Fra la fine del II secolo e la prima parte del successivo, furono particolarmente attivi due uomini, destinati a lasciare una profonda impronta nella storia del cristianesimo e della sua disciplina. Uno è Tertulliano (†235/240?), padre riconosciuto della teologia occidentale, apologeta, filosofo, dogmatico e creatore del latino ecclesiastico. L’altro è sant’Ippolito di Roma (†235/236), teologo e scrittore, ma anche primo antipapa della storia.
1. Quinto Settimio Fiorente Tertulliano.
Nato a Cartagine fra il 155 e il 160, ricevette un’ottima educazione classica, abbracciante anche una buona conoscenza del greco. Esperto di giurisprudenza, si recò probabilmente anche a Roma prima di rientrare nella città natale. Intorno al 190/195, si convertì al cristianesimo, e da quel momento egli fu pugnace guerriero per la fede, a beneficio della quale utilizzò tutte le risorse delle sue straordinarie cultura e dialettica. Verso il 207, si avvicinò al montanismo, cui successivamente aderì (tale adesione gli sarebbe costata la non inclusione fra i Padri della Chiesa). L’anno di morte è sconosciuto, ma si ritiene sia pari o poco successivo al 235.
Pensiero. – Tertulliano diede un contributo enorme al problema trinitario, risolvendolo in senso antimonarchiano, con una elaborazione dell’unità divina come pluralità di ipostasi. Primo nella storia dell’Occidente, gettò le basi della terminologia teologica latina, usando, oltre Trinitas, le parole substantia e persona. Più precisamente, il teologo definì Dio come «unam substantiam in tribus cohaerentibus» con questi ultimi chiamati anche personae. Il termine persona – preso dal linguaggio giuridico – esprimeva quindi la distinzione fra i tre della Trinità, con ciascuno ritenuto come un titolare dell’unica sostanza (substantia). Unicità della sostanza, appunto, rispetto alla molteplicità delle personae, fra loro co-eterne e consustanziali su un piano paritetico. Nella Trinità, lo Spirito Santo, che «Gesù Cristo inviò per mezzo del Padre» è «il Paracleto» – termine ancora oggi pressoché sinonimo di Spirito Santo – «il santificatore della fede di coloro che credono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito».
Nei confronti delle eresie marcioniana e gnostica, il dottore di Cartagine difese saldamente l’opinione dell’unità di Dio e della sua rivelazione nei testi sacri, incluso l’Antico Testamento. Così, fra l’altro, scrisse: «quello che noi adoriamo è un Dio unico […]. Egli è invisibile, anche se lo si vede; inafferrabile, anche se è presente attraverso la grazia; inconcepibile, anche se i sensi umani lo possono concepire; perciò è vero e grande». Contro gli gnostici in particolare, respinse la dottrina della salvezza come esperienza personale del credente, riconfermando risolutamente la redenzione attraverso l’incarnazione, la morte e la Resurrezione di Cristo, preludio all’instaurazione del suo regno.
In maniera solida, Tertulliano reclamò i principi del diritto romano, oltraggiati dai pagani, spietati e parziali con i cristiani: «a nulla serve la vostra crudeltà: anzi, per la nostra comunità, essa è un invito. A ogni vostro colpo di falce diveniamo più numerosi: il sangue dei cristiani è una semina efficace». Inoltre, fu brusco nel rivendicare la legittimità della fede, il suo diritto ad esistere, di fronte alla ragione, alla filosofia, alla moralità. E non mancò di far presente ai fedeli che «il cristiano non può odiare neppure i propri nemici», invitandoli pure a non partecipare a spettacoli o feste permeati di idolatria.
2. Sant’Ippolito di Roma.
Le notizie sulla vita di Ippolito sono poche e discordanti fra loro. Originario della Grecia o dell’Asia Minore, fu presbitero a Roma durante il pontificato di san Zefirino (†217), imputato di patripassianismo proprio da Ippolito. Questi non fu più tenero con un diacono del papa, san Callisto (†222), tacciato di modalismo e lassismo morale. Forse si trattava della risposta di Ippolito ad un’accusa di diteismo nei suoi confronti, sollevata dallo stesso diacono, o forse il contrasto dipendeva da ragioni rimaste ignote. In ogni caso, quando Callisto fu chiamato a succedere a Zefirino (così passando alla storia come Callisto I), Ippolito lasciò la comunione con la Chiesa di Roma e si fece eleggere antipapa – primo nella storia – da una ristretta schiera di seguaci. Quegli li chiamava «Chiesa», in contrapposizione alla maggioranza dei romani, che formavano, nella sua espressione, la «Scuola di Callisto». Era lo scisma, che proseguì anche durante i pontificati prima di sant’Urbano I (†230) e poi di san Ponziano (†235/236). Nel 235, però, assurse agli onori imperiali Massimino il Trace (†238), succeduto ad Alessandro Severo, assassinato dai suoi soldati nel medesimo anno. Quest’ultimo era stato un sovrano mite e buono: aveva promosso il sincretismo religioso, e addirittura sistemato nella sua abitazione una statua di Cristo ed una di Abramo, accanto a quelle dei Lari, gli dei romani che vegliavano sulle fortune della casa ed erano quindi venerati dai componenti delle varie famiglie. Durante il suo regno, inoltre, non erano state emesse condanne a morte, neppure per colpe molto gravi. Il nuovo augusto, invece, rispolverò immediatamente gli antichi editti persecutori nei confronti dei cristiani: trovandosi di fronte ad una Chiesa con due leader – Ponziano ed Ippolito – li inviò entrambi in Sardegna, ai lavori forzati. Ponziano abdicò, in modo che i cristiani non perdessero il loro principale pastore. Al suo posto, il 21 novembre di quel 235, fu eletto sant’Antero (†236), deceduto di lì a poco. Ad assumere il ministero petrino, dopo di lui, sarebbe stato san Fabiano (†250). La comune condanna fece riconciliare Ponziano ed Ippolito, che in seguito sarebbero entrambi morti per sfinimento. I due invitarono i loro seguaci a fare altrettanto, ed il martirio restituì lo stesso Ippolito all’unità ed alla santità.
Opere e pensiero. – Ippolito fu l’autore più fecondo dell’epoca precostantiniana. Molte delle sue opere, però, sono andate perdute, di là di qualche frammento o ricostruzione, mentre altre sono giunte nella traduzione, dall’originale greco, in lingue orientali o in latino. In ogni modo, non ci sono dubbi che egli fu un feroce oppositore del marcionismo, del montanismo, dello gnosticismo, delle opinioni docetiche e delle usanze quartodecimane, ma anche, se non soprattutto, del monarchianismo patripassiano: eresia, quest’ultima, che, come accennato, imputò a due pontefici. Secondo Ippolito, per altro, l’indistinzione, e quindi l’identificazione, fra Padre e Figlio si riscontrava già in Eraclito. Egli detestava la filosofia pagana, in cui intravedeva la radice di tutte le tesi eterodosse. In conseguenza, nel suo pensiero, gli stessi Padre e Figlio erano due entità distinte e separate, sebbene il secondo fosse subordinato al primo, nel senso che il Verbo costituiva una specie di strumento, di ministro, nell’opera della creazione. In argomento, la tesi proposta da alcuni studiosi contemporanei, secondo cui il Santo martire riteneva il Figlio creato dal Padre, non sembra trovare concreto riscontro negli scritti dello stesso Ippolito.
In ambito trinitario, questi ebbe una concezione economica del dogma: in estrema sintesi, l’idea di Dio trino che si rivela agli uomini e comunica loro la salvezza.
Rigoristica l’opinione di Ippolito nei confronti della Chiesa: sposa di Cristo, cui era assegnato l’arduo incarico di far nascere la fede nel cuore dei credenti, di formare nel proprio seno il Logos, principio di santità, di rinnovarsi nello Spirito Santo, affinché ogni suo membro diventasse una creatura perfetta e celeste. Quanto ai destini dell’uomo, lo scrittore in argomento manifestò le sue relative speranze in un breve trattato noto come De Antichristo, che costituisce anche l’unica opera dello stesso Ippolito di cui si possiede oggi il testo integrale. L’autore, raccogliendo numerosi passi delle Scritture che accennano al Nemico, intendeva evidenziare che Cristo era la Verità, mentre l’Anticristo colui che insegnava le false dottrine. La venuta del primo nella gloria avrebbe comportato la fine del regno terrestre del secondo.