L’8 luglio 1709 Carlo XII di Svezia era stato battuto dai Russi nella battaglia di Poltava e tre giorni dopo ciò che restava del grande esercito carolino si era arreso a discrezione a Perevolochna: l’impero svedese finiva lì mentre quello russo a Poltava avevo visto la propria alba, che aveva imposto una nuova grande potenza agli occhi del mondo. E questo era stato fuor di ogni dubbio l’opera di una grande sovrano, lo zar Pietro I della famiglia Romanov, che sarebbe stato ricordato dalla storia come Pietro il Grande. Sotto di lui la Russia era decisamente uscita dal Medio Evo e si era imposta all’attenzione dell’Europa: non come lontano partner commerciale ma come attore politico in grado di giocare un ruolo di primo piano, se non il ruolo di primo piano, nella scena dell’est Europa. E questo successo aveva lasciato delle significative macerie, rappresentate da due stati, la Svezia e il Commonwealth Polacco-Lituano, che sino ad allora erano stati importanti attori nella storia d’Europa.
Carlo era sfuggito a Pietro e aveva attraversato il Dnepr con un migliaio tra soldati e ufficiali rifugiandosi e chiedendo asilo in territorio ottomano, ove con l’assenso del sultano Ahmed III aveva preso rifugio nella fortezza di Bender (oggi in Transnistria) stabilendovi in breve una piccola corte.
A seguito di Poltava gran parte della costruzione carolina era crollata: i Russi andarono all’offensiva nei territori baltici e in Polonia mentre Danimarca e Sassonia rientrarono in guerra contro la Svezia. Ma Carlo XII non era tipo da arrendersi facilmente e, pur essendo lontanissimo dai propri domini e dal proprio esercito, giocò immediatamente una carta diplomatica. I suoi emissari presero contatto con la Sublime Porta e iniziarono a caldeggiare un’alleanza tra Svezia e Impero Ottomano in funzione anti-russa. Mentre Pietro chiedeva inutilmente la consegna dello svedese le profferte di Carlo trovarono un terreno fertile.
Si può dire che i rapporti tra la Russia e l’Impero Ottomano fossero realmente iniziati nella seconda metà del secolo precedente. Sotto lo zar Alessio la Russia aveva tentato di espandersi a sud, verso il Mar Nero, un territorio controllato dagli Ottomani e dal loro stretto alleato, il Khanato Tartaro di Crimea, ultima vestigia della grande Orda d’Oro. Le prime offensive russe erano state coronate da insuccesso ma, sotto lo zar Pietro, i Russi avevano aderito alla Santa Lega promossa dal papa contro l’Impero Ottomano dopo la battaglia di Vienna e nel 1696, dopo parecchi sforzi, erano riusciti a prendere la fortezza di Azov, che divenne così la prima base russa sul Mar Nero. Tale conquista, confermata dalle successiva paci di Karlowitz del 1699 e di Istanbul del 1700, seguita dopo pochissimo tempo dalla fondazione di Taganrog e dal varo delle prime unità della nuova flotta del Mar Nero, aveva messo in chiaro la volontà espansionistica russa. A ciò si aggiunga che Pietro non si era astenuto dal fare propaganda pro-russa e anti-ottomana nei due principati danubiani di Moldavia e Valacchia, di osservanza ortodossa, ormai da un secolo satelliti di fatto della Porta. Per tali motivi la Russia nel 1709/1710 era per Istanbul un chiaro nemico.
A Istanbul si giocò una battaglia diplomatica tra il luglio 1709 e il novembre 1710 e molto denaro passò di mano. Pietro chiese con insistenza alla Porta la consegna di Carlo generando tuttavia la reazione del partito anti-russo di corte. Alla fine lo zar peccò di eccessiva confidenza, certo che il suo esercito ormai addestrato e organizzato all’occidentale, che era stato capace di battere uno dei migliori eserciti d’Europa, non avrebbe avuto eccessive difficoltà con gli Ottomani: le sue domande divennero talmente insistenti tanto da spingere la Porta a dichiarare formalmente guerra nel novembre 1710.
La stagione era avanzata e ambo i contendenti si prepararono per entrare in campagna nella primavera successiva. Gli Ottomani lasciarono l’iniziativa a nord del Mar Nero ai loro alleati, i Tartari di Crimea, concentrandosi invece direttamente sulla Moldavia, l’area a nord del Danubio attraversata dal Prut e dal Dnepr. Pietro, mentre si limitò ad un’azione di contenimento nei confronti dei Tartari, concentrò un esercito a Kiev e se ne mise a capo assieme al principe Boris Sheremetev: l’obiettivo era di marciare verso sud, congiungersi con i Moldavi del principe Dimitri Cantemir e quindi arrivare al Danubio. Elemento fondamentale per garantire il successo di questo piano sarebbe stata la velocità: raggiungere il Danubio prima che questo fosse raggiunto dall’armata ottomana che si era concentrata a Istanbul. Per tale motivo l’esercito russo marciò verso sud con rifornimenti limitati, contando sull’appoggio di Cantemir una volta raggiunta la Moldavia.
Tuttavia tutto andò storto. La marcia fu molto rallentata da un caldo torrido, da una scarsità di rifornimenti e da continue scaramucce con i Tartari di Crimea. La Moldavia fu raggiunta in ritardo e a Jassy, capitale moldava, si dovettero dividere le forze inviando una cospicua forza di cavalleria a sud per convincere i Valacchi a schierarsi contro gli Ottomani. Questi, peraltro, mossero da Istanbul con il consueto metodo e con i loro enormi rifornimenti, riuscendo a passare il Danubio il 20 giugno. I due corpi principali mossero quindi lungo il fiume Prut direttamente uno incontro all’altro. Le cifre sui rispettivi eserciti sono state oggetto di infinite note, ma pare assodato che gli Ottomani avessero alla fine una grande superiorità numerica, nell’ordine di 3 a 1. Secondo Nicholas Dorrell, l’ultimo ad aver scritto in materia un numero di 120000 Ottomani e di 40000 Russi appare adeguato. Ciò che accadde in seguito fu che gli Ottomani, marciando sulla riva orientale del fiume, raggiunsero un’ansa presso Stanilesti e si fortificarono, portando poi dei corpi rapidamente anche sulla riva occidentale che respinsero le avanguardie russe mentre queste sopraggiungevano. Il corpo russo principale, con gli scarsi rifornimenti si trovò in pratica inchiodato contro il fiume dagli Ottomani. I Russi stabilirono il campo a ridosso del fiume e si fortificarono ma furono in breve circondati dagli Ottomani che riuscirono a piazzare artiglierie sulle alture sovrastanti il campo russo. Un attacco generale ottomano il 10 luglio fu respinto ma la posizione apparve in breve disperata. L’esercito, con lo zar, la futura zarina Caterina e la corte, era bloccato tra il fiume e gli Ottomani che lo circondavano e lo tenevano sotto tiro con i cannoni. A ciò si aggiunga che i Russi erano a corto di vettovaglie.
Quello che successe a questo punto non è chiaro, poiché si entra nel campo della speculazione. Pietro chiese al Gran Visir Baltaci Mehmet Pascià di negoziare e questi acconsentì. I Russi erano in una situazione disperata ma gli Ottomani avevano sofferto molte perdite nell’attacco generale del 10 luglio mentre la colonna russa di cavalleria inviata a sud da Jassy minacciava le vie di rifornimento ottomane. A ciò si aggiunga che il Gran Visir non era un soldato e forse non si apprezzava pienamente l’opportunità di distruggere sul nascere la nuova grande potenza russa: il recuperare Azov era visto come un successo estremamente importante. La tradizione vuole poi che il Gran Visir sia stato corrotto soprattutto grazie all’opera della futura zarina che aveva raccolto i gioielli tra le dame del seguito. Sia quel che sia gli Ottomani accettarono di chiudere con un trattato, per cui il Gran Visir fu in seguito sottoposto a reprimenda ad Istanbul, che fu detto trattato del Prut, o di Falksen, e che fu stipulato il 21 luglio 1711. Secondo tale trattato i Russi avrebbero ceduto nuovamente all’Impero Ottomano Azov, avrebbero distrutto Taganrog e la costruenda flotta del Mar Nero, avrebbero cessato di interferire negli affari di Moldavia e Valacchia e avrebbero abbandonato la Polonia, cercandosi così di accontentare anche Carlo XII. In cambio l’esercito russo e soprattutto lo zar furono lasciati liberi di ritornare a casa.
Pietro cercò di non osservare i termini del trattato di Falksen e ci volle la mediazione delle grandi potenze e una nuova dichiarazione turca di guerra a forzarlo a consegnare Azov, Taganrog e distruggere la flotta del Mar Nero. Tuttavia non ci fu verso di costringerlo ad abbandonare la Polonia e anche il ritorno di Carlo XII, avvenuto nel 1714, non riuscì ad alterare il corso della Grande Guerra del Nord.
Considerato tuttavia che il successo russo negli anni precedenti e in quelli successivi fu nella totalità opera di Pietro e che la tradizione ottomana normalmente prevedeva la prigionia o la morte per i regnanti nemici catturati resta legittimo domandarsi come sarebbe evoluta la storia se quell’ accerchiamento sulle rive del Prut fosse stato portato alle estreme conseguenze.
Per approfondire:
Virginia Aksan, Ottoman Wars 1700-1870. An Empire Besieged, Harlow, Essex, 2007
Nicholas Dorrell, Peter the Great Humbled: The Russo-Ottoman War of 1711, Solihull, West Midlands, 2018
Robert Frost, The Northern Wars 1558-1721, Harlow, Essex, 2000
Bruno Mugnai, L’esercito ottomano da Candia a Passarowitz (1645-1718), Venezia, 1997
Carol Stevens, Russia’s War of Emergence 1460-1730, Harlow, Essex, 2007