1. Epidemie, successive alla Peste Nera, in territori diversi dall’Europa occidentale.
Le pestilenze successive alle Morte Nera non risparmiano l’Europa orientale, i territori baltici, l’Asia e l’Africa settentrionale. Purtroppo, di là di quanto si accennerà fra poco su Costantinopoli, non si hanno altre informazioni riguardanti quelle zone fino a tutto il Cinquecento. In conseguenza, il racconto, ancorché sommario, delle principali pestilenze non può che iniziare dal secolo successivo. Così come nel capitolo a questo precedente, il numero di vittime, quando indicato, è sempre frutto di stime.
XVII secolo. – Nel Seicento, l’Africa settentrionale è colpita più volte, sempre con drammatiche conseguenze: ad esempio, ad Algeri, fra il 1620 e il 1621, muoiono fra 30.000 e 50.000 persone. Nello stesso secolo, la peste raggiunge prima la Cina, sotto la dinastia Ming, nel 1633-1644, uccidendo oltre 200.000 individui (cosiddetta Great Plague in the late Ming dynasty, oppure Grande Peste di Jingshi), e poi la Russia, fra il 1654 e il 1655, cagionando 700.000 decessi. Fra il 1679 e il 1684, la Grande Peste di Vienna, com’è definita, semina lutti in Austria, Sassonia, Boemia, Regno d’Ungheria e nella parte più occidentale della Confederazione polacco-lituana. Nel 1679, a Vienna, perdono la vita 76.000 residenti, e due anni dopo, a Praga, i morti sono 83.000. Intanto il morbo, nel 1680, è transitato da Dresda, lasciando dietro di sé tante persone senza vita. Nel 1682, nel centro di Halle, in Germania orientale, quasi la metà della popolazione non sopravvive alla patologia. Altri numerosi decessi, nello stesso anno, occorrono a Magdeburgo. Nel biennio 1689-1690, la peste fa la sua comparsa a Baghdad e stermina almeno 150.000 persone.
XVIII secolo. – Fra il 1704 e il 1713, durante la Grande Guerra del Nord (1700-1721), una pestilenza, definita Great Northern War plague outbreak, cioè Focolaio di peste della Grande Guerra del Nord, causa un numero altissimo di vittime, distribuite fra Commonwealth polacco-lituano, diverse città e aree sul Mar Baltico, o nelle vicinanze di esso, ma anche territori asburgici e Baviera, sebbene gli uni e l’altra non siano coinvolti nella Guerra. Il prossimo capitolo sarà interamente dedicato a questo evento. La cosiddetta Grande Peste del 1738, che dura, in realtà, fino al 1740, uccide 50.000 persone fra l’odierna Croazia e l’Ungheria. A Mosca, durante la Peste Russa del 1770-1772, i decessi sono più di 75.000. Terrificante il bilancio della Grande Peste Persiana, originatasi probabilmente a Baghdad nel 1772 e poi diffusasi, nello stesso anno e nel successivo, sia lungo il Golfo Persico sia a Est, verso l’India: i morti sono due milioni. Nel 1791, un’epidemia che colpisce l’Egitto cagiona 300.000 vittime. Invece, di una pestilenza originatasi nel 1799/1800 a Mosul (odierno Iran), e poi diffusasi a Baghdad e fino a Costantinopoli, non si conoscono le stime sui decessi.
XIX secolo. – La Peste Ottomana, che infuria nell’impero fra il 1812 e il 1819, uccide oltre 300.000 persone. La cosiddetta Peste di Caragea, occorsa in Valacchia, soprattutto a Bucarest, fra il 1813 e il 1814, quando sul trono siede proprio il principe Ioan Caragea (1754-1844), ne stermina 60.000. Il morbo colpisce l’attuale Iran ancora nel 1830-1831, con conseguenze drammatiche soprattutto nelle provincie del Gilan, del Māzandarān e dell’Azerbaigian orientale: i morti sono 40.000 a Rasht, 80.000 a Āmol e 30.000 a Tabriz. Il morbo si propaga a Baghdad e a Bassora, ove uccide migliaia di individui. Non si possiedono dati precisi, ma sembra che nella città posta nei pressi della confluenza tra il Tigri e l’Eufrate – Bassora, appunto – muoiano «almeno cento residenti al giorno».
2. Il triste record di Costantinopoli.
Nel paragrafo precedente, si è accennato a Costantinopoli, l’antica capitale dell’Impero Romano d’Oriente terminata in mano ottomana il 29 maggio 1453, dopo un assedio durato più di cinquanta giorni. Proprio Costantinopoli detiene il poco invidiabile primato di città più colpita dal morbo nella storia. Già flagellata dalla cosiddetta Peste di Giustiniano (541-542, con ondate fino all’VIII secolo), e poi dalla pandemia del Trecento, il centro sul Bosforo, fra il 1361 e il 1840, conosce epidemie o focolai di peste all’impressionante media di una, o uno, ogni 3,19 anni. La semplice operazione matematica restituisce il risultato di centocinquanta: una cifra che, considerando pure l’ampio spazio temporale, non consente di indicare, neppure approssimativamente, il relativo numero di morti, sebbene appaia scontato come questo sia di proporzioni apocalittiche.
3. La Grande Peste di Vienna: cenni.
Sebbene conosciuta come Grande Peste di Vienna (o Great Plague of Vienna, in inglese), si tratta di una pestilenza che, originatasi nell’impero ottomano, e forse proveniente anche da ovest, attraverso il Danubio, colpisce anche Germania orientale, Boemia, Ungheria e Polonia. Secondo alcune fonti, che indicano la Turchia come luogo in cui nasce l’epidemia, pure l’Africa settentrionale è investita dalla stessa. In ogni modo, nel 1679, Vienna, residenza imperiale dei sovrani austriaco-asburgici, è una città densamente popolata, ma in pessime condizioni igieniche. Mancano pubbliche fognature e cumuli di rifiuti sono lasciati a marcire lungo le strade. In conseguenza, sono presenti grandi colonie di roditori, che trovano ambiente favorevole pure nei vari magazzini, ove sono stipate merci quali abiti o tappeti, ma anche il grano. La peste che giunge in quell’anno trova quindi le condizioni ideali per diffondersi e uccidere. I sanitari, che ancora non ne conoscono l’eziopatogenesi, provano a curare i malati con salassi, emetici e unguenti, che si rivelano naturalmente inutili. Un ordine religioso, la Confraternita della Santissima Trinità, crea degli ospedali, ma le semplici terapie in essi offerte non hanno alcuna efficacia. Le persone muoiono a centinaia al giorno, e i cadaveri, trasportati fuori città, sono sistemati in grandi pozzi a cielo aperto, in attesa di essere inceneriti. Sovente trascorrono molti giorni prima che i macabri roghi siano accesi, anche perché si attende che le fosse siano piene: pertanto, fra i ratti, che si cibano di quei corpi, l’infezione è senza soluzione di continuità. Quando il morbo abbandona la capitale austriaca, nello stesso 1679, i morti sono almeno 76.000. In seguito, per volere degli imperatori asburgici Leopoldo I (1640-1705) e Carlo VI (1685-1740) sono costruite prima una monumentale colonna ex voto, nota come Pestsäule, che significa proprio Colonna della Peste, e poi la splendida Karlskirche, in stile barocco, ossia la chiesa dedicata a san Carlo Borromeo (1538-1584), la cui attività, durante la pestilenza che porta il suo nome, è stata già delineata nel capitolo a questo precedente.
4. Uno sguardo a Oriente: cenni sulla Grande Peste Persiana.
Come si è già accennato, l’epidemia esplosa nell’impero persiano nel 1772-1773 – conosciuta come Grande Peste Persiana – cagiona due milioni di vittime. In conseguenza, escludendo naturalmente le tre pandemie, occorse nei secoli VI (con ondate fino all’VIII), XIV e XIX-XX, si tratta della pestilenza più devastante dell’intera storia umana. Con ogni probabilità, ha origine a Baghdad, nell’inverno del 1772, e si diffonde sia a Sud, lungo il Golfo Persico, fino all’attuale Bahrein, sia a Est, fino a Bombay (odierna Mumbai). Nel mese di aprile del 1773, il morbo arriva a Bassora, ove uccide 250.000 persone. Nello stesso 1773, per la prima volta nella storia delle aree intorno al Golfo Persico, sono imposte misure di prevenzione: la città di Shiraz, ad esempio, chiude le sue porte a tutti i forestieri. Gli effetti sono positivi e le conseguenze della peste, sul finire del medesimo anno, diventano molto meno drammatiche, tanto che gli studiosi indicano proprio il 1773 come secondo e ultimo anno della terribile Peste Persiana.
5. La scomparsa della peste dall’Europa.
La Peste di Marsiglia del 1720-1722, di cui si è detto nel capitolo precedente, è anche l’ultima grave nella storia dell’Europa occidentale. Altre che occorrono a Malta, a Noja (odierna Noicattaro), nelle periferie povere di Parigi e ad Ajaccio, fra il XIX e il XX secolo, rimangono molto circoscritte, e non cagionano quindi conseguenze particolarmente tragiche. Analogamente, le pestilenze nei Balcani e in Valacchia, pure ricordate, sono le ultime a interessare la parte orientale del continente. Del resto, fatte salve le eccezioni poc’anzi segnalate, fra il Settecento e l’Ottocento, il morbo scompare dall’Europa. La relativa ragione, sebbene sia ancora ricercata dalla scienza, rimane ignota. Le ipotesi avanzate – il miglioramento delle condizioni di vita, la diffusione delle abitazioni in muratura, e altre ancora – non sono convincenti.
6. Il morbo ai giorni nostri e la sorveglianza epidemiologica.
Vero che la peste è scomparsa dall’Europa, ma altrettanto certo che la stessa è endemica in vaste zone dell’Asia e dell’Africa e in altre, più piccole, dell’America meridionale e degli Stati Uniti. Globalmente, fra il 2010 e il 2015, l’OMS ha riportato 3.248 casi, con 584 decessi. Più di recente, fra il 29 agosto e il 15 settembre 2021, la stessa Organizzazione, su un totale di quarantadue possibili affezioni, verificatesi in Madagascar, ne ha confermate ventidue, di cui diciannove di peste polmonare e tre di bubbonica, con otto decessi, e dunque con un tasso di letalità pari al 36,36%. Del resto, come ricordato ancora dall’OMS, la patologia in parola «può essere molto pericolosa per l’essere umano». Infatti, «in assenza di trattamento, la forma bubbonica ha un tasso di letalità compreso fra il 30 e il 60 per cento, mentre la polmonare è invariabilmente fatale». Evidentemente, quindi, quel trattamento esiste, sebbene, come già evidenziato in altro capitolo, lo stesso debba essere molto tempestivo, soprattutto nell’eventualità di forma polmonare. Si consideri, inoltre, che la peste è una delle malattie di classe I, vale a dire una di quelle per cui si richiede segnalazione immediata: o perché soggette al regolamento sanitario internazionale o per il particolare interesse che esse rivestono. Per i più curiosi, le altre sono, in ordine alfabetico: botulismo, colera, difterite, febbre gialla, febbre ricorrente epidemica, febbri emorragiche virali (ad esempio, dengue, Ebola, febbre di Lassa, malattia da virus Marburg), influenza che richiede isolamento, poliomielite, rabbia, tetano, tifo esantematico e trichinosi (o trichinellosi). Si tratta della cosiddetta sorveglianza epidemiologica, grazie alla quale il morbo oggetto di questo studio e le varie malattie poc’anzi accennate non hanno particolari possibilità di propagarsi.
7. La peste come arma di bio-terrorismo.
Da più parti ci si è chiesti se la peste, soprattutto nella sua forma polmonare, possa oggi essere intenzionalmente diffusa come atto di bio-terrorismo. Perfino la MSD, multinazionale leader nel settore farmaceutico, fa riferimento a questa ipotesi, e secondo una notizia, apparsa nel 2014 su una famosa agenzia di stampa, gli estremisti dello Stato Islamico (IS) avrebbero minacciato di replicare e utilizzare l’agente patogeno del morbo. Tuttavia, l’estrazione dei bacilli dagli animali, e la successiva coltivazione in laboratorio, sono due attività che richiedono personale altamente qualificato e disponibilità di luoghi ampi e adeguati. Inoltre, la Yersinia pestis, a differenza di altri microrganismi (ad esempio, l’antrace), non si presta a essere polverizzata. La diffusione, in ogni modo, creerebbe problemi non semplici da superare, e non va dimenticato, ancora, come i farmaci esistenti siano efficaci e di facile reperibilità. Da ultimo, nessun dubbio che, soprattutto in Occidente, scatterebbero subito procedure tese a impedire la propagazione della malattia. In conseguenza, si aderisce senz’altro all’opinione di tutti gli esperti che ritengono remotissima l’eventualità di un attacco terroristico con i bacilli pestosi.