se lo stesso Spirito Santo non fosse Dio a sua volta.

    Gregorio, ancora, affermò che la ουσία (𝑜𝑢𝑠𝑖𝑎), la sostanza divina, è un presupposto dell’unità di Dio, non delle ipostasi divine. La stessa 𝑜𝑢𝑠𝑖𝑎, in altri termini, è comune alle persone, nel senso che essa non è moltiplicata, o divisa, per tre. È unica ed appunto indivisibile. Pertanto, il termine biblico Θεός (𝑇ℎ𝑒𝑜̀𝑠), Dio, è sempre al singolare e mai al plurale: la fede cristiana professa la realtà di Dio, non di tre dèi. L’unità divina non è unità di numero aritmetico, ma unità di ousia, e proprio per tale ragione prevede l’esistenza di ipostasi divine distinte. D’altro canto, l’ipostasi è il 𝑠𝑒𝑔𝑛𝑜 che individua ciascuna persona divina avente la 𝑜𝑢𝑠𝑖𝑎 (anch’essa divina), non un modo irreale e generico di rappresentarla. In parole diverse, le tre ipostasi – Padre, Figlio e Spirito Santo – sono 𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑒 che condividono la natura divina e si differenziano nella loro personalità. In conseguenza, la dottrina trinitaria è salvaguardata dalle accuse di politeismo (c’è un solo Dio) e di modalismo (ci sono tre ipostasi). La ricchezza e con essa la complessità della teologia trinitaria sono così riassunte dal Nisseno: «Non si può… pensare una frattura o una divisione in nessun modo, così che il Figlio sia pensato senza il Padre e lo Spirito sia separato dal Figlio; ma si coglie in essi una comunione e una distinzione indicibili e incomprensibili, senza che la distinzione delle sussistenze rompa la continuità della natura e senza che la comunione secondo l’essenza elimini la particolarità dei segni distintivi. Non ti devi meravigliare se noi diciamo che il medesimo è unito e distinto, e se pensiamo, come in un enigma, una nuova e paradossale distinzione unita ad una congiunzione unitaria distinta». Ed ancora: «Forse per il fatto che [lo Spirito Santo] era terzo nell’ordine che fu dato dal Signore ai discepoli, per questo motivo Eunomio prescrive di subordinare, non di coordinare lo Spirito… La definizione di Eunomio è che la successione nell’ordine sia significativa della diversità delle nature: non so come abbia potuto immaginarsi cose siffatte… perché l’ordine numerico non produce certo la differenza delle nature».

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