Cristianesimo e teologia – Capitolo X

Premessa.

Le persecuzioni sofferte dai cristiani durante le tetrarchie diedero origine a due scismi. Tuttavia, se uno – quello meleziano – fu di breve durata, l’altro – il donatismo –sarebbe a lungo rimasto in vita.

1. Lo scisma meleziano.

Fra il 305 ed il 306, mentre diversi presuli erano in prigione, e san Pietro I (†311), metropolita di Alessandria, era nascosto, Melezio (†326?), che al tempo reggeva la cattedra di Licopoli (moderna Asyūṭ, Egitto), iniziò arbitrariamente ad ordinare vescovi ed altri ecclesiastici nelle varie comunità che, a causa degli editti imperiali, ne erano state private. Nel 306, lo stesso Pietro I riammise i lapsi nella Chiesa, ma il presule di Licopoli gli si oppose pubblicamente. Un sinodo tenuto ad Alessandria nel medesimo anno ne stabilì la scomunica, ma lo stesso Melezio non si arrese, organizzando la chiesa dei martiri, indipendente dalla giurisdizione di Alessandria, e quindi proseguendo a fare ordinazioni. In seguito, vani risultarono i tentativi di ricomporre lo scisma, compiuti da sant’Osio di Cordova (256/258-358) in nome di Costantino (†337), e il concilio di Nicea, nel 325, riconobbe essenzialmente valide le nomine fatte da Melezio. Nondimeno, questi, poco prima di morire, ordinò vescovo di Menfi Giovanni Arcaf, che trovò uno strenuo oppositore in sant’Atanasio (†373), dal 328 vescovo di Alessandria. Contro questo paladino dell’ortodossia, i meleziani si unirono agli ariani, confondendosi con essi, e dunque non lasciando altre tracce nella storia.

2. Il donatismo.

Le persecuzioni, fra il 303 ed il 305, furono brutali in Africa: non mancarono i lapsi o i traditores, ma diversi furono i cristiani – soprattutto in Numidia ed in Egitto – che, per troppa abnegazione, si offrirono al martirio.

Mensurio (†311), titolare della cattedra di Cartagine, contrario al fanatismo, suggerì atteggiamento di prudenza, ma fu subito tacciato di vigliaccheria ed accusato di tradimento (cioè di consegna dei libri sacri) dal movimento rigorista, molto forte proprio in Numidia, capeggiato dai vescovi Secondo di Tigisi (†314?) e Donato di Casae Nigrae (†355). Tali due sedi corrispondono, rispettivamente, alle odierne El Amiria e Negrine, entrambe città dell’Algeria.

La stessa accusa fu rivolta al successore di Mensurio, Ceciliano (†342), e Donato, nel 312, con il concorso di una settantina di ecclesiastici, riuscì a far dichiarare invalida la sua elezione a vescovo, ed a sostituirlo con Maggiorino, deceduto nello stesso anno e rilevato proprio da Donato. Naturalmente, Ceciliano non piegò la testa di fronte a quella determinazione, e fu lo scisma, che subito si diffuse ad altre sedi. Questo, però, ostacolava l’azione politico-religiosa di Costantino, che dopo la vittoria su Massenzio era diventato augusto d’Occidente, e quindi anche della Diocesis Africae. In conseguenza, egli agì personalmente per ripristinare l’intesa religiosa, ed ascoltati i motivi della contesa, diede ragione a Ceciliano.

Nel 313, per il tramite del proconsole Anulino, i donatisti fecero istanza perché la questione fosse riesaminata da presuli esenti da tradimento. Il sovrano accettò il reclamo ed assegnò l’incarico di revisione a tre vescovi della Gallia. Costoro, in un sinodo a Roma dello stesso 313, presieduto dal pontefice, san Milziade (†314), e al quale parteciparono altri quindici presuli italiani, dichiararono valida l’elezione di Ceciliano avvenuta due anni prima, e quindi Donato provocatore di scisma. I donatisti non si arresero e si rivolsero ancora a Costantino, il quale, nell’agosto del 314, promosse un concilio ad Arelate (oggi Arles, Francia): il primo della storia, pertanto, ad essere convocato da un sovrano. Alla riunione parteciparono rappresentanti di quarantaquattro comunità occidentali, provenienti da Italia, Gallia, Britannia, Hispania ed Africa. Segnatamente, erano presenti trentatré vescovi ed undici fra presbiteri e diaconi, fra cui i quattro inviati dal papa, san Silvestro I (†335). Il sinodo confermò la decisione già assunta l’anno prima a Roma.

Il movimento donatista, non contento, si rivolse ancora una volta all’augusto, provocandone l’irritazione: «Quale insolente follia!» – scrisse – «Costoro si appellano dal cielo alla terra, da Gesù Cristo ad un uomo». In conseguenza, lo stesso Costantino mise al bando i capi scismatici, ordinando anche la demolizione delle loro chiese e la confisca dei loro beni. La violenza, però, anziché indebolire, rafforzò il partito, i cui aderenti, da quel momento, ricevettero da Donato una grande spinta alla lotta, fino a persuadere l’imperatore, nel 321, ad annullare gli ordini di repressione e riconcedere loro libertà di culto. Probabilmente, lo stesso Costantino ritenne che, in un clima di libertà, lo scisma si sarebbe estinto in maniera naturale. Al contrario, riprese con vigore, accompagnato da bande di fanatici – i circoncellioni –, e si propagò fino a costituire un gruppo con un vescovo a Roma (tale Vittore), con seguaci in Spagna, ed a comprendere, verso il 330, ben duecentosettanta presuli scismatici, opposti, nelle singole sedi, a quelli ortodossi.

Anche il successore di Ceciliano, Grato (345/350?), non fu riconosciuto, e quando l’imperatore Costante I (†350), nel 348, inviò due suoi funzionari, Paolo e Macario, a tentare una pacificazione, Donato rifiutò di trattare con loro. I più esaltati si ribellarono a mano armata, al punto che Macario, dopo averli sconfitti in battaglia, ne fece uccidere i capi e si attivò per sradicare la sedizione, che sempre più distintamente sconfinava dall’ambito religioso in quello politico e sociale. Donato intorno al 350 fu esiliato, ed a poco servì la sua sostituzione con Parmeniano (†392?), presto bandito da Cartagine. La pace sembrava recuperata, ma nel 362, durante il regno di Giuliano, passato alla storia come l’Apostata (331-363), i donatisti tornarono alla carica. Mentre Parmeniano rientrava dall’esilio e scriveva un’opera in difesa della sua corrente, gli scismatici sottraevano i luoghi di culto agli ortodossi, distruggendone gli altari e riconsacrandoli mediante lavaggio con acqua e sale.

Aspetto teologico. – Sotto il profilo teologico, la questione era attinente alle note della «vera Chiesa», che i donatisti ritenevano come una comunità di santi, i quali, dopo il battesimo, dovevano essere perfetti, puri, ineccepibili. Pertanto, il peccato commesso dal cristiano era apostasia oppure effetto di una conversione incompleta, in qualche caso mendace, con il battesimo inefficace fin dal principio o invalido se amministrato da eretici. Da qui, la necessità di ribattezzare gli ortodossi che aderivano, talvolta per forza, alla loro corrente. A tali opinioni, sostenute da Parmeniano, replicò con forza sant’Ottato (†385/390?), presule di Milevi (attuale Mila, Algeria), con un’opera, che, sebbene pervenuta, ha un titolo rimasto ignoto.

L’autore provò a fissare le qualità della vera Chiesa, contraddistinta dalla sua cattolicità, ossia dalla sua espansione universale («ubique diffusa») dall’unità di menti («unitas animorum») e dalla comunione con la sede pontificia. I sacramenti, quindi, sono santi di per se stessi – «per se esse sancta» – e non «per homines», ossia a seconda di chi li amministri. Inoltre, Ottato differenziò l’eresia dallo scisma, considerando la prima dissenso dottrinale ed il secondo soltanto disciplinare. Infine, sostenne che l’insieme di buoni e di malvagi deve essere consentito: d’altronde, neppure agli apostoli, secondo la parabola evangelica (Matteo, XIII, 24 ss.), fu permesso di separare il grano dalla zizzania prima della mietitura.Vicende successive. – Lo scisma proseguì fino al 411, quando fu convocato un concilio a Cartagine, con un enorme numero di partecipanti. Per tale ragione, fu deciso di far intervenire sette rappresentanti per ciascuna parte. A prendere la parola, per quella cattolica, fu, fra gli altri, il vescovo di Ippona (odierna Annaba, Algeria): Agostino (354-430), Santo e Dottore della Chiesa (Doctor Gratiae). Questi divenne la principale figura della riunione: riprendendo le tesi di sant’Ottato, sostenne il principio della validità ed efficacia obiettiva dei sacramenti, non dipendenti dalla santità del loro ministro. Inoltre, si soffermò sulla cattolicità e sull’unità della Chiesa, di cui buoni e malvagi inevitabilmente facevano parte: soltanto Cristo aveva diritto di separare nel giorno del giudizio. Al termine del sinodo, san Marcellino di Cartagine (†413), che lo presiedeva, dichiarò vincitrice la parte cattolica, ed a nulla servì un successivo appello dei donatisti all’imperatore Onorio (384-423). Anzi, di lì a poco, questi assunse misure drastiche contro gli scismatici. Fu il colpo di grazia nei loro confronti, anche se il partito, in qualche sparuto elemento, sarebbe sopravvissuto fino alla conquista islamica del Maghreb (647-709).

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