1. Cirillo di Gerusalemme
Nato a Gerusalemme intorno al 315, all’età di circa trent’anni fu ordinato sacerdote, e da subito si dedicò alla preparazione dei catecumeni al sacramento del battesimo. Dopo la morte del vescovo di Gerusalemme Massimo III, cioè fra il 347 ed il 350, Cirillo lo sostituì per volere di Acacio (†366?). Per qualche anno, quegli si attenne alla dottrina omea – Figlio simile al Padre – ma se ne era certamente distaccato già nel 357, quando proprio Acacio lo fece deporre da un sinodo, accusandolo di errori dottrinali. Lo stesso leader omeista, del resto, esigeva che la sede episcopale gerosolimitana dipendesse da quella sua di Cesarea. Nel 359, il concilio di Seleucia (di Pieira – nei pressi dell’odierna Samandağ, Turchia) riabilitò Cirillo, ma il vescovo di Cesarea, entrato nelle grazie imperiali, lo fece di nuovo deporre dagli ecclesiastici riuniti a Costantinopoli nel 360. All’esito, lo stesso presule fu anche esiliato, in luogo rimasto ignoto, da Costanzo II (317-361). Un anno dopo la morte del sovrano, Cirillo poté rientrare in sede, ma fu ancora bandito, nel 367, da Valente (†378). Questo esilio durò ben undici anni, ossia fino al decesso del medesimo imperatore. Tornato a Gerusalemme, finalmente indisturbato, si dedicò, per il resto della sua vita, a risanare le piaghe procurate dagli ariani via via insediati al suo posto. Soltanto una volta si allontanò dalla città: nel 381, per partecipare al concilio di Costantinopoli, ove sottoscrisse la definizione del Figlio come ὁμοούσιος (homoousios), cioè della stessa sostanza del Padre.
Cirillo si spense nel 386. Nel 1882 è stato proclamato Dottore della Chiesa.
2. Le opere di Cirillo di Gerusalemme
Di Cirillo si conoscono alcune omelie ed una lettera inviata al «piissimo» imperatore Costanzo sulla croce luminosa apparsa nel 351 nel cielo di Gerusalemme. Tuttavia, la fama del Santo è legata alle sue ventiquattro 𝐶𝑎𝑡𝑒𝑐ℎ𝑒𝑠𝑖, scritte intorno al 350, e che nel loro insieme rappresentano opera di straordinario rilievo sotto i profili teologico, storico e liturgico.
C’è soltanto un Dio – sostiene Cirillo – e non esiste un secondo principio a lui contrapposto, come affermano gnostici e manichei, facendo di quegli un’Entità di potenza e grandezza limitate. La fede, rivelata nell’Antico Testamento, è confermata nel Nuovo, più preciso riguardo al Figlio. Il cristiano crede anzitutto nel Padre onnipotente, di cui l’universo canta le lodi. Tuttavia, chi crede nel Padre ne ammette anche il Figlio di pari potenza e sapienza. Questi è «una cosa sola» con il Padre, suo Verbo, con lui creatore e signore del mondo e da lui generato prima dei secoli. Lo Spirito Santo, da sempre con il Padre e con il Figlio, è fonte di grazia nel battesimo, forza e luce: pertanto, si nega ai maestri della gnosi; a Montano, leader di fanatici spirituali; al sedicente Mānī.
Inoltre, il Dottore di Gerusalemme invita a mantenere fede nella vita eterna ed infine illustra ai neofiti i riti ed i misteri del battesimo, della cresima e dell’Eucaristia.
Evidente, quindi, come Cirillo, anche prima di accettare apertamente lo ὁμοούσιος (ℎ𝑜𝑚𝑜𝑜𝑢𝑠𝑖𝑜𝑠), fosse «sostanzialmente fedele» alle Scritture, «nella catechesi trinitaria, cristologica, pneumatologica e sacramentaria».
𝟯. 𝗦𝗮𝗻 𝗚𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗻𝗶 𝗖𝗿𝗶𝘀𝗼𝘀𝘁𝗼𝗺𝗼.
Giovanni, il più celebre fra gli oratori sacri, nacque ad Antiochia fra il 343 ed il 347. All’età di circa 18 anni, dopo aver ricevuto il battesimo, iniziò a seguire dei corsi di esegesi presso Diodoro di Tarso (†390/393?), la cui scuola, nella stessa Antiochia, privilegiava l’interpretazione letterale delle Scritture, pur consentendo l’esistenza di altri significati, in contrapposizione all’insegnamento alessandrino, che invece sosteneva una lettura allegorica delle Scritture stesse. Conclusi gli studi, Giovanni condusse per qualche tempo vita ascetica, come monaco e successivamente anacoreta. Tornato ad Antiochia, nel 381 fu ordinato diacono da san Melezio (†381), e poi, nel 386, sacerdote da san Flaviano (†404). Nel 397, l’imperatore Arcadio (†408), su consiglio del suo influente ministro Eutropio (†399), lo nominò vescovo di Costantinopoli in sostituzione di Nettario, morto nel medesimo anno. Da subito, Giovanni si dimostrò intransigente nei confronti della corruzione e della licenziosità dei potenti – con la sola eccezione di Eutropio –, ma anche dell’indegnità dei presuli a lui sottoposti. In conseguenza, attirò su di sé diverse inimicizie. Sulle prime fu protetto dall’imperatrice Eudossia (†404), che esercitava un forte ascendente sul debole coniuge Arcadio. Nel 403, però, con diversi ecclesiastici al suo seguito, giunse a Costantinopoli il patriarca di Alessandria, Teofilo (†412), cui si erano rivolti i nemici di Giovanni, fra cui proprio Eudossia, le cui simpatie, verso lo stesso vescovo, erano evidentemente terminate. Nel mese di luglio dello stesso anno, il sinodo cosiddetto della Quercia – dal nome della villa imperiale ove si radunò – depose Giovanni, all’esito esiliato in Bitinia (nell’odierna Turchia nordoccidentale). Il popolo, tumultuando, ne conseguì il richiamo, ma la sovrana, nel 404, ne ottenne una nuova condanna, cui conseguì un altro, definitivo, esilio. Il patriarca costantinopolitano trascorse gli ultimi anni della sua vita in vari luoghi, fino a spegnersi nel 407. Circa tre secoli dopo, gli orientali, per la sua eloquenza, gli avrebbero assegnato il soprannome Χρυσόστομος (𝐶ℎ𝑟𝑦𝑠𝑜̀𝑠𝑡𝑜𝑚𝑜𝑠), poi tradotto, nel XIV secolo, come 𝐵𝑜𝑐𝑐𝑎𝑑𝑜𝑟𝑜. Nel 1568 è stato proclamato Dottore della Chiesa.
𝟰. 𝗚𝗹𝗶 𝘀𝗰𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗲𝗱 𝗶𝗹 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗶𝗲𝗿𝗼 𝗱𝗶 𝗚𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗻𝗶 𝗖𝗿𝗶𝘀𝗼𝘀𝘁𝗼𝗺𝗼.
Giovanni fu autore elegante, a tratti brillante, anche se poco originale. D’altronde, egli si soffermò soprattutto sulla parte pratica e morale della teologia, concedendo scarsa attenzione a quella teoretica e dogmatica. Fra i suoi scritti, circa seicento omelie, vari panegirici, alcuni trattati ed una ricca corrispondenza.
Il Crisostomo esalta la verginità – possibilità di servizio agli altri, senza diverse preoccupazioni –, ma usa toni entusiastici anche nei riguardi del matrimonio. La compunzione ha origine dalla coscienza del male paragonato alla purezza e alla perfezione di Dio, e proprio tale coscienza provoca la penitenza, il cui cammino prevede la confessione, il pentimento, l’umiltà, l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Il modello di Giovanni è Cristo, ma dopo di lui san Paolo, sovente indicato come esempio. L’ideale di vita è il cenobitismo, poiché il monaco è il cristiano che vive con sicurezza il suo percorso di salvezza, che, in ogni caso, resta valido per ogni fedele purché questo rammenti sempre che esiste l’inferno. Il libero arbitrio può condurre l’uomo alla vita eterna, ma anche all’eterno castigo. È dunque necessario «avvicinarsi a Dio per quanto è possibile all’uomo», andare verso Dio esercitando le virtù. La «regina» di queste è l’elemosina, utile non soltanto agli indigenti, ma anche alle persone ricche: «non dico tanto per i poveri, ma per la vostra salvezza, perché periranno quelli che non hanno nutrito il Cristo». In altri termini, chi possiede beni terreni non deve discriminare il povero o lo straniero. Per comunicare con Dio, il mezzo da preferire è la preghiera, da rivolgere con umiltà. Chi prega – ed ogni cristiano dovrebbe farlo – giunge ad essere istruito direttamente da Dio, «perché sarà Dio stesso che chiarirà il tuo spirito senza intermediario». Elemento essenziale della vita è il battesimo: l’anima del battezzato, in un «matrimonio spirituale», è unita a Dio, che la rende divina, e quindi libera e ripulita da qualsiasi bruttura.
L’opera Contro gli Ebrei. – Per onestà intellettuale e dovere storico, un approfondimento va riservato alla controversa opera 𝐶𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑔𝑙𝑖 𝐸𝑏𝑟𝑒𝑖, una raccolta di otto omelie in cui Giovanni scrive, fra l’altro, che le sinagoghe sono «postriboli, caverne di ladri e tane di animali», utili non per il lavoro «ma solo per il macello». Si tratta anzi di belve: «mentre infatti le bestie danno la vita per salvare i loro piccoli, i giudei li massacrano con le proprie mani per onorare i demoni, nostri nemici, e ogni loro gesto traduce la loro bestialità». I cristiani non devono avere «niente a che fare con quegli abominevoli giudei, gente rapace, bugiarda, ladra e omicida».
Alcuni esperti contemporanei hanno condannato lo scritto, considerandolo utile, in certi ambienti, per 𝑔𝑖𝑢𝑠𝑡𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑟𝑒 la Shoah, in uno ai pogrom o alle politiche antigiudaiche precedenti allo stesso Olocausto, o comunque per diffondere varie tesi antisemite, fra cui quella di un popolo collettivamente responsabile della morte di Gesù. James W. Parkes (1896-1981) – storico e attivista anglicano – è giunto a definire l’opera come «la più orribile e violenta denuncia del giudaismo negli scritti di un teologo cristiano». Nondimeno, fra gli studiosi è attualmente prevalente l’opinione di Rodney Stark (1934-2002), a lungo ritenuto massimo sociologo delle religioni. Questi ha rilevato che l’intento del Crisostomo è quello di distaccare distintamente cristianesimo e giudaismo, ponendo gli aderenti alla seconda religione, oppure i cristiani giudaizzanti, di fronte alla necessità di una scelta radicale. Il relativo metodo è quello tipico del IV secolo, cioè duramente polemico nei confronti di chi – eretico, pagano o giudaico – fosse lontano dall’ortodossia.