Galeazzo Sanseverino, l’altro duca di Milano

Soprannominato il figlio della Fortuna, favorito di quattro potenti – due dei quali nemici – considerato il più compito cavaliere d’Europa e tanto bello che si diceva avesse ispirato Michelangelo nella scultura del suo David, Galeazzo Sanseverino nascondeva in sé il segreto d’un fascino irresistibile che nessuno storico seppe spiegare.

I. LE ORGINI

Nato verso il 1460 dal rinomato capitano di ventura Roberto Sanseverino (1418-1487), un vero dio della guerra di quei tempi, Galeazzo iniziò la propria carriera combattendo al fianco del padre, ma non spiccò rispetto agli altri suoi bellicosissimi fratelli. Era però intelligente, ambizioso, affabile, elegante e abilissimo in tutti gli esercizi del corpo, sicché seppe con queste molte qualità acquistarsi un potere inimmaginabile.

Ciò avvenne quando, nel giugno del 1483, disertò la condotta veneziana e passò al servizio dell’acerrimo nemico del padre: Ludovico il Moro (1452-1508), Signore di Milano. Quest’ultimo prese subito a simpatia il poco più che ventenne Galeazzo, e da quel momento iniziò per lui una carriera in perenne ascesa.

II. L’ASCESA

Ludovico lo ricoprì di doni e benefici, lo elevò alle massime dignità dello stato, lo nominò capitano generale delle milizie sforzesche e gli promise in sposa l’unica figlia femmina, Bianca Giovanna (1482-1496), ch’era all’epoca una bambina. La situazione non mutò neppure quando, nel 1491, Ludovico sposò la quindicenne Beatrice d’Este (1475-1497). Galeazzo seppe anzi, col proprio naturale fascino, conquistarsi fin da subito la predilezione della nuova duchessa.

Non v’era riunione pubblica o privata cui Galeazzo non fosse presente; nel tripartito comitato di reggenza che, in caso di morte del Moro, avrebbe governato Milano, egli si trovava al secondo posto dopo la duchessa Beatrice e prima del cardinale Ascanio, fratello del Moro. Il suo potere era tanto grande che l’ambasciatore Giacomo Trotti (1423-1495) scrisse al duca di Ferrara: «A me pare che epso messer Galeazzo sia Duca de Milano perché el pò ciò ch’el vole et ha quello che sa dimandare et desiderare».

I favoritismi gli attirarono addosso gli odi degli altri capitani, e specialmente di Gian Giacomo Trivulzio (1440-1518) e Francesco Gonzaga (1466-1519), che si allontanarono dal servizio del Moro.

III. LA DISFATTA

La situazione precipitò sul finire del 1496 quando, soltanto pochi mesi dopo le nozze, la quattordicenne Bianca Giovanna morì di un male imprecisato. La seguì, poco più di un mese dopo, la stessa Beatrice, nel parto d’un figlio nato morto, e il Moro, impazzito dal dolore, non fu più in grado di reggere lo Stato. Quando, nel 1499, Luigi XII di Francia (1462-1515) si volse alla conquista del ducato di Milano, affidò la conduzione dell’esercito proprio a quel Gian Giacomo Trivulzio che soltanto aspettava di compiere la propria vendetta.

Galeazzo, il quale era – come disse il Guicciardini (1483-1540) – «bellissimo giostratore, ma per viltà e poca esperienza nella arte militare non punto atto a guidare uno campo», non fu capace di fronteggiare il nemico; Ludovico, preso dal panico, preferì la fuga, e con la corte riparò in Germania. I due tentarono poi, qualche mese dopo, di riconquistare il ducato ma, traditi dai mercenari svizzeri, furono catturati durante un secondo tentativo di fuga. Commenta Girolamo Priuli (1476-1547): il Trivulzio, vedendo questi prigionieri, e massime il signor Ludovico, pensate, lettori, che allegrezza!

IV. GRAN SCUDIERO DI FRANCIA

A differenza del suocero, che morì prigioniero in Francia, Galeazzo seppe rifarsi una vita. Torturato dagli svizzeri, poi liberato dietro pagamento di un riscatto, dopo tre anni trascorsi tristemente presso l’imperatore in Germania, dove godeva di scarsa considerazione, povero, depresso e sempre vestito di nero, grazie all’intercessione dei fratelli si riconciliò col re Luigi XII e passò alla Francia. Ancora una volta seppe guadagnarsi il favore del nuovo sovrano, che lo ricoprì di benefici e lo nominò Gran Scudiero di Francia. Nessuno straniero, né prima né dopo di lui, ricevette mai questo onore.

Conservò la sua posizione anche sotto il successore Francesco I (1494-1547) e il Trivulzio, che si vide per l’ennesima volta scalzato dall’antico nemico, entrato in contrasto col re, ne morì di sdegno. Fu infine per salvare Francesco I dalla cattura che nel 1525 Galeazzo trovò eroicamente la morte, ormai ultrasessantenne, nel corso della famosa battaglia di Pavia.

V. IL MISTERO DEL SUCCESSO

Filippo di Commines (1445-1511) giustifica il suo prestigio dicendo che Ludovico «lo teneva da figliuolo, non havendone egli per ancora de’ grandi»; nondimeno questa strana amicizia stimolò le malelingue, tanto che il Guicciardini accusò il Moro di “sodomia” – pratica del resto diffusissima all’epoca.

Non diversamente fece Francesco Gonzaga, che nel 1503, sfidato da Galeazzo a duello, rifiutò con una velenosa e volgarissima lettera nella quale lo accusa in sostanza d’essere un raccomandato senz’arte né parte, di aver sempre vissuto a spese altrui, d’essere stato egli solo la rovina di Ludovico e di essersi guadagnato insomma le proprie fortune solo prostituendosi, definendolo addirittura una «femina bordelliera, tavernara, miserabile, sfazata et fugitiva!»

Ma se è vero che fu spesso rimproverato a Ludovico l’eccessivo amore per Galeazzo, è anche vero che a Galeazzo le donne piacevano fin troppo; ce lo assicura infatti Marin Sanudo, dicendo che nel 1499 egli badava, più che all’esercito, a vestirsi elegantemente e a divertirsi con le donne: “ditto signor Galeazo sta in Alexandria, atende [bada] a foze [fogge] et dame, si dice mal di lui, et è stà a le man con domino Alexandro Sforza“.

Lo storico ottocentesco Achille Dina, che pure si mostra tanto indulgente nel nascondere i peccati della sua beniamina Isabella d’Aragona (della quale è biografo), insiste piuttosto sulla forte “intimità” tra Galeazzo e la duchessa Beatrice, e non esita a far ricadere su quest’ultima la colpa di un adulterio che probabilmente non commise mai, sostenendo che a “qualche intimo rimorso” fosse dovuto il profondo dolore di lei per la morte della figliastra Bianca.

Beatrice fu però donna estremamente pudica, legata all’onore e innamorata del marito, inoltre nessuno dei contemporanei insinuò mai nulla a tal proposito e Ludovico stesso favorì l’amicizia fra i due, per modo che non v’è motivo di credere che il loro rapporto fosse tanto diverso da quello classico tra cavaliere e dama.

Lo storico Muratori (1672-1750) raccolse una voce per cui Beatrice sarebbe stata in realtà avvelenata su commissione di Galeazzo, facendo notare che poco tempo prima era morta anche la giovanissima Bianca. Alcuni storici interpretarono poi in maniera del tutto inverosimile questa vicenda, parlando di vendette e gelosie, ma essa è troppo intricata per potersi risolvere e lo stesso Muratori vi dà poco credito.

Altri ancora fantasticarono a proposito di sue relazioni col duca Gian Galeazzo, nipote del Moro, e con la duchessa Isabella d’Aragona, con la quale avrebbe concepito un figlio; ma non risulta anzi che Galeazzo abbia mai avuto figli, e il suo fascino, in ogni caso, non dovette essere meramente fisico, se ancora da vecchio, e fino all’ultimo dei suoi giorni, godette di quel medesimo prestigio di cui godeva da tutta una vita.

VI. LE FONTI

– Julia Mary Cartwright, Beatrice d’Este, Duchessa di Milano, traduzione di A. G. C., Milano, Edizioni Cenobio, 1945;

– Alessandro Luzio e Rodolfo Renier, Delle relazioni d’Isabella d’Este Gonzaga con Lodovico e Beatrice Sforza, Milano, Tipografia Bortolotti di Giuseppe Prato, 1890;

– Archivio Storico Lombardo, serie quinta, anno XLVIII, Achille Dina, Isabella d’Aragona Duchessa di Milano e di Bari;

– Floriano Dolfo, Lettere ai Gonzaga, Ed. di Storia e Letteratura, 2002;

Cronache milanesi, Volume 1, Gio. Pietro Vieusseux, 1842;

I diarii di Marino Sanuto, Volume 4, 1880;

– Girolamo Piruli, Diarii, in Rerum Italicarum Scriptores.

Lascia un commento