1. Altre epidemie successive alla Morte Nera: Europa occidentale.
Di là della Peste Manzoniana, molte altre pestilenze colpiscono l’Europa occidentale ancora nel Trecento, dopo la pandemia, e fino al XVIII secolo. La fumosità delle fonti a disposizione non consente di fornire un loro elenco esaustivo. In ogni modo, si può sostenere che la peste, in diciotto ondate che si presentano fra il 1360 e il 1722, alla media, quindi, di una ogni poco più di vent’anni, flagella l’intera parte occidentale del vecchio continente, incluse Malta e le isole Canarie. Di seguito, si riportano alcune epidemie, e in particolare le più gravi, con la precisazione che il numero di decessi, quando indicato, è frutto sempre di stime.
XIV e XV secolo. – Dopo la pandemia, e prima della fine del Trecento, il morbo si ripresenta più volte in Italia, causando lutti, ad esempio, a Firenze, Pisa, Pistoia e Venezia. In ogni modo, fra il 1360 e il 1363, è soprattutto l’Inghilterra a dover soffrire le recrudescenze del morbo: i morti, nell’isola, sono 700/800mila. Nel 1400, a causa del Giubileo, la peste fa diverse vittime a Roma, prima di raggiungere l’odierna Toscana: nella sola Firenze, i decessi sono circa 11.000. Nel 1405, la patologia fa strage di 18.000 persone a Padova, e nel 1466, a Parigi, i morti sono almeno 40.000. Circa 30.000 quelli che si contano a Milano nel 1451, durante un’epidemia che colpisce l’Italia settentrionale nel quadriennio 1449-1452. Fra il 1471 e il 1482, la peste fa la sua comparsa due volte ancora nelle terre d’Oltremanica, una di nuovo a Roma – uccidendo, fra gli altri, Bartolomeo Sacchi, detto il Plàtina, prefetto della Biblioteca Vaticana – e un’altra nella Repubblica di Venezia, che all’epoca comprende l’Italia Nordorientale fino a Lodi (con le sole eccezioni del Marchesato di Mantova e del Vescovato di Trento), una piccola parte della Romagna, il Margraviato d’Istria e la Dalmazia. In Inghilterra, i decessi, complessivamente, sono una cifra compresa fra 700.000 e 900.000. Nella richiamata Repubblica, circa 300.000. Fra il 1484 e il 1486, il morbo raggiunge Ascoli Piceno.
XVI secolo. – Nel 1510, la peste flagella Venezia, portandosi via, fra i tanti, il pittore Giorgione, che muore, a soli 32 anni, nell’isola di Poveglia. Fra il 1522 e il 1530, la patologia investe ancora la Penisola, soprattutto centrale, uccidendo 30.000 fiorentini e un numero imprecisabile di abitanti di altre città. Nel biennio 1563-1564, il morbo è a Londra, ove cagiona più di 20.000 decessi. Fra il 1575 e il 1576, è la Sicilia a essere flagellata: le peggiori conseguenze le soffre naturalmente Palermo, la più popolosa fra le città dell’isola. Nel 1576-1577, esplode l’epidemia nota come Peste di San Carlo, che colpisce Milano, Venezia e numerosi altri centri dell’Italia settentrionale. È così definita perché, all’epoca, vescovo della città meneghina è san Carlo Borromeo (1538-1584), il quale, con spirito cristiano e notevole coraggio, non esita a recarsi dagli ammalati per portar loro conforto e sacramenti. Non si è trovata, nelle fonti a disposizione, una stima complessiva dei decessi, ma sembra che Milano perda circa 20.000 residenti, Brescia 18.500 (su un totale di 45.000) e Venezia 50.000. In quest’ultima, nel 1576, la peste fa un’altra vittima fra i maestri della pittura: Tiziano Vecellio, allora quasi novantenne (era nato nel 1488). Prima della fine del secolo, altre pestilenze flagellano, nel 1579, la riviera ligure (80/85mila morti); nel 1579-1581 – e poi nel 1587 – la città di Arles; nel 1582-1583 le isole Canarie (5.000/9.000 morti); nel 1592-1593 di nuovo la capitale inglese (quasi 20.000 morti); soprattutto la Spagna, dove, fra 1596 e il 1599 (o 1602, secondo altre fonti), muore mezzo milione di persone.
XVII e XVIII secolo. – Dopo il Trecento, il Seicento è il secolo in cui la peste cagiona il maggior numero di vittime. Fra il 1603 e il 1611, un’altra epidemia, a Londra, uccide fra 40.000 e 45.000 residenti. Numero alto, certamente, ma che appare irrisorio di fronte a quanto deve ancora accadere. Circa negli stessi anni della Peste Manzoniana, e segnatamente fra il 1628 e il 1631, altra epidemia, in Francia, causa una quantità di decessi a quella del tutto simile: un milione. Fra il 1632 e il 1635, il morbo dimezza la popolazione di Augsburg (Augusta), uccidendo 14.000 cittadini. Nel 1637, ancora a Londra, i morti sono almeno 10.000. Tuttavia, è nel 1647, esattamente trecento anni dopo l’arrivo della Morte Nera in Europa, che esplode una bomba atomica. La cosiddetta Peste di Siviglia, che colpisce, in realtà, diversi centri della Spagna, soprattutto meridionale, uccide, fino al 1652, qualcosa come 500.000/700.000 individui, per poi viaggiare sul mare e raggiungere la Sardegna nello stesso 1652. Quattro anni dopo, il morbo arriva a Napoli, da dove si diffonde in quasi tutto il Centro-Sud (fino alle attuali Marche) e nella Repubblica di Genova. La Peste di Napoli, com’è definita, uccide, in meno di un quadriennio, 1.250.000 persone. Fra il 1663 e il 1666, il morbo flagella Colonia, altri centri lungo il Reno e i Paesi Bassi: ad Amsterdam, nel solo 1664, le vittime del morbo sono 25.000. Probabilmente, è proprio dall’odierna Olanda che la peste raggiunge di nuovo la capitale inglese, nel 1665. Qui, nello stesso anno e in parte del successivo, stermina fra 75.000 e 100.000 individui, numeri corrispondenti al 20 e al 25 percento dell’intera popolazione londinese, evidentemente stimata, all’epoca, in circa 400.000 unità. L’epidemia in parola, conosciuta come Grande Peste di Londra, è stata resa celebre dal Diario dell’anno della peste, di Daniel Defoe (†1731), autore anche del ben più noto Robinson Crusoe. Nel biennio 1675-1676, la Peste di Malta uccide 11.300 persone che vivono nell’isola: cifra elevata in proporzione alle sue dimensioni e alla sua scarsa densità abitativa. L’ultima grave pestilenza nell’Europa occidentale occorre a Marsiglia e in Provenza nel XVIII secolo (1720-1722), ed è detta proprio Peste (o Grande Peste) di Marsiglia. I morti sono 120.000.
2. La Peste di Napoli: approfondimento.
La Peste di Napoli, forse poco conosciuta, almeno dai più, rappresenta, invece, una delle pagine più tragiche della storia italiana. Agli inizi del 1656, l’epidemia raggiunge la città, portata da navi provenienti dalla Sardegna dove era arrivata dalla Spagna. Il morbo si diffonde rapidamente nel centro partenopeo, anche a causa del gravissimo ritardo delle autorità nel riconoscere la sua natura contagiosa, e quindi nell’adottare opportune misure. Sulle prime, i decessi sono attribuiti dai governanti all’alimentazione con frumento «corrotto» oppure con «baccalà e sarache di malissimo odore», che sono dunque inceneriti o gettati in mare. In seguito, con l’aumento dei casi e delle morti, si fa riferimento a polveri velenose, sparse per le strade e nei pozzi dai nemici della corona spagnola, sotto il cui riflesso viveva la Napoli del tempo. In conseguenza, residenti ma soprattutto forestieri, ritenuti untori, sono catturati e giustiziati, anche per sedare malumori insorti nella popolazione. Fra i sanitari, soltanto uno prova a parlare di «contagio», ossia di peste: si tratta di Giuseppe Bozzuto, «napoletano verace e borghese», che esercita la sua professione presso la Casa Santa dell’Annunziata. In proposito, così riferisce una cronaca dell’epoca: «il medico Giuseppe Bozzuto, nel febbraio [1656], vide i primi bubboni […] e subito fece diagnosi. Uno degli eletti della città, avendo ascoltato il medico, riferì la temibile diagnosi al Viceré che, invece di prendere provvedimenti, fece imprigionare il Bozzuto. Solo verso la fine di maggio si cominciò ad ammettere e ad avvisare la popolazione che si trattava di peste, ma oramai il contagio si era diffuso. Lo stesso povero Bozzuto contrasse la peste in prigione e gli fu concesso solo di morire nella propria casa». Forse qualcuno, leggendo questa storia, ha associato Giuseppe Bozzuto a Li Wenliang (1986-2020), il medico di Wuhan che aveva lanciato l’allarme sul CoVid. Non è il caso, però, di soffermarsi su tale questione. Conta rilevare, invece, riprendendo il filo del discorso, che i governanti partenopei, provando a celare la verità, intendono tenere a bada una popolazione che in breve tempo è preda della paura e del panico, e dunque mantenere un certo ordine. Le possibili reazioni della gente, nel pensiero delle autorità, possono essere più insidiose della patologia. Inoltre, ammettere la presenza della peste a Napoli significa isolarla, e dunque interrompere gli approvvigionamenti esterni, ma anche le attività commerciali ed economiche, così riducendo il popolo alla fame. Per tali ragioni, un isolamento, appunto, non è disposto, con la conseguenza, poc’anzi accennata, che il morbo si diffonde velocemente. Assieme alla peste si propaga il disordine: le strade sono invase di malati, di moribondi e di cadaveri. Finalmente, fra la fine di maggio e gli inizi di giugno di quel 1656, le autorità assumono qualche misura: in particolare, gli infermi sono isolati in alcune strutture e i corpi rimossi dalle strade, ad opera di detenuti cui, in cambio, è promessa la libertà. Ai pochi medici rimasti – tanti sono morti, alcuni son fuggiti – è imposto di prendersi cura dei malati e di eseguire la «natomia» dei morti. I parroci devono riferire il numero di decessi da essi registrato, ma agendo in segreto, per non accrescere il terrore che serpeggia nella popolazione. I governanti vorrebbero anche impedire le funzioni e le processioni religiose, per evitare che alle stesse si uniscano soggetti potenzialmente infetti. Il vescovo, però, si oppone alle richieste. Dopo l’estate, momento di massima diffusione dell’epidemia, la peste abbandona via via Napoli, dopo aver ucciso oltre la metà degli abitanti: le vittime sono quasi un quarto di milione. L’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione, la città è dichiarata ufficialmente libera dalla patologia. Le case sono purificate e così gli oggetti appartenuti in precedenza agli appestati. Il morbo, però, non lascia l’Italia. Anzi si diffonde verso Sud e verso Nord (fino alle odierne Marche), per altri tre anni circa, risparmiando soltanto piccole zone della Sicilia e una parte del Granducato di Toscana. La conta delle vittime, nel 1659, avrebbe raggiunto lo spaventoso numero di 1.250.000.
3. La Grande Peste di Londra: cenni.
La peste raggiunge la capitale inglese nel 1665, in primavera, proveniente, con ogni probabilità, dai Paesi Bassi. I primi casi si verificano nel sobborgo di St. Giles-in-the-Fields, ma presto il morbo si propaga in città, flagellando soprattutto le periferie e i quartieri – Stepney, Shoreditch, Clerkenwell, Cripplegate e Westminster – ove i poveri sono più densamente affollati. Il sovrano, Carlo II Stuart (1630-1685), decide di trasferirsi, con la famiglia, presso la corte di Oxford. Anche diversi ecclesiastici, medici e farmacisti scelgono la fuga. Rimangono, invece, il vescovo (anglicano) Humphrey Henchman (†1675), il Lord Mayor (Sindaco) e alcuni membri del consiglio comunale, detti aldermanni. Si prova a purificare l’aria usando torce che rimangono accese giorno e notte, o diffondendo spezie quale il pepe. Tali rimedi, ovviamente, non arrestano la patologia, che causa gran numero di lutti e notevoli pregiudizi all’economia. Tuttavia, nel mese di dicembre di quel 1665, il tasso di mortalità diminuisce all’improvviso, e nel corso dell’anno seguente i casi ed i decessi sono relativamente pochi, tanto che in febbraio il re decide di far rientro a Londra. Il morbo abbandona la città dopo il Grande Incendio che divampa dal 2 al 6 settembre 1666 (12-16 settembre nel calendario gregoriano, all’epoca non ancora in uso nel regno d’Oltremanica). Certamente, il grave evento cagiona la morte di diversi roditori, e quindi delle pulci, ma gli esperti non attribuiscono a esso alcun merito per la scomparsa della peste da Londra. Difatti, dal 1667 in poi, nessuna epidemia colpisce non solo la capitale, ma l’intera Inghilterra, e dunque andrebbero ricercate altre ragioni.
4. La Peste di Marsiglia: cenni.
All’origine dell’epidemia, è una nave commerciale – il Grand-Saint-Antoine – che, proveniente dalla Siria, attracca nel porto marsigliese nel mese di maggio del 1720. Da essa sbarcano uomini e roditori già infetti che diffondono rapidamente la patologia, anche in ragione di gravi negligenze e leggerezze da parte delle autorità. Nella città muoiono 40.000 persone (su un totale di 90.000 abitanti), e i cadaveri che si accumulano, soprattutto nel quartiere de la Tourette, ove si trovano le prigioni, richiedono interventi straordinari, che dureranno a lungo. Presto, la peste si propaga in gran parte della Provenza, uccidendo, fino al 1722, un quinto dei suoi 400.000 abitanti. In conseguenza, il bilancio finale dell’epidemia in parola è di 120.000 vittime.