Vedova a 17 anni: la tristissima vicenda di Elisa Sforza

I. PROTAGONISTI

Tutti noi conosciamo la passione medievale per i duelli: occasione per mettersi in mostra, ma soprattutto per risolvere dispute e per ristabilire il proprio onore. Rari erano quelli all’ultimo sangue – tutti ci teniamo alla vita – nondimeno poteva accadere che, per le ferite riportate, anche un duello per così dire amichevole si risolvesse in tragedia.

È questo il caso di Leonetto Sanseverino, uomo d’armi e figlio illegittimo di Bertrando, conte di Caiazzo, descritto come uno “scudiere altissimo, gagliardo et animoso in ogni cosa“. Come indica la stessa definizione di scudiero, quando nel 1418 sposò Elisa Sforza, Leonetto doveva essere ancor giovanissimo. Elisa era la figlia illegittima del famosissimo condottiero Muzio Attendolo, di origini contadine. Aveva quindici anni e qualche mese quando sposò Leonetto, ed era descritta come una fanciulla molto bella, di media statura, dal rapido ingegno e di buoni costumi, quantunque suscettibile all’ira.

II. LE NOZZE

Il matrimonio, benché deciso da ragioni politiche, era coronato da un amore sincero. La regina Giovanna II tentò infatti di ostacolarlo ma, come sembra, i due giovani consumarono comunque la loro unione già nel 1417, anche senza il consenso della regina, poiché la nascita del loro unico figlio, Roberto, è registrata il 16 giugno 1418, tre mesi prima del matrimonio, 13 settembre. In seguito l’illegittimità di questa unione, di per sé scandalosa, fu probabilmente coperta, poiché Sabadino degli Arienti, biografo di Elisa, posticipa di ben due anni la nascita di Roberto.

III. LA VEDOVANZA

Nel 1420, militando nella compagnia del suocero Muzio Attendolo, Leonetto partecipò all’assedio di Napoli, nel quale trovò la morte. Seguendo le usanze cavalleresche del tempo, infatti, sfidò gli avversari a venire a «rompere due lanze per gentilezza et correre due scontri». La parola “gentilezza” indica che lo scontro doveva essere amichevole. Peccato che esso terminasse in modo sfortunato per Leonetto, che venne colpito violentemente sull’elmo dalla lancia di Caraffello Carafa, la quale penetrò nel cranio per due dita in corrispondenza della fronte. Il giovane morì dopo tredici giorni di agonia.

La povera Elisa, che aveva vissuto col marito solamente per quindici mesi, si ritrovava così vedova a diciassette anni. Profondamente innamorata del marito, non volle mai risposarsi, pur avendone la possibilità, e dedicò il resto della propria vita a crescere il loro unico figlio, Roberto, che alla morte del padre aveva appena due anni. Ciò produsse in lei un attaccamento quasi morboso: volle allattarlo ella stessa (se crediamo all’Arienti), nonostante l’usanza prevedesse di affidarlo a una balia, e gli stette accanto finché il giovane non fu in età da maneggiare le armi. Morì infine a Bologna nel 1473, all’età di settant’anni, fra le braccia del figlio, avendo sempre conservato fama d’integerrima onestà.

IV. FONTI

Roberto Sanseverino (1418-1487), un grande condottiero del Quattrocento tra il regno di Napoli e il ducato di Milano, Mattia Casiraghi, 2017, pp. 21-32.

Gynevera de le clare donne, Giovanni Sabadino degli Arienti, a cura di Corrado Rica e Alberto Bacchi della Lega, 1888, pp. 320-327.

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