La peste del XIV secolo – Capitolo XIV

1. Gli effetti economici e sociali della Peste Nera: generalità.

Il problema delle conseguenze economiche e sociali della Peste del Trecento agita da diverso tempo il dibattito fra gli storici. Da questo, sono sorte tre diverse chiavi di lettura, discendenti da altrettanti orientamenti metodologici, che nel presente capitolo si proveranno a riassumere.

2. L’interpretazione tradizionalista.

Giusta l’interpretazione tradizionalista, definibile meglio come depressionista, la pandemia del XIV secolo, ricadendo pesantemente sull’aspetto demografico, avrebbe suscitato una depressione economica generalizzata e di lunga durata. In conseguenza, sarebbe iniziata una fase di recessione, destinata a durare per molto tempo, che avrebbe cagionato serie ripercussioni sia sul mercato dei generi alimentari e sul loro prezzo, in ragione del minor numero di lavoratori nel settore agricolo, sia nel campo industriale, reso più debole dal crollo delle attività manifatturiere. Il peso della crisi economica avrebbe fra l’altro determinato malumori diffusi e gravi tensioni sociali. Per i sostenitori della tesi in parola, il vecchio continente, dopo la Morte Nera, avrebbe incassato un violento colpo, dal quale si sarebbe ripreso soltanto dopo circa due secoli. Nondimeno, i vari fautori dell’assunto depressionista sono divisi, nelle loro opinioni, sul peso che la pandemia avrebbe esercitato, con riferimento ai vari contesti territoriali.

3. Le tensioni sociali: a) la rivolta della Jacquerie.

Fra le tensioni sociali determinate, almeno in parte, dalla pestilenza del Trecento, un richiamo merita la rivolta della Jacquerie. Questo termine discende dal soprannome Jacques Bonhomme, di moda già nel XIV secolo nella nobiltà francese, e poi restato in uso per designare, beffardamente, il contadino della stessa Francia. Le cause che conducono alla ribellione sono i costi della sconfitta militare subita dall’esercito francese a Poitiers, nel 1356, durante la Guerra dei Cent’Anni (1337-1453), che si uniscono agli effetti della Peste Nera. Fra i prezzi da pagare in quel periodo di crisi post-pandemica,, c’è quello del riscatto del sovrano Giovanni II il Buono (1319-1364), preso prigioniero dagli Inglesi proprio durante l’accennata battaglia di Poitiers.

La rivolta. – La rivolta esplode il 28 maggio 1358 a Saint-Leu, e si propaga rapidamente a Serens, Nointel e Cramoisi, alimentata dall’avversione dei contadini contro le classi feudale e militare. Da quei villaggi, il fuoco si diffonde presto nell’intera valle dell’Oise, ove occorrono saccheggi, devastazioni e stragi, fino a quando le varie bande ribelli non si riuniscono in una sorta di esercito, di circa seimila uomini, agli ordini di un contadino, Guglielmo Karle, uomo vigoroso, abile parlatore, esperto nell’uso delle armi. Alcune città – quali Compiègne, Senlis e Amiens – negano il loro aiuto ai ribelli, oppure se ne servono esclusivamente per distruggere castelli che ne rendono difficile l’espansione. Per un certo periodo, un po’ di sostegno è offerto da Étienne Marcel (†1358), politico che, con re Giovanni II prigioniero degli Inglesi e il Delfino Carlo – poi Carlo V il Saggio (1338-1380) – esautorato, è diventato padrone di Parigi, dove organizza militarmente l’intera popolazione. Il Marcel, appunto, invia trecento uomini agli insorti, ma presto li ritira, rendendosi conto quanto sia complesso mantenere ordine nelle truppe di Karle. Queste ultime, tuttavia, sono sconfitte, il 9 giugno 1358, nella pianura di Mello, dall’esercito dell’ambizioso re di Navarra, Carlo II, detto il Malvagio (1332-1387). Nei due anni successivi allo scontro, le rappresaglie dei nobili contro i contadini cagionano circa 20.000 vittime.

Considerazioni storiche. – La Jacquerie, sebbene sia durata soltanto dodici giorni, per la sua brutalità e per la natura di spontanea sollevazione di masse, è stata in seguito ritenuta, a piena ragione, la tipica espressione della rivolta delle classi rurali oppresse da secoli di servitù feudale.

4. Le tensioni sociali: b) il tumulto dei Ciompi.

Come in precedenza accennato, l’Europa – almeno secondo i fautori della tesi depressionista – avrebbe sofferto, dopo la Morte Nera, un’acuta crisi economica, il cui peso è sovente scaricato dai cittadini più agiati sulle genti più povere, attraverso manovre politiche che i primi possono attuare. Nella Firenze del Trecento, la gerarchia sociale è costituita da un popolo grasso al vertice, da uno minuto (o medio), composto dalla piccola borghesia, e da uno magro, che include operai o braccianti, sovente provenienti dalle campagne, per rispondere alle esigenze di lavoro a basso salario. Nel primo, nel sistema delle corporazioni delle arti e mestieri, nato nella stessa Firenze fra il XII e il XIII secolo, rientrano gli uomini delle Arti maggiori, le più redditizie: del Cambio, dei Giudici e dei Notai, della Lana, dei Medici e Speziali, dei Mercatanti, della Seta, dei Vaiai e Pellicciai. La piccola borghesia comprende le persone delle Arti Minori: fra esse, quelle degli Albergatori, dei Beccai, dei Calzolai, dei Corazzai e Spadai, dei Fabbri, dei Legnaioli, dei Maestri di Pietra e Legname e dei Vinattieri. Al popolo magro, come accennato, appartengono lavoratori umili, soggetti a forte pressione economica e sociale, e privi dei diritti politici. Fra questi, i Ciompi, salariati dipendenti dall’Arte della Lana. Con ogni probabilità, il termine discende dal verbo dialettale ciompare, che significa battere, picchiare, percuotere. Una delle prime fasi della lavorazione della lana comportava proprio ciomparla, ossia batterla con un bastone, per favorire il distacco dei nodi o dei grumi di sporco prima della cardatura.

Le premesse del tumulto. – Durante gli anni Settanta del Trecento, ha ottenuto un peso politico sempre più alto la parte guelfa, sorta verso il 1267, al tempo delle lotte contro i ghibellini, e diventata, di fatto, la manifestazione di un’alleanza fra alcune famiglie altoborghesi e altre antiche molto facoltose. Il potere riconosciuto alla stessa istituzione guelfa di impedire l’esercizio dei pubblici uffici ai sospettati di ghibellinismo, rappresenta un eccezionale strumento di controllo della politica cittadina, con cui la parte riesce a escludere dal governo vari personaggi, sovente supportati da clientele legate alle Arti minori.

La prima fase. – La prima crisi esplode nel mese di giugno del 1378. Giorno 18, Salvestro de’ Medici (†1388), uno dei leader del popolo minuto, propone alcune norme che ridurrebbero i poteri della parte più potente. Il diniego di quest’ultima cagiona la violenta reazione delle Arti minori, che si riversano per le strade, il 22 e 23 giugno, attaccando le abitazioni dei capi guelfi. Alla ribellione partecipano pure persone appartenenti al popolo magro. Nelle febbrili settimane successive, tutti costoro, dopo varie riunioni, pensano a una vera e propria insurrezione tendente a ottenere, per la prima volta nella storia fiorentina, un riconoscimento politico e il diritto di potere accedere alle magistrature.

Il tumulto dei Ciompi. – I Ciompi insorgono il 20 luglio e assediano il Palazzo della Signoria. La Signoria stessa – detta anche Collegio dei Priori (o Priorato delle Arti) – si dimette due giorni dopo, e gonfaloniere, ossia magistrato supremo e presidente del richiamato Collegio dei Priori, è acclamato Michele di Lando, uno degli organizzatori del tumulto. Sempre per acclamazione, sono eletti gli altri otto Priori. Dai Consigli del Popolo e del Comune – gli organi cui compete ratificare le leggi – i Ciompi ottengono di avere rappresentanti nella Signoria. Inoltre, nascono tre nuove Arti – Ciompi, Farsettai e Tintori – cui si sarebbero iscritte le persone escluse dalle altre. Fra i componenti di tali tre nuove Arti, sarebbero stati sorteggiati, da allora in poi, tre dei nove membri della Signoria.

La svolta e la reazione. – Una fronda estrema dei Ciompi, scontenta della politica moderata di Michele di Lando, si riunisce a Santa Maria Novella il 27 agosto, suggerendo la sospensione delle magistrature ordinarie e la designazione di un comitato, composto da otto membri, cui attribuire pieni poteri di controllo sull’attività della Signoria. La proposta, alla quale lo stesso di Lando prova a opporsi, causa la reazione di un vasto gruppo sociale, nel quale confluiscono esponenti sia del popolo grasso sia di quello minuto. Dopo violenti scontri, esplosi il 30 e il 31 agosto, i Ciompi sono sconfitti. Il 1° settembre, un pronunciamento di piazza dichiara decadute tutte le riforme da loro introdotte.

5. L’interpretazione ottimistica.

Del tutto opposta alla tesi depressionista, è quella ottimistica, che, nella catastrofe demografica causata dalla Peste Nera, individua un rinnovamento dell’economia tardomedievale, occorso tramite un processo di ripresa e di sviluppo. Quest’ultimo sarebbe rigorosamente connesso alla radicale riduzione della pressione umana sulle risorse alimentari, specie sui cereali. In conseguenza, sarebbe aumentata la produzione di beni commestibili di maggiore qualità (quali la frutta e lo zucchero) e si sarebbero ingrandite le aree destinate al pascolo. Contemporaneamente, si sarebbe ripreso anche il settore manifatturiero, e quindi accresciuta la fabbricazione di abiti di lana e di seta, ma anche di tessuti misti di cotone e lino e di oggetti preziosi. In sostanza, come sostenuto da uno storico contemporaneo, l’assunto ottimistico «scorge nella contrazione demografica il formarsi di nuove energie per la diversificazione economica», che, nella prima metà del XIV secolo, aveva conosciuto una battuta d’arresto.

6. La tesi mediana.

In via intermedia fra la tesi depressionista e quella ottimistica, sugli effetti, in ambito economico e sociale, del decremento demografico cagionato dalla pandemia del Trecento, è sorta, in epoca recente, un’opinione che tende a ridimensionare gli altri assunti. Tale interpretazione esclude sia l’ipotesi di una grave e prolungata depressione economica, sia l’orientamento di un’improvvisa e generalizzata ripresa. Secondo la tesi in argomento, il vecchio continente avrebbe attraversato un periodo di regresso economico relativo. In sintesi, al declino di un territorio oppure di un settore produttivo, avrebbe fatto da contraltare il dinamismo di altra area oppure la trasformazione (o la riconversione) di taluni compartimenti dell’economia, capaci di rimettere in moto – sebbene con tempi e modi diversi secondo i casi – i circuiti produttivi e di scambio.

7. Conclusioni.

La discussione è tuttora in corso, ma qui termina il presente lavoro sulla Peste Nera, esteso ad alcuni degli eventi storici precedenti o successivi alla stessa pandemia, comunque sempre connessi alla patologia. Si è potuto osservare come la morte, a causa del morbo, sia stata protagonista assoluta del Trecento, al punto da ispirare diversi artisti vissuti in secoli seguenti, e in particolare l’ignoto autore, o gli ignoti autori, che hanno realizzato, probabilmente nel Quattrocento, proprio uno splendido Trionfo della Morte, che oggi si può ammirare a Palermo, nella Galleria Regionale della Sicilia. E si è visto come varie epidemie, sempre di peste, abbiano sterminato milioni di persone nei circa cinquecento anni successivi alla Morte Nera. Naturalmente, avversaria dell’uomo non è stata (e non è) soltanto la Yersinia pestis. Diverse altre malattie hanno compiuto autentiche stragi nel corso dei secoli: il colera, la febbre gialla, l’influenza, la malaria, la poliomielite, la sifilide, il tifo, il vaiolo. E forse non tutti sanno che le cosiddette epidemie di Cocoliztli (una febbre emorragica virale) hanno ucciso, nel XVI secolo (1545-1548 e 1576-1580), fra sette e diciotto milioni di persone in America centrale e soprattutto in Messico. Per fortuna, sono esistiti autentici geni della medicina che, grazie alle loro straordinarie scoperte, hanno consentito di poter prevenire e sovente curare le richiamate affezioni, ma ce ne sono altre che, sebbene conosciute, non possiedono ancora una terapia di sicuro successo. L’AIDS, in primo luogo, ma anche Covid, dengue, Ebola, febbre di Lassa e malattia da virus Marburg, con quest’ultima che, sebbene rara, preoccupa non poco la scienza in ragione del suo relativamente lungo periodo d’incubazione, della sua trasmissibilità interumana e dell’elevato tasso di letalità (range: 24/88 per cento). Una diffusione a livello planetario – difficile in ragione della sorveglianza epidemiologica, ma non impossibile – rappresenterebbe una catastrofe epocale. E allora, per terminare questo contributo, appare opportuno riprendere un’espressione già usata agli esordi dello stesso, e quindi invitare i lettori a una riflessione: quella sulla spaventosa forza che le malattie possono esercitare sulla storia dell’umanità.

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