La peste del XIV secolo – Capitolo II

1. Cos’è la peste.

La peste è una patologia di origine batterica, potenzialmente gravissima. Più in particolare, si tratta di una zoonosi, ossia una malattia che è trasmessa da un animale all’uomo.

Eziologia. – L’agente eziologico è la Yersinia pestis, un bacillo sia aerobio sia anerobio. Significa che può vivere anche in assenza di ossigeno. Resiste a lungo nell’acqua, nei suoli umidi, nei cadaveri umani, nelle carcasse di animali infetti e nei materiali organici essiccati. È stato scoperto a Hong Kong, nel 1894, durante la pandemia di peste che colpisce l’Asia, l’Africa, le Hawaii, le Filippine e l’America meridionale, da Alexandre Yersin (1863-1943), un sanitario svizzero, naturalizzato francese e vietnamita. Questi battezza il batterio Pasteurella pestis, in onore dell’Istituto – il Pasteur, appunto – presso il quale aveva operato fino al 1892. Nel 1967, però, lo stesso microrganismo è stato rinominato proprio Yersinia pestis.

La trasmissione all’uomo. – L’essere umano è contagiato, di solito, tramite il morso di una pulce, che si nutre del sangue infetto di roditori o di altri mammiferi, fra cui i gatti, mentre il cane domestico contrae la malattia molto raramente. La peste può anche essere contratta tramite il contatto con il fluido o tessuto di un animale infetto. La trasmissione interumana avviene attraverso l’inalazione di goccioline respiratorie di pazienti affetti da peste polmonare primaria, di cui si dirà fra poco. Tali goccioline, note anche come droplets, si emettono con gli starnuti, con la tosse o anche soltanto parlando.

Manifestazioni cliniche. – La peste possiede diversi quadri clinici. Segnatamente: la peste bubbonica (che è la forma più comune); la peste setticemica; la peste polmonare (primaria o secondaria); la peste minore. Esistono anche la peste faringea e quella meningitica, ma si tratta, per fortuna, di patologie rarissime, che quindi mai hanno particolarmente interessato la storia della medicina.

La peste bubbonica. – Insorge bruscamente, dopo un periodo d’incubazione che può variare da poche ore fino a dodici giorni. Sono sempre presenti intenso malessere, brividi e febbre elevata (39,5-41° C.), e piuttosto comuni sono la cefalea (mal di testa), la rachialgia (dolore alla schiena), la debolezza, la nausea e il vomito. In qualche caso, il paziente può essere agitato, delirante, confuso e scoordinato. Tuttavia, l’aspetto clinico più caratteristico è l’ingrossamento dei linfonodi drenanti il sito di inoculazione dei batteri. Tali organi ingrossati sono definiti proprio bubboni, e la loro dimensione oscilla fra uno e dieci centimetri. Nel 70% dei casi, ne è presente uno solo, in zona femorale, inguinale, ascellare o cervicale. Nel restante 30, si manifesta l’ingrossamento di più linfonodi. Questi, di regola, sono molto dolorosi e circondati da edema evidente. Possono suppurare, emettendo un pus emorragico ricco di bacilli, quindi molto contagioso. I batteri stessi possono diffondersi attraverso il flusso sanguigno ad altre parti del corpo, dando luogo alla peste polmonare secondaria e/o a setticemia. Quest’ultima è la principale causa del decesso, che avviene, in genere, in 3-5 giorni, ma anche in poche ore.

La peste setticemica. – È causata dalla proliferazione del batterio Yersinia pestis nel circolo ematico, con conseguente raggiungimento di tutti gli organi del corpo umano. Può verificarsi senza la forma bubbonica (peste setticemica primaria), ma più spesso è conseguenza del cedimento di uno o più linfonodi, quando questi – già trasformatisi in bubbone – non riescono più a contenere il microrganismo al loro interno. In tale manifestazione, le tossine batteriche che circolano liberamente cagionano sindromi da coagulazione intravascolare disseminata (CID). Queste colpiscono iniziando dalle estremità, causando necrosi di dita o piedi (da qui la denominazione di Peste Nera alla pestilenza del Trecento) ed ecchimosi diffuse su tutta la superficie del corpo. Alle esaurite capacità di coagulazione, conseguono emorragie negli organi interni. Sovente, sono anche presenti epistassi (sangue dal naso), ematuria (presenza di sangue nelle urine), perdita del controllo sfinterico e insufficienza multiorgano. Una condizione evidentemente gravissima che, per inciso, ha una mortalità cinque volte superiore all’ictus e dieci all’infarto. Difatti, se non curata con grande velocità, la forma in argomento offre speranze di sopravvivenza pressoché nulle.

La peste polmonare. – Può essere primaria o secondaria. La prima è conseguenza dell’inalazione dei droplets, ai quali si è già accennato. L’altra deriva dalla diffusione ematogena di microrganismi da un bubbone. Il periodo d’incubazione è in genere di due o tre giorni, ma può variare da uno a sette. Il primo sintomo è di regola la febbre alta (≥39° C.), seguita da un rapidissimo deterioramento delle condizioni generali. Nelle 24-48 ore successive, il paziente presenta dispnea (difficoltà respiratorie), tachipnea (aumento della frequenza degli atti respiratori), tosse con escreato che presto diventa schiumoso e striato di sangue, gravissima debolezza e cianosi, ossia colorazione bluastra della pelle e delle mucose, come conseguenza dei disturbi respiratori (ed eventualmente circolatori) in atto. In diversi casi, si manifestano problemi neurologici e un rilevante abbassamento della temperatura corporea. Se non diagnosticata e trattata con straordinaria tempestività (ossia entro ventiquattro ore dalla sua comparsa), la manifestazione in parola conduce a morte nella totalità dei casi.

La peste minore. – Si tratta di una forma benigna in cui l’infezione a carico dei linfonodi e i vari altri sintomi (febbre, cefalea, eccetera) scompaiono nell’arco di una settimana o poco più.

2. Il quadro europeo nel quale s’inserisce la peste.

Fra l’XI e il XIII secolo, in Europa, popolazione, produzione e consumo aumentano ininterrottamente. In particolare, alla fine del Duecento, giusta stime recenti, sono fra gli 80 e gli 85 milioni le persone che abitano il vecchio continente, e l’aspettativa media di vita raggiunge i 37 anni.

Fragilità dell’espansione. – L’espansione appena richiamata, però, è terribilmente fragile. Gli alimenti principali, specie per i più poveri, sono i cereali, intendendo come tali, in rapporto all’epoca, il grano, l’orzo e la segale. Il mais, infatti, è ancora sconosciuto – sarebbe stato Cristoforo Colombo (1451-1506) a portarlo per primo in Europa – mentre il riso, sebbene noto da secoli, è coltivato soltanto in qualche area della Spagna, dove è stato introdotto dagli arabi nell’VIII secolo, e non è consumato. Il suo uso, per i pochi che se lo possono permettere, è a soli scopi terapeutici o di cosmesi, e in Italia si dovrà attendere la seconda metà del Quattrocento perché sia inaugurata la prima risaia (1468) e perché il relativo cereale inizi a diventare elemento della nutrizione. La ricordata espansione, inoltre, è sostenuta da un’agricoltura di tipo estensivo, poco diversificata e indebolita dalla mancanza di integrazione fra coltivazione e allevamento, ma anche dalla connessa insufficienza di concimazione. Invero, l’esigenza di terre coltivabili impedisce di destinare al pascolo aree di grandi dimensioni, così diminuendo proprio la possibilità di ottenere concime, ma anche latte e carne, con quest’ultima che è quindi a disposizione soltanto delle persone più ricche, sulle cui tavole compaiono anche cacciagione, frutta e verdure. L’accennata necessità, inoltre, spinge a impiegare pure superfici poco produttive (le cosiddette terre marginali). Appena esaurita la primitiva fertilità, la produzione di queste terre, in mancanza di concimazione, è notevolmente scarsa.

Il peggioramento climatico e prime conseguenze. – In questa situazione, già debole di per sé, s’inserisce, fra la fine del XIII secolo e l’inizio del successivo, un forte peggioramento climatico: a inverni rigidi seguono estati con frequenti piogge abbondanti o addirittura torrenziali. Ne discendono la trasformazione in paludi di aree in precedenza più o meno fertili, ma ancor di più il grave danneggiamento dei raccolti, e quindi un forte calo produttivo che colpisce crudelmente sia le campagne, ove il livello di vita è già molto basso, sia le città, nelle quali si riverbera sotto forma di difficoltà degli approvvigionamenti.

Altri effetti: fame e malattie. – Il primo effetto successivo sono le carestie: la Francia ne conosce una già nel biennio 1304-1305. Gravissima, però, è quella nota come Grande carestia, o Great Famine, che occorre fra il 1315 e il 1317. I relativi esiti, catastrofici soprattutto in Inghilterra, interessano l’intero territorio compreso fra l’Irlanda e gli Urali, includendo la Scandinavia e avendo come confine meridionale i Pirenei, le Alpi e alcune zone a sud del Danubio. Nondimeno, ancorché a intervalli, pure l’Italia e parti delle penisole iberica e balcanica devono fare i conti con la fame. A quest’ultima si aggiungono numerosi omicidi e vari casi di cannibalismo, con vittime specialmente fra i bambini. La lenta ripresa, iniziata fra il 1322 e il 1323, è interrotta da altre due carestie negli anni dal 1329 (o 1330) al 1334. In un continente il cui popolo è debilitato dalla denutrizione, la seconda conseguenza sono naturalmente le malattie. Fra l’altro, agli inizi della crisi, gli abitanti delle campagne si riversano nei centri urbani, nella speranza di poter godere delle politiche annonarie ivi (malamente) stabilite. Ne deriva un sovraffollamento che peggiora le condizioni igieniche, invero già piuttosto precarie. Cumuli di rifiuti sono lasciati a marcire per le strade, mancano le fognature, il vomito, le feci e le urine sono versati direttamente nelle vie dalle finestre o dai balconi. Con le persone, come accennato, indebolite dalla fame, e pure concentrate in spazi ristretti e malsani, il dilagare delle patologie, appunto, diventa più semplice. Le vittime delle due piaghe, ovviamente, sono tantissime: intorno al 1345, la popolazione europea si riduce a un numero compreso fra 60 e 75 milioni e l’aspettativa media di vita crolla a 29 anni e mezzo.

Le guerre e la peste. – Del resto, anche le guerre pretendono il loro tributo in termini di vite. Mentre gli spagnoli, talvolta con l’aiuto dei portoghesi, sono da tempo impegnati nella Reconquista (che terminerà il 2 gennaio 1492), i regni di Francia e Inghilterra, nel 1337, iniziano un conflitto che durerà oltre un secolo (l’evento è noto come Guerra dei Cent’Anni). Dieci anni dopo, un esercito mongolo cinge d’assedio Caffa (l’attuale Feodosija in Crimea), ricca colonia e importante scalo commerciale genovese. E proprio da qui, come si vedrà, la peste, sul finire dello stesso 1347, raggiunge l’Europa, trovando nella situazione prima descritta le condizioni ideali per diffondersi e uccidere. Alla fine della pestilenza, circa sei anni dopo, i decessi, nel continente, si conteranno a milioni.

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