La morte di papa Niccolò I Magno (820-867) lasciò la Cathedra Petri orfana di un uomo coraggioso, volitivo, capace di imporsi nei confronti dell’imperatore. I successivi pontefici furono diversi per carattere e per abilità politiche e sarebbe impossibile farne una trattazione esaustiva. Il successore del defunto pontefice fu Adriano II (792-872), eletto in tarda età e di indole più arrendevole. Egli continuò nella strada già percorsa dal predecessore, ma a differenza di questi che si era mantenuto fermo nei confronti della questione amorosa di Lotario II (835-869) e Gualdrada (835-869?), papa Adriano II fu convinto a togliere la scomunica nei confronti della donna, ottenendo il giuramento da Lotario II di non avere più contatti con lei. La questione avrebbe dovuto essere decisa da un sinodo, ma Lotario II nel frattempo morì. Papa Giovanni VIII (820-882), uomo già più energico, riuscì a porsi quale difensore della cristianità contro il costante pericolo dei Saraceni. Egli, nonostante avesse fatto affidamento sul Carlo II il Calvo (823-877) cui aveva offerto la corona imperiale dopo la morte di Ludovico II, in realtà dovette risolvere il problema delle incursioni saracene da solo, intervenendo tanto con la costruzione di mura poste a protezione della Basilica di San Paolo, quanto con la realizzazione di una flotta di dromoni, dei vascelli con i quali sfidare i Saraceni in mare aperto. Si narra che si mise egli stesso alla guida di uno di questi vascelli che costituivano il suo vanto ma, nonostante le sue pur coraggiose manovre, dovette venire a patti con i Saraceni stessi versando un tributo per garantirsi la pace. Il pontificato di Giovanni VIII durò dieci anni, dall’872 all’882, durante i quali egli assistette alla morte di Carlo II il Calvo, alla morte del pretendente Carlomanno di Baviera (830-880), re di Baviera e d’Italia, figlio di Ludovico II il Germanico (802/806-876), e al passaggio dell’impero al fratello minore di Carlomanno, Carlo il Grosso (839-888), l’ultimo esponente legittimo della stirpe dei Carolingi a ottenere la corona imperiale, riuscendo pure a riunire di nuovo in un’unica persona l’impero creato dall’avo Carlo Magno (742-814). La serie di circostanze che condussero a tutto questo si deve al fatto che Carlomanno di Baviera, detentore anche della Carinzia, morì nell’880 e i suoi due fratelli si spartirono il regno, lasciando al figlio illegittimo, Arnolfo (850-899), solo la Carinzia. Nell’882 morì anche l’altro fratello, Ludovico III il Giovane (835-882), che aveva avuto il regno dei Franchi Orientali, la Franconia, la Sassonia e la Frisia dal padre. Dall’882 all’884 il regno dei Franchi Occidentali fu in mano ai figli del cugino di Carlo il Grosso, Luigi III il Giovane (862/865-882) e Carlomanno II (866-884). Morti anche costoro, Carlo il Grosso si impossessò del regno sottraendolo al piccolo Carlo Il Semplice (879-929), fratellastro dei due sovrani, di soli cinque anni. Ma anche Carlo Il Grosso non fu di valido aiuto al pontefice Giovanni VIII che, muovendosi tra accordi e varie alleanze effimere, giunse a essere sempre solo. La sua morte avvenne nell’882, forse per avvelenamento.
Dopo i brevi pontificati di Marino I (†884) e Adriano III (†885), fu la volta di Stefano V (885-891). Questi, eletto senza la presenza dei legati imperiali previsti dalla “Constitutio Romana”, dovette inviare i propri messi pontifici per informare Carlo il Grosso dell’elezione. Esponente della fazione filogermanica, Stefano V dovette chiedere aiuto all’imperatore per difendersi dall’assillo dei Saraceni, ma fu solo il duca Guido II di Spoleto (855-894) a correre in suo aiuto, riportando una vittoria contro l’eterno nemico saraceno. Se Carlo il Grosso non intervenne, lo si dovette all’altro problema che angustiava il sovrano: i Normanni giunsero fin sotto le mura di Parigi, difese dal conte Oddone (860/865-898). La scandalosa azione di Carlo Il Grosso, che giunse a dar denaro ai Normanni per distoglierli dall’assedio di Parigi e dirottarli contro la Borgogna ribelle, fu la causa della sua deposizione avvenuta nell’887 durante un’assemblea tenutasi a Treviri. Al suo posto fu eletto Arnolfo di Carinzia, figlio di Carlomanno. La caduta della dinastia carolingia diede modo ai vari potenti locali di farsi avanti guadagnando potere. Mentre Oddone divenne re dei Franchi Occidentali, Berengario del Friuli (850-924) – nipote di Ludovico il Pio per linea materna – e Guido II di Spoleto si combatterono l’un l’altro sul suolo italico. In un primo momento Berengario ebbe la meglio, facendosi eleggere re d’Italia nell’888, approfittando anche dell’assenza di Guido di Spoleto cui era stata ventilata la possibilità di ottenere la corona di Francia, ma l’anno successivo, nell’889, Guido di Spoleto tornò in Italia, sconfisse Berengario e si fece incoronare re d’Italia. Due anni più tardi riuscì a cingere la corona imperiale insieme alla moglie Ageltrude (†923). Una corona svuotata ormai dell’antico prestigio. Nello stesso anno morì Stefano V lasciando il seggio di Pietro al vescovo Formoso di Porto (816-896).
II. FORMOSO E IL “SYNODUS HORRENDA”
Formoso fu un uomo colto e di valore, incaricato più volte di missioni importanti. Basti ricordare che aveva fatto parte della delegazione inviata da papa Niccolò I Magno presso re Boris di Bulgaria (†907) per evangelizzare quelle terre e cercare di attrarre nell’orbita della Chiesa di Roma quel popolo.
L’incarico era stato condotto dai vescovi Formoso di Porto e Paolo di Populonia negli anni 866 e 867, con un discreto successo personale per il vescovo di Porto, tanto da essere favorevolmente apprezzato proprio da re Boris, che per ben due volte cercò di ottenerne la nomina ad arcivescovo in Bulgaria, perorando la causa presso Niccolò I Magno, ma ottenendone un netto rifiuto. Forse questo fu uno dei motivi che indusse poi re Boris a porsi sotto la giurisdizione della Chiesa di Costantinopoli.
Vissuto sotto i pontificati di Niccolò I Magno e Adriano II, alla morte di questi, avvenuta nell’872, Formoso fu uno dei candidati per la nomina a successore ma, poiché deteneva già la diocesi di Porto, fu escluso dal novero dei papabili e al suo posto venne eletto Giovanni VIII. In un primo momento i rapporti tra i due furono buoni: anche Giovanni VIII lo incaricò di una missione particolarmente delicata, quella di offrire la corona imperiale a Carlo il Calvo. Formoso fu un vescovo stimato, con notevoli capacità diplomatiche. Forse fu anche questa popolarità che lo mise in cattiva luce agli occhi di papa Giovanni VIII che, geloso e preoccupato dei potenziali rivali, decise di allontanare il nomenclator Gregorio e Giorgio d’Aventino, uomini vicini a Formoso.
Preoccupato della propria incolumità, il vescovo di Porto abbandonò Roma. Nell’Aprile dell’876 non si presentò al concilio voluto per discutere l’accusa di aver ambito a una diocesi diversa dalla propria. Successivamente, nel secondo concilio tenutosi a Giugno dello stesso anno, fu condannato in contumacia, scomunicato e ridotto allo stato laicale. Due anni più tardi, a Troyes, cercò supplicando il perdono papale che ricevette a patto di abbandonare Roma. Fu solo molti anni dopo che Formoso riuscì a ritornarvi ottenendo di nuovo nell’883 la diocesi di Porto, grazie alla benevolenza di papa Marino I, successore nell’882 del defunto Giovanni VIII. Dopo il breve pontificato di Adriano III e quello di Stefano V, Formoso fu eletto papa nell’891. Fu un pontificato non esente da attriti con la coppia imperiale, Guido di Spoleto e Ageltrude, che vollero e ottennero per il figlio Lamberto l’associazione al trono imperiale proprio dalle mani di Formoso, nell’892, a Ravenna. La criticità dei rapporti con tale famiglia indusse papa Formoso a cercare aiuto presso Arnolfo di Carinzia per ben due volte, nell’893 e ancora, dopo la morte di Guido, nell’895. Fu in questo anno che Arnolfo giunse a Roma per schierarsi contro Ageltrude, riuscendo a vincere la partita contro gli spoletini e a ottenere la corona imperiale.
Il 4 Aprile dell’896 Formoso morì lasciando dietro di sé una scia di ammiratori, ma anche di nemici. Tra questi Ageltrude che pochi mesi dopo la morte dell’odiato nemico ne fece riesumare il corpo per dar seguito a quel processo passato alla storia come “synodus horrenda”. Il corpo di Formoso fu riesumato, vestito dei paramenti sacri e accusato di essere uno spergiuro – per aver disatteso il giuramento fatto a Troyes – e di esser passato dalla sede vescovile di Porto alla cattedra di Pietro in Roma. La sentenza pronunciata lo vide privato delle vesti sacerdotali; le tre dita della mano destra furono mozzate – era la mano con cui impartiva benedizioni – e il cadavere fu trascinato da una folla inferocita che lo abbandonò sulle rive del Tevere. È probabile che dietro il processo vi fosse anche la mente dello stesso papa Stefano VI (†897), che poteva trarne benefici, ma la successiva morte violenta per strangolamento, avvenuta nell’897, non diede modo al pontefice di gioire della vittoria.
Il corpo di Formoso fu miracolosamente ritrovato da un monaco presso le rive del Tevere e poi sepolto in San Pietro. Seppur riabilitato nei concilii tenuti dai papi Teodoro II (†897) e Giovanni IX (898-900), Formoso non poté riposare in pace in quanto papa Sergio III (†911) tornò nuovamente sulla questione nel 904.
III. SERGIO III
Appartenente ad una famiglia della nobiltà romana, Sergio III era stato suddiacono sotto papa Marino I, diacono sotto papa Stefano V e vescovo di Cere per volere di papa Formoso. L’elezione di Sergio III fu voluta da una potente famiglia del tempo, quella di Teofilatto (860-920/924) e della consorte Teodora (870-916), che riuscì in tal modo a reggere le sorti del Papato. Può sembrare strano che una sola famiglia potesse avere tanto potere da scegliere un pontefice, ma si deve tener presente che la fine della dinastia carolingia, insieme ad altre circostanze, diede modo a queste famiglie – e lo si è potuto notare anche con la famiglia del Duca di Spoleto, ad esempio – di crearsi una solida posizione di forza.
Uno dei primi atti cui diede seguito non appena eletto, nel 904, fu di rinnovare la condanna contro papa Formoso, deceduto otto anni prima, considerando nulla la sua elezione e le ordinazioni da lui volute. Un vero caos all’interno della Chiesa.
L’immagine tetra di questo pontefice, sedutosi sulla Cathedra Petri per sette anni, non può essere mitigata dalle opere di restauro di alcune delle Chiese romane da lui volute e da alcune opere pie come la donazione di alcuni fondi all’episcopato di Silva Candida luogo colpito dallo sterminio saraceno. Alcune fonti riportarono che nell’ultimo periodo del suo pontificato aveva tenuto presso di sé come concubina l’adolescente Marozia (†955), figlia di Teofilatto e Teodora.
La morte lo colse nel 911. Il corpo fu seppellito nella Basilica del Laterano che in vita aveva contributo a ricostruire.
IV. CONSIDERAZIONI SULLA FINE DEL IX SECOLO
Le incursioni dei Saraceni, le difficoltà di alcuni pontefici di imporsi nelle dinamiche politiche del tempo e la rovinosa fine della dinastia carolingia, che lasciò un vuoto di potere, crearono dei varchi in cui si inserirono le famiglie locali, consentendo di fare ognuno il proprio tornaconto.
Un ruolo notevole lo ebbero le nobildonne romane come Teodora e, dopo di lei, le figlie Marozia e Teodora II (†950). I loro discutibili stili di vita avrebbero fatto passare alla storia quel periodo come l’epoca della pornocrazia.
V. LE FONTI:
– Ferdinand Gregorovius, Storia di Roma nel medioevo dall’età carolingia al XI secolo, vol. II, ed. ResGestae
– Dizionario biografico degli italiani, edito dalla Treccani, alla voce Papa Formoso di J.M. Sansterre
– Rendina, C. I papi. Storia e segreti, eNewton