1. Il subordinazionismo.
Fin dalle sue origini, ma in particolare nel II e nel III secolo, la dottrina cristiana si trovò al cospetto di un’enorme difficoltà: quella di conciliare la fede monoteista, in un solo Creatore, con gli onori divini dovuti al Figlio (Cristo) ed allo Spirito Santo. All’epoca, era ancora assente una definizione dei concetti, ma anche dei termini, di sostanza (o essenza) e di persona. Il problema, almeno in riferimento al Figlio, sembrava avere due immaginabili composizioni. Una, pensare ad una adozione divina, nel senso che l’uomo Gesù, in ragione delle sue qualità, sarebbe stato, appunto, adottato da Dio. L’altra, insistere sull’unicità della natura fra il Padre ed il Figlio. In quest’ultima eventualità, però, si prospettavano altre due possibili soluzioni: Cristo poteva essere soltanto un modo di esistere del Padre, oppure un’entità a sé, distinta dal Padre stesso. Questa seconda avrebbe in seguito rappresentato la base della formulazione ortodossa della dottrina trinitaria, definita nell’epoca intercorrente fra il primo concilio di Nicea (325) e quello di Calcedonia (451). Tuttavia, la formulazione stessa – che si riassume nell’asserzione di un’unita di sostanza divina in tre diverse persone – sarebbe stata resa possibile grazie al chiarimento, occorso nel IV secolo, dei termini ουσία (ousia) e ὑπόστασις (hypóstasis), che in latino sarebbero diventati, rispettivamente, substantia e persona. In epoca precedente, i teologi e gli apologisti ortodossi, oppure gli scrittori ecclesiastici, sebbene accogliessero, quasi unanimemente, la tesi di unicità di natura divina fra il Padre ed il Figlio, tendevano ad esprimersi sul secondo nel senso di un Dio, in un certo senso, subordinato al primo. Sia chiaro, però, che questa tendenza, cui si attribuisce la definizione di subordinazionismo, non possedeva i caratteri tipici di una dottrina precisa, e quindi non diede adito ad alcuna disputa. L’atteggiamento stesso fu soltanto una inevitabile conseguenza delle difficoltà, anche terminologiche, attraverso cui la Chiesa avanzò nel saldare le definizioni della propria fede. Dottrina radicalmente subordinazionista, invece, sarebbe stata quella ariana, emersa fra la fine del III secolo e gli inizi del successivo. Secondo essa, Cristo era stato creato (e quindi non generato) dal Padre: in conseguenza, «ci fu un tempo in cui il Figlio non c’era», e questi era differente dal Padre stesso per natura ed a lui inferiore per autorità e dignità. Ma questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta.
2. Marcione.
Marcione (†160/165?) nacque a Sinope (odierna Turchia) e si spostò a Roma intorno al 140. Qui, le sue opinioni sulla totale inconciliabilità tra Antico e Nuovo Testamento gli valsero la scomunica immediata e varie polemiche, sia coeve sia postume. Nondimeno, dalla sua predicazione sarebbe nata una Chiesa scismatica, poi prosperata fino al V secolo. In seguito, le idee di Marcione sarebbero sopravvissute, piuttosto a lungo, in alcune sette eterodosse.
L’eresiarca in parola respingeva l’esegesi allegorica delle Scritture, occupandosi soltanto del loro significato strettamente letterale. Pertanto, voleva evidenziare come l’Antico ed il Nuovo Testamento fossero antitetici. Il primo narrava vicende crudeli, rappresentando un Dio magari giusto, ma spietato. Il secondo, invece, mostrava un Cristo indulgente e compassionevole. In conseguenza, lo stesso Cristo era il Figlio non del Dio del Testamento più vecchio, ma di altra entità divina. Segnatamente, di quel «Dio ignoto» che san Paolo di Tarso (†64/67) aveva annunziato nel suo discorso presso l’Areòpago, collina di Atene: «il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene». Inoltre, Gesù non era nato da donna, e neppure aveva posseduto corpo materiale, ma soltanto apparente.
3. Il monarchianismo.
Monarchianismo, termine composto da μόνος (monos) e ἀρχή (archè), che si traducono, rispettivamente, unico (oppure solo) e principio, è il nome assegnato a dottrine eretiche nate fra il II ed il III secolo. Sebbene differenti fra loro, avevano in comune l’intento di salvaguardare l’unità di Dio, a discapito delle ipostasi della Trinità. Attualmente, si ravvisa la necessità di distinguere i monarchiani dinamici, o adozionisti, da quelli veri e propri o modalisti. Fra questi ultimi rientrano i patripassiani ed i sabelliani.
Adozionismo. – Secondo gli adozionisti, Gesù era soltanto un uomo, ancorché qualitativamente superiore agli altri. Proprio in ragione delle sue doti, aveva ricevuto il privilegio di essere adottato da Dio come Figlio, così assurgendo all’unione con lui, e di diventare lo strumento della Rivelazione. Primo esponente di questa corrente fu tale Teodoto di Bisanzio, un conciatore di pelli di buona cultura, che dalla città natia, sul finire del II secolo, si trasferì a Roma. Qui, in ragione delle sue tesi, fu scomunicato dal papa, san Vittore I (†199). Tuttavia, riunì attorno a sé un buon numero di seguaci, con uno di costoro – anch’egli a nome Teodoto – che riuscì, durante il pontificato di san Zefirino (†217), ad organizzare una setta.
Altro adozionista, nel III secolo, fu Paolo di Samostata (†275?), che divenne vescovo di Antiochia nel 260. Sebbene condannato e deposto per le sue opinioni in più riunioni tenutesi nella stessa città (le relative date sono incerte), riuscì a mantenere la cattedra per alcuni anni, grazie alla protezione di Zenobia, sovrana del regno di Palmira – di cui Antiochia era parte – in nome del figlio Vaballato. Tuttavia, le ambizioni secessioniste ed espansionistiche della stessa regina comportarono l’intervento delle legioni romane, condotte dall’imperatore Aureliano (214-275), che ottennero la vittoria decisiva contro le forze palmirene nella battaglia di Emesa (odierna Homs, o Ḥimṣ, Siria), combattuta nel 272. In seguito, lo stesso augusto si dimostrò condiscendente con gli ortodossi di Antiochia. Su richiesta di costoro, decretò che la sede episcopale «fosse consegnata a coloro, ai quali i vescovi d’Italia e di Roma l’avessero attribuita». In forza di questo provvedimento, Paolo fu cacciato. Sia chiaro: Aureliano era un pagano, un adoratore del Sol Invictus, il cui culto si era diffuso nella capitale da alcuni decenni. Tuttavia, appare probabile, se non certo, che volle seguire alla lettera l’editto con cui Gallieno (218-268) aveva concesso ai cristiani libertà di professare la loro religione.
Patripassiani. – Quanto ai monarchiani veri e propri, le loro prime tracce si rinvengono a Oriente, con Noeto, che predicò a Smirne, sua città natale, nell’ultimo ventennio del II secolo. Reagendo alla dottrina del Logos, sostenuta dagli apologisti di lingua greca, egli muoveva dall’assunto che Dio è unico. Pertanto – sosteneva – se Cristo è Dio, egli è uno con il Padre, e in ulteriore conseguenza, chi si è incarnato è il Padre, e questi è anche colui che ha sofferto sulla Croce. Da qui, la definizione di patripassiani data in seguito da Tertulliano (†235/240?) ai seguaci dello stesso Noeto. Fra costoro Epigono, che introdusse l’eresia a Roma ed al quale si aggiunse presto Cleomene. Lo stesso Tertulliano è l’unica fonte esistente su Prassea, il quale avrebbe esortato un papa – Vittore I o Zefirino – a condannare il montanismo, e nel contempo a valutare con benevolenza il patripassianismo.
Sabelliani. –Sabellio fu un eretico piuttosto attivo nella prima metà del III secolo. Di origini forse africane, giunse nell’Urbe intorno al 215. La condanna delle sue tesi, per opera del pontefice, san Callisto I (†222), mise la parola fine alla storia del monarchianismo romano. In seguito, però, lo stesso Sabellio ottenne un notevole successo in Cirenaica, al punto che in Oriente la sua dottrina fu indicata come sabellianismo, con conseguente aggettivo di sabelliani per definirne i seguaci. L’eretico, per difendere l’unità divina, sosteneva che Dio si era rivelato nell’Antico Testamento come legislatore (Padre), e nel Nuovo sia come redentore (Figlio) sia come santificatore delle anime (Spirito). Tale assunto rinnegava la Trinità poiché le tre manifestazioni non rappresentavano altrettante ipostasi distinte, ma soltanto modi di presentarsi da parte dell’unica divinità. Da qui, la definizione di modalismo assegnata al sabellianismo ed in genere estesa al patripassianismo. Si tenga tuttavia presente che la dottrina di Sabellio, sotto il profilo storico, ebbe un livello più alto di eleganza teologica rispetto al monarchianismo più antico. Ed è per questa ragione che il nome dello stesso eretico avrebbe ancora serpeggiato nelle dispute del IV secolo.