Il giullare è una figura che si afferma già nel Basso Medioevo. Secondo alcuni studiosi, deriva dai mimi e dagli scurrae latini, per altri storici come Edmund Kerchever Chambers, menestrelli o trovatori erano i discendenti dagli “skôps” anglosassoni, compositori di versi. Skôps e mimi avrebbero finito per influenzarsi a vicenda, dando vita a una figura totalmente originale.
Lo spazio ideale di questi artisti era la piazza cittadina. Dopo l’anno Mille, infatti, la città vede la sua rinascita, diventa il fulcro di scambi culturali e economici, e proprio in questo contesto inizia ad assumere grande importanza la fiera. Inizialmente, le fiere erano site al di fuori della cinta muraria cittadina, ma in seguito vennero trasferite all’interno, dove vi era un’altra importante occasione di ritrovo per la società: il mercato.
Nel Basso Medioevo, il vero centro della vita cittadina era la piazza, l’intero spazio aperto che si apriva attorno alle chiese e alle cattedrali. Questi grandi spazi accolsero le esibizioni dei primi giullari.
2. LE CARATTERISTICHE
I giullari erano figure che rivestivano molti ruoli sociali: potevano essere intrattenitori, mimi, attori, giocolieri, cantanti, buffoni, saltimbanchi, danzatori, suonatori, prestigiatori, domatori di animali, comici, drammaturgi e pagliacci.
Il fine era quello di divertire il pubblico nelle piazze, ma anche di catalizzarne l’attenzione attraverso racconti di leggende ed epiche avventure. Vi erano occasioni ben precise in cui i giullari potevano dare sfogo alla loro creatività: erano le feste popolari collettive. Una su tutte, la festa dei folli, che si svolgeva nei giorni successivi al Natale. La Chiesa li condannava duramente in quanto troppo legati a una visione carnale e ironica della vita. I giullari infatti si mostravano con l’esibizione della gestualità e del corpo.
Nel Duecento e nel Trecento i giullari erano uomini di media cultura, molto spesso chierici vaganti, e divennero il maggior elemento di unione tra la letteratura colta e quella popolare. Si trasformarono da mimi e buffoni che erano, anche in poeti e scrittori, cantori in rima delle loro composizioni originali, che quasimai firmavano. Erano profondi conoscitori delle leggende e della storia.
3. LE “GIULLARESSE”
Esistevano anche donne giullari, le cosiddette “giullaresse”, raffigurate in gran numero nelle pitture e negli affreschi. Nella ricchissima corte del Re di Castiglia Alfonso X il Saggio (1221-1284), ad esempio, le giullaresse erano più dei giullari. E facevano più o meno le stesse cose: danzavano, cantavano, narravano, recitavano. Considerate alla stregua di prostitute e costrette a indossare le classiche vesti gialle simbolo di impudicizia e meretricio, comunque avevano presa sul popolo e presto anche nelle corti.
4. “MATTI CON LICENZA” E “MATTI NATURALI”
I giullari di corte si dividevano in due tipologie: il “matto con licenza” e il “matto naturale”. Entrambe le categorie erano però maggiormente apprezzate se visibilmente brutti o con grandi gobbe e malformazioni. I matti naturali erano quelli incensati per la dote di dire sempre la verità e avevano il compito di divertire la corte.
William Sommers (†1560) fu il matto naturale del Re d’Inghilterra Enrico VIII Tudor (1491-1547), ne godette la piena fiducia e, malgrado la grave problematica mentale di cui soffriva, fu ricordato come uomo arguto e scaltro. Enrico VIII decise persino di sollevarlo dalla sua carica per renderlo uno dei suoi consiglieri più fidati e lo affidò alle cure di William Seyton, che ebbe il compito di prendersi cura di Sommers dopo la morte del monarca. Il buon rapporto tra Enrico e William Sommers è testimoniato dalla presenza di quest’ultimo in un ritratto familiare del 1545.
Per quanto riguarda invece la “verità” per cui venivano apprezzati i matti naturali, in realtà non era una loro esclusiva. Anche ai “matti con licenza” era permesso ma la differenza tra le due categorie di giullari stava nella sensibilità di dire una determinata verità davanti ad un pubblico.
Sì, tutti potevano farlo ma… nessuno era al sicuro. Persino Sommers, così amato dal re, rischiò di essere ucciso qualche volta, soprattutto quando scherzò dicendo che uno dei figli di Enrico fosse un bastardo.
Un altro giullare passato alla storia fu Triboulet (1479-1536), al servizio dei Re di Francia Luigi XII di Valois-Orléans (1462-1515) e Francesco I di Valois-Angoulême (1494-1547). Sembrerebbe che a causa delle sue battute venisse spesso picchiato dai cortigiani e che uno di questi una volta lo minacciò di morte. Quando Francesco venne a conoscenza dell’accaduto avrebbe detto: “Se lo fa, lo impiccherò un quarto d’ora dopo.”
5. IL VESTITO DEL GIULLARE
L’iconografia lo ritraeva con un abito bicolore dai colori sgargianti e veniva rappresentato spesso a testa in giù per simboleggiare il mondo al contrario, la sovversione dell’ordine prestabilito delle cose, il non sense, come l’appeso dei Tarocchi.
I giullari delle piazze erano soliti indossare un cappello con orecchie d’asino e spesso al costume si aggiungeva pure una coda d’asino. Invece, i vestiti indossati dal giullare di corte erano sgargianti.
Un buffone di corte era solito portare anche un finto scettro chiamato “gingillo”, che terminava in punta con una testa scolpita o una vescica gonfiata d’animale.
L’abito colorato di due soli colori — diviso verticalmente comprendendo calza-brache, tunica o cottardita, mantello o capperone, campanelli appesi al cappello e tanti oggetti strani alla cinta — caratterizzava il giullare come un personaggio stravagante al punto da poter essere giustificato solo in periodi speciali come le feste e comunque tollerato solo a patto di considerarlo un folle e buffone. Il modello dell’abito era sintomo della volontà di provocare, troppo appariscente e inusuale per non destare scalpore.
6. LA CHIESA E IL GIULLARE
La figura del giullare si contrapponeva nell’immaginario popolare alla figura del monaco. Appartenevano comunque alla stessa società e partecipavano alle stesse feste, come testimonia un autore spagnolo del XIV secolo, Juan Ruiz (1283-1350?), nel suo “Libro del Buen Amor”:
“Chiese e altari
vidi pieni di allegrie, di matrimoni e cantari,
tutti fanno gran festa, e preparano grandi banchetti,
vanno di matrimonio in matrimonio clerici e giullari”.
Per il loro profondo legame con il paganesimo e con la follia erano visti con sospetto dalla Chiesa, ma il loro ascendente sulla gente era innegabile. Questa presa di coscienza portò alla nascita, tra i nuovi ordini mendicanti come domenicani e francescani, di nuove forme di predicazione ispirate anche a questa nuova arte comunicativa. San Francesco d’Assisi (1181-1226) si dichiarava appunto il giullare di Dio.
7. LE FONTI
– Gli occhi della Follia. Giullari e buffoni di corte nella storia e nell’arte, a cura di Tito Saffioti.
– Cesare Molinari, Storia del teatro, Laterza
– Cesare Molinari, L’attore e la recitazione, Laterza
– Giampaolo Mele, I giullari: musica e mestieri nel Medioevo (secoli XI-XIV). Cenni storici, Universidad de Zaragoza
– Altri testi vari, soprattutto di Ramon Menendez Pidal, Jacques Le Goff e Georges Duby.