Per tutto il Basso Medio Evo Venezia deteneva il primato, forse assoluto, per la distribuzione del sapone fatto con olio d’oliva e cenere di soda, talvolta ricavato dalle piante ricche di potassio (Bernardino Ramazzini, De morbis artiicum, Modena 1700, dal quale Amintore Fanfani ha tratto il suo libro, Storia del lavoro in Italia dalla fine del secolo XV agli inizi del XVIII, Milano, 1959).
In verità il sapone veniva utilizzato in buona parte per uso, diremmo oggi industriale, allora commerciale per le sue proprietà sgrassanti dei tessuti (Angelo Bassani, Il controllo di qualità del sapone nella Repubblica di Venezia, in AA.VV., Atti del Il Convegno Nazionale di storia e fondamenti della chimica, Roma 1988, pp. 79-81).
Non è chiara la sua origine. C’è chi dice che provenisse dall’Oriente per via del noto sapone proveniente da Aleppo ma i documenti fanno pensare che fosse creato proprio a Venezia e zone limitrofe per la lavorazione dei tessuti pregiati. Tessuti e vetro erano una prerogativa di Venezia guardata sempre con forte gelosia e per questo si diceva che fosse nato lontano dalla Laguna veneta. Poi non deve sfuggire un particolare: per la lavorazione del vetro, come per il sapone, si usava la soda.
Comunque sia andata, a Venezia venne migliorata e perfezionata la produzione dei saponi più raffinati e pregiati. È certo che la sua importanza sul piano prettamente commerciale, non certo per l’igiene personale, portò a creare nel 1489 un monopolio giuridico sulla produzione e vendita del sapone a Venezia ancora in vigore nel 1793. Questo monopolio portò poi a mercati paralleli e illegali con l’inevitabile importazione di saponi da altre zone, non solo italiche, proprio quando le navigazioni ebbero un ruolo centrale nella diffusione di merci rare e preziose. Nel 1780, a Venezia risulta il sapone al nono posto tra le merci più esportate.
Anche Marsiglia produceva e vendeva il sapone fin dal IX secolo. Nel trattato De ornatu mulierum Trotula De Ruggiero, parla di un sapone “gallico”, appunto quello proveniente dalla Francia, spesso poco raffinato.
Furono le Crociate a far conoscere a vaste popolazioni l’uso il sapone.
Ma per tutto l’Alto Medio Evo esso rimase pressoché sconosciuto alle classi meno abbienti (Giulio Guizzi, Pulizia igienica e sanificazione: La sporca storia del pulito, Milano, 2015, dove vengono riportati ampie parti di Luigi Finguier, L’industria dei saponi, Milano, 1878).
Il suo preparato, diremmo oggi il know how, era gelosamente custodito tra i libri della Serenissima. Nel tempo cominciavano però produzioni clandestine, mercati paralleli e, inevitabilmente, saponi con ingredienti non sempre di prima qualità; questo contribuì alla sua estensione a tutte le classi sociali ma siamo ben oltre il Medio Evo.
Per dare conto di quanto fosse prezioso e difficile da produrre sarà utile ricordare un codice del fondo Donà delle Rose, del Museo Correr di Venezia, dove possiamo leggere la composizione precisa: 18.000 libbre di ottimo sapone occorrevano 6.000 libbre d’olio d’oliva, 3.000 libbre di cenere di Siria e 1.500 libbre di cenere egiziana.
La soda si ricavava principalmente dalla combustione di piante erbacee comuni nella zona del Mediterraneo.
Come si può notare, la produzione e vendita del sapone, non riguardava la cura del corpo bensì una vera attività industriale, capitalistica diremmo oggi, difesa da leggi severissime.
Il suo uso personale era ristretto a quelle poche persone che se lo potevano permettere.
Il sapone di Venezia, grazie all’olio d’oliva, era profumato e bianchissimo. Quello che proveniva dal Nord Europa, fatto con sugna o sebo, era molle e maleodorante.
Nel XIV secolo Ancona cominciò a esportare gran quantità di questo prodotto facendo una seria concorrenza alla Serenissima.
È chiaro che si tratta di un argomento molto particolare dove la documentazione riguarda, naturalmente, solo l’aspetto giuridico e commerciale.
Sicuramente la conquista araba della Sicilia nel X secolo avrà contribuito alla ri-scoperta del sapone ma non mi pare ci siano documenti al riguardo.
Poi la realtà insegna sempre.
Fino al secolo scorso, in molte parti d’Italia, la promiscuità tra uomini e animali era diffusissima. Alcuni animali come somari e buoi vivevano dentro le case per scaldare ed avere pronto il latte senza uscire al freddo. Questa promiscuità doveva essere diffusa anche nel Medio Evo.
L’igiene personale era scadente, pressoché inesistente. La scienza di allora era convinta che dalla putrefazione del sudore derivassero i parassiti e pidocchi. Non dalla promiscuità con gli animali o la scarsa igiene personale.
È vero che si produceva un miscuglio di sugna, cenere di legno e qualche foglia profumata per creare un composto che saponificava. Ma risultava sgradevole al tatto ed estremamente maleodorante. Non tutti lo utilizzavano.
Conclusioni.
Chi studia il Medio Evo, grazie anche a storici come il Prof. Barbero, ha imparato a riconsiderare vecchi stereotipi ma non bisogna esagerare nel crearne altri di segno opposto.
Erasmo da Rotterdam nei suoi Colloquia familiaria scriveva in Locande che le locande francesi erano migliori di quelle tedesche. Qui si faceva tutto. Si asciugavano i vestiti bagnati dalla pioggia, si levavano gli stivali e si pulivano, chi mangiava, chi beveva, ruttava, si cambiavano di abiti sozzi, il locale era surriscaldato dai sudori e olezzi di persone sporche. Scritto nel 1523!
I Romani erano famosi per le terme e la pulizia del corpo, come i Greci del resto. Avevano bagni pubblici dove, con l’uso di apposite spugne, si pulivano ma senza uso di saponi.
Ma tal volta, gli adagi popolari hanno spesso un fondo di verità: “Fare di necessità virtù”. Gli antichi non avevano saponi ma riuscivano comunque a pulirsi in qualche modo. A parte l’acqua, le foglie di pannocchie e di altre piante sono state un succedaneo della carta igienica in tutte le parti del mondo.
Proprio nel Medio Evo, dal XII secolo, si vedono i grandi cambiamenti culturali ed anche la tecnica migliora la vita. Si inventava il mulino a vento, il motore idraulico, collare e bardatura del cavallo, il mantice di fucina. Da qualche parte l’uso di un sapone o qualcosa di simile, portato o inventato chissà da chi, è facile immaginarlo.
E non è un caso che tutte le grandi civiltà sono sorte lungo le rive di grandi fiumi.
Non ci sarà stato il sapone ma si poteva bere, lavare, coltivare.
Mi viene da pensare che prima del sapone il fango del fiume poteva pulire e levigare la pelle come lo utilizzano del resto molti animali ancora oggi.
Bibliografia, oltre a quella indicata:
Marco Moroni, Produzione e commercio del sapone nel Mediterraneo tra basso medioevo ed età moderna, in AA.VV., Produzioni e commerci nelle province dello Stato pontificio. Imprenditori, mercanti, reti (secoli XIV-XVI), Perugia, 2013.